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Il principio di leale collaborazione e il Rappresentante dello Stato.

conferenze permanenti – 7 Il potere sostitutivo del Prefetto – 8 La vigilanza sull’attività espletata dal

4. Il principio di leale collaborazione e il Rappresentante dello Stato.

Nell’interazione con i numerosi attori istituzionali operanti sul territorio, il Prefetto è chiamato a operare in ossequio al principio di leale collaborazione, esplicitamente evocato dall’articolo 10 della legge 131/2003, segnatamente in riferimento alla figura del

Rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie. L’articolo 11 del d.lgs. 300/1999, inoltre, intesta al Prefetto l’”espletamento dei compiti di collaborazione a favore delle Regioni e degli Enti locali interessati”.

Il principio di leale collaborazione è di derivazione comunitaria: è infatti consacrato nell’articolo 10 del Trattato CE, ove si stabilisce che gli Stati membri sono tenuti ad adoperarsi con ogni mezzo per agevolare la Comunità nell’adempimento dei suoi obblighi. Esso gode oggi di rilevanza costituzionale, in ragione della sua inclusione all’art. 120 della Costituzione con la novella di cui alla legge

costituzionale 3 del 2001. Il secondo comma del predetto articolo afferma che “il Governo - anche, come vedremo, attraverso i propri rappresentanti- può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della

82 normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione”.

La costituzionalizzazione ha significato il definitivo suggello per una ricca elaborazione dottrinale e giurisprudenziale sul tema, ben rappresentata dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 214 del 25 febbraio 1988. Già nella sentenza n.49 del 1958 la Corte Costituzionale aveva parlato di una “ovvia esigenza di collaborazione”, richiamando il principio cooperativo come grimaldello per forzare e superare la configurazione classica del rapporto tra Stato ed enti territoriali fondata su di una rigida separazione delle competenze. Agli inizi degli anni Settanta il principio in parola comincia ad assumere tratti più definiti: nella sentenza n.35 del 1972 la Consulta evoca uno “spirito di necessaria collaborazione fra tutti gli organi centrali e periferici che, pur nella varia differenziazione di appartenenza, sostengono la struttura unitaria dello Stato133”.

È però con la sentenza n.214 del 1988 che per la prima volta il principio di leale collaborazione viene qualificato come corollario di quello, ben più ampio, di buon andamento e dunque fonte di

legittimazione per forme di raccordo e coordinamento paritario variamente declinate fra Stato e Regioni134. Come autorevolmente

rilevato135 , in un ordinamento pluralistico e dunque

fisiologicamente agitato da interessi contrastanti le istanze di efficienza dell’azione amministrativa racchiuse nella formula sintetica del “buon andamento” sarebbero mere petizioni di principio in mancanza di uniformità e coordinamento tra centro e periferia. Si è dunque addivenuti a una rilettura del principio di sussidiarietà, a mente della quale l’apparato amministrativo è tenuto

133 A. Cantadori, Il principio di leale collaborazione nella Repubblica delle autonomie: l’attività

dell’Amministrazione dell’Interno, in Instrumenta, Anno VIII, n. 23, 2004, pagg. 527 e ss.

134 A. Gratteri, La faticosa emersione del principio costituzionale di leale collaborazione, in La

riforma del Titolo V della Costituzione e la giurisprudenza costituzionale. Atti del seminario di Pavia svoltosi il 6-7 giugno 2003 (a cura di E. Bettinelli e F. Rigano), Torino, 2004, p.426 ss.

135M. Renna e F. Saitta (a cura di), Studi sui principi del diritto amministrativo, Giuffrè

83 “ad agire attraverso forme di cooperazione istituzionale” qualora “l’interferenza fra competenze fosse causa di impedimento di una precisa ripartizione di funzioni tra poteri pubblici, in relazione alla natura dell’interesse pubblico da tutelare136”. La prospettiva

dialogica tra sussidiarietà e leale collaborazione presuppone

pertanto “un modello di autonomismo non competitivo, non tanto basato su una netta separazione delle competenze, quanto piuttosto sulla individuazione di strumenti idonei a permettere un dialogo e una cooperazione concreti ed efficaci ogni qual volta emergano interessi confliggenti, propri di differenti livelli di governo”137. La

dottrina più avvisata138 ha però precisato che un modello così

organizzato può funzionare congruamente solo se viene garantita un’adeguata partecipazione di tutti i livelli coinvolti nel

procedimento che conduce alla decisione finale. Anche la Consulta si è pronunciata a favore di quest’ultima tesi: nella sentenza n.303 del 2003 ha infatti ritenuto che, in presenza di esigenze unitarie, l’attribuzione del potere decisionale agli organi centrali sia

costituzionalmente legittima purché sia definita “una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano dovuto risalto le attività

concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealtà”139.

Prosegue la sentenza: “per giudicare se una legge statale che occupi questo spazio (cioè quello delle Regioni) sia invasiva delle

attribuzioni regionali o non costituisca invece applicazione dei principi di sussidiarietà e adeguatezza, diviene elemento valutativo essenziale la previsione di una intesa fra lo Stato e le Regioni interessate alla quale sia subordinata l’operatività della disciplina”. Strettissimo è pertanto il legame tra sussidiarietà e leale

collaborazione: ogni volta in cui il primo viene invocato a

giustificazione di una deroga alle competenze regionali a vantaggio dello Stato sulla scorta di esigenze di unitarietà, deve coniugarsi con il secondo mediante un accordo o un’intesa. Occorre quindi che la legge statale di attrazione preveda che l’esercizio in concreto delle funzioni amministrative avocate sia fondato su di un’intesa. Ecco allora che “costituisce attestazione di leale cooperazione

l’adoperarsi per acquisire nell’ambito dell’istruttoria legislativa la

136 Ibidem. 137 Ibidem.

138 M. Cammelli (a cura di), Territorialità e delocalizzazione nel governo locale, Il Mulino,

Bologna, 2007.

139 Si veda il commento di A. Moscarini, Titolo V e prove di sussidiarietà: la sentenza

84 posizione delle Regioni e delle Province autonome ogni volta che venga in questione l’attrazione in sussidiarietà di funzioni

amministrative di spettanza regionale o provinciale140”.

Viene poi in rilievo sul tema un’ulteriore statuizione della Corte di Piazza del Quirinale: la n. 6 del 1993; essa ha chiarito che il

principio di leale collaborazione, inteso come espressione dinamica di quello del buon andamento, si impone alle amministrazioni regionali e locali tanto quanto a quelle statali: alle prime, dunque, non è dato “dissentire immotivatamente, mediante comportamenti di tipo ostruzionistico, in grado di bloccare l’esercizio della

funzione statale senza adeguate ragioni141”. Da queste premesse

discende l’esigenza di prevedere metodi di superamento del dissenso ingiustificato e procedure che permettano di evitare lo stallo, quali le forme di commissariamento sostitutivo di cui ci occuperemo a breve. Questi poteri sostitutivi, nondimeno, certo giustificati dalla necessità di assicurare l’effettivo esercizio della funzione amministrativa, debbono essere sottoposti a rigorosi limiti precisati dalla giurisprudenza della Consulta, onde circoscriverne l’impiego alle sole ipotesi espressamente contemplate dalla legge in cui sia messo a repentaglio il buon andamento dell’attività della Pubblica Amministrazione. Deve trattarsi, quindi, di attività prive di discrezionalità nell’an142; vanno osservati i principi di sussidiarietà

e, come ovvio, di leale collaborazione143; è infine necessario che al

soggetto inerte, competente in via ordinaria, sia concessa la possibilità di scongiurare la sostituzione mediante l’autonomo adempimento144.

Un passo ulteriore è stato poi compiuto con la legge 15/2005, recependo il principio in parola nella normazione ordinaria

andando a modificare l’art. 22 della l.241/1990; sostanzialmente, la riscrittura ha sancito la necessaria osservanza del paradigma della leale collaborazione non solo nel rapporto fra i diversi livelli di governo, ma più in generale nelle relazioni tra i vari soggetti pubblici.

140 R. Dickmann, La Corte Costituzionale attua (ed integra) il Titolo V (osservazioni a Corte

Cost. 1 ottobre 2003, n.303, in www.federalismi.it.

141 M. Renna e F. Saitta (a cura di), Studi sui principi del diritto amministrativo, Giuffrè

Editore, Milano, 2012, p.124.

142 Corte Costituzionale 16 luglio 2004, n.227.

143 Corte Costituzionale 2 marzo 2004, n.73 e 14 maggio 2004, n.140. 144 Corte Costituzionale 2 marzo 2004, n.70.

85 Il già citato art. 10 della legge n.131/2003 ha colmato il vuoto generato dalla soppressione del Commissario di Governo imputando al Prefetto del capoluogo di Regione il ruolo di “Rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie”145. Una funzione addizionale, questa, che si pone in

linea di continuità sia con il principio di leale collaborazione sia con il sistema attuale, in cui Stato ed enti territoriali esponenziali sono collocati su di un medesimo piano ai sensi dell’articolo 114 della Costituzione, ove si afferma che Comuni, Province, Città

Metropolitane, Regioni e Stato sono tutti egualmente elementi costitutivi della Repubblica. In forza di tale investitura, il titolare della Prefettura del capoluogo regionale deve curare “le attività dirette ad assicurare il rispetto del principio di leale collaborazione fra Stato e Regione, nonché il raccordo tra le Istituzioni dello Stato presenti sul territorio, anche attraverso le Conferenze”; compito ulteriore è poi la promozione della “attuazione delle intese e del coordinamento tra Stato e Regione” in ossequio alle previsioni legislative nelle materie di cui all’art. 118 della Costituzione ( immigrazione, ordine pubblico e sicurezza tranne la polizia

amministrativa, tutela dei bei culturali). Al Prefetto compete inoltre la supervisione circa l’attuazione delle misure di coordinamento definite in seno alla Conferenza Stato- Città e Autonomie locali, insieme “all’esecuzione dei provvedimenti del Consiglio dei

Ministri costituenti esercizio del potere sostitutivo di cui all’articolo 120 della Costituzione”. Sulla scelta di affidare al Prefetto del capoluogo di Regione funzioni di tale importanza ha certo influito il fatto che tale funzionario, essendo titolare dell’Utg regionale, pur condividendo con gli altri Utg la vocazione generalista, detenga compiti organizzativi più accentuati, ma soprattutto disponga di un ufficio che meglio di ogni altro si presta alle esigenze della

governance146.

Quella di cui il Rappresentante dello Stato è investito è un’ampia area di intervento, che richiede il compimento di operazioni e iniziative non facilmente predeterminabili ma individuabili in concreto, volta per volta, in base a quanto risulta idoneo per

garantire il rispetto del principio di leale collaborazione e l’unità del tessuto istituzionale. Sotto questa prospettiva, dunque, l’azione

145 F. Lorenzotti, Il Prefetto dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, in

Amministrazione pubblica, Anno VI, n. 29- 30- 31, gennaio- giugno 2003, pag. 25.

146 L. Cassetti, Esce di scena il Commissario del Governo e nasce il Rappresentante dello Stato per i

86 prefettizia deve mirare ad assicurare che il nuovo assetto di

competenze risultante dalla riforma si sviluppi in chiave di integrazione e sinergia, ottimizzando le attività sul territorio. Questo spiega anche il richiamo alla Conferenza quale sede principale entro cui esercitare tali funzioni: si tratta infatti di una struttura organizzativa a composizione variabile, che vede nella flessibilità la sua caratteristica migliore.

Ancorché parte del corpo prefettizio, il Rappresentante dello Stato riveste rispetto agli altri membri una posizione di primazia,

costituendo un interlocutore privilegiato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Questo primato emerge dal procedimento di preposizione del Prefetto all’Utg del Capoluogo di Regione, per cui si prevede la condivisione della proposta del Ministro dell’Interno da parte del Ministro degli Affari Regionali.

Al Rappresentante dello Stato spetta, in definitiva, un compito assai delicato: preservare la rete istituzionale da strappi e fratture, senza espropriare o avocare a sé le competenze di uno o più dei soggetti coinvolti ma inserendoli in un quadro armonico esente da figure prominenti rispetto alle altre perché improntato a principi di collaborazione e di rispetto delle reciproche autonomie. Sarebbe quindi riduttivo relegare il Prefetto del capoluogo regionale a mero garante di una concezione statocentrica ormai priva di appigli normativi; al contrario, la figura in parola è chiamata a farsi artefice di una nuova idea di statualità, in cui il principio di sussidiarietà costituisce la stella polare. Da qui la complicata incombenza di assicurare la coesione istituzionale e sociale espletando funzioni di raccordo fra i livelli di governo, nonché di impulso e di intervento financo preventivo a tutela del vivere comune e dell’esercizio delle libertà civili: un’impresa che solo un funzionario saldamente radicato sul territorio come quello prefettizio può affrontare congruamente, forte della sua conoscenza della realtà locale. Date queste premesse, la funzione prefettizia si presenta come la

massima espressione in sede locale di uno Stato tutt’altro che parco nell’attribuzione di competenze alle autonomie locali, ma attento a conservare la titolarità di quelle più delicate; una su tutte: la

garanzia dell’unità del sistema, per il tramite di un proprio

rappresentante organico capace di porsi quale raccordo istituzionale tra centro e periferia, fautore e nume tutelare della cooperazione e coordinatore delle politiche governative in periferia o, se si

87 preferisce, stanza di compensazione per la risoluzione dei conflitti in provincia147.

5. Il ruolo prefettizio nel controllo sugli enti locali.