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Il ruolo prefettizio nel controllo sugli enti locali L’articolo 11 del d.lgs 300/1999 scolpisce i tre poli attorno ai qual

conferenze permanenti – 7 Il potere sostitutivo del Prefetto – 8 La vigilanza sull’attività espletata dal

5. Il ruolo prefettizio nel controllo sugli enti locali L’articolo 11 del d.lgs 300/1999 scolpisce i tre poli attorno ai qual

ruota la leale collaborazione tra Prefetto ed enti locali:

“rappresentanza generale del governo”, “coordinamento delle pubbliche amministrazioni statali sul territorio” ed “espletamento dei compiti di collaborazione a favore delle regioni e degli enti locali interessati”.

Perlomeno fino al 1970, uno dei profili più rilevanti della relazione tra il funzionario prefettizio e le istituzioni periferiche consisteva nel controllo sugli atti di Comuni e Province.

Durante il periodo prerepubblicano, infatti, il controllo sugli atti comunali e provinciali era demandato allo Stato e svolto in via ordinaria dal Prefetto per ciò che atteneva alla legittimità e dalla Giunta Provinciale Amministrativa (dunque un organo

amministrativo e di giustizia amministrativa) per quanto riguardava il merito148. I Costituenti accolsero invece una diversa soluzione,

sottraendo agli organi statali il potere di esercitare i controlli esterni sugli atti degli enti locali e affidandolo a un organo regionale. L’articolo 130 della Costituzione recita infatti:” un organo della Regione, costituito nei modi stabiliti da legge della Repubblica, esercita, anche in forma decentrata, il controllo di legittimità sugli atti delle Provincie, dei Comuni e degli altri enti locali (primo comma). In casi determinati dalla legge può essere esercitato il controllo di merito, nella forma di richiesta motivata agli enti deliberanti di riesaminare la loro deliberazione (secondo comma).” Un articolo, il 130, legato a doppio filo al numero 128, ove si afferma che “le Province e i Comuni sono enti autonomi

nell’ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni”. Nella sentenza n.612 del 10

147 M. Cammelli, Il Rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie, in

G.Falcon ( a cura di), Stato, Regioni ed enti locali nella legge 5 giugno 2003, n.131, Il Mulino, Bologna, 2003.

148 G. Piras, L’Ombdsman in Italia nella dottrina e nella legislazione: bilancio di dieci anni

88 giugno 1988 la Corte Costituzionale precisò peraltro che in materia di controlli esterni sugli atti degli enti locali dovesse ritenersi

rimessa allo Stato la sola regolamentazione degli aspetti

fondamentali e dei principi di fondo, rimanendo in capo alle regioni la disciplina residuale, soprattutto quella relativa al funzionamento dell’organo di controllo. L’articolo 130 della Carta fondamentale operava dunque un rinvio alla legge ordinaria ai fini della

costituzione, l’organizzazione e il funzionamento degli organi regionali deputati al controllo sugli atti degli enti locali, nonché ai fini dell’individuazione dei casi in cui il suddetto organo fosse legittimato all’esercizio di un sindacato di merito. In forza di tale rinvio, la c.d. legge Scelba (n. 62 del 10 febbraio 1953, recante “norme per la costituzione e il funzionamento degli organi

regionali”) ha delineato un sistema fortemente influenzato dal clima politico dell’epoca, poco incline alle sirene del decentramento, andando a istituire i Comitati regionali di controllo, o CO.RE.CO., i quali entreranno concretamente in funzione solo con l’avvio dell’esperienza regionale. Il Comitato aveva sede nel capoluogo di Regione ed era nominato dal presidente della giunta regionale. Il sistema forgiato dalla legge Scelba prevedeva tre tipologie di controllo. Il controllo di legittimità, innanzitutto, aveva ex art.59 la medesima estensione di quello espletato dal Prefetto e dalla Giunta Provinciale Amministrativa, spogliati delle proprie prerogative in materia, a vantaggio del Comitato. In base all’art.60 il controllo di merito era invece dispiegato su tutte le deliberazioni delle Province e dei Comuni in passato sottoposte al placet della Giunta Provinciale Amministrativa. Da ultimo, il controllo sostitutivo spettava ai nuovi organi di controllo sulla falsariga di quanto già previsto nel regime prerepubblicano.

In direzione opposta si mossero invece la legge n.142/1990 e i successivi interventi del legislatore, recependo le indicazioni di cui alla Carta europea delle autonomie locali. La riforma del 1990, in particolare, limitava il novero degli atti assoggettati a controllo preventivo di legittimità e rendeva inoperante quello di merito. Segnatamente, l’art. 45 poi abrogato dall’art.17, comma 31, della l. 127/1997 definiva tre diverse forme di controllo di legittimità, recuperando un ruolo di qualche rilievo al Prefetto: un sindacato necessario per le deliberazioni del Consiglio comunale e per quelle della Giunta dichiarate urgenti; un controllo eventuale su richiesta di una minoranza qualificata di Consiglieri ovvero su richiesta del Prefetto (art. 15, l.203/1991), da esercitarsi solo su alcune tipologie

89 di delibera di Giunta (acquisti, alienazioni, appalti, contratti;

contributi, indennità, compensi, rimborsi, esenzioni ad

amministratori, dipendenti e terzi; assunzioni, stato giuridico e trattamento economico del personale; delibere viziate per incompetenza o assunte in contrasto con atti fondamentali del Consiglio) e circoscritto ai vizi oggetto di denuncia; una verifica facoltativa su richiesta della Giunta. La legge c.d. Bassanini bis, n.127/1997, tesa a predisporre “misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo” non solo ha abrogato con l’art.17 i commi dal 31 al 45 della legge 142/1990, ma ha drasticamente diminuito il numero degli atti passibili di verifica sotto il profilo di legittimità. Il d.lgs. 267/2000 (art.126) ha limitato il controllo necessario di legittimità agli statuti; ai bilanci annuali e pluriennali e loro relative variazioni e rendiconto di gestione; ai regolamenti di competenza del Consiglio tranne quelli attinenti l’autonomia organizzativa e contrabile. La legge costituzionale 3/2001, infine, ha chiuso il cerchio abrogando l’articolo 130 della Costituzione, ponendo fine all’esperienza dei CO.RE.CO. e dei controlli necessari di legittimità di carattere preventivo.

Quale dunque il ruolo del Prefetto in un sistema così complesso e, spiace dirlo, ben poco stabile? Dopo il 1970 il funzionario

prefettizio è stato spogliato del controllo sugli enti locali,

conservando quello sugli organi di questi ultimi149. L’articolo 135,

comma 1 del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali prevede che “il Prefetto, nell'esercizio dei poteri conferitigli dalla legge o a lui delegati dal Ministro dell'interno, ai sensi

dell'articolo 2, comma 2-quater, del decreto-legge 29 ottobre 1991, n. 345, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 1991, n. 410, e successive modificazioni ed integrazioni, qualora ritenga, sulla base di fondati elementi comunque acquisiti, che esistano tentativi di infiltrazioni di tipo mafioso nelle attività riguardanti appalti, concessioni, subappalti, cottimi, noli a caldo o contratti similari per la realizzazione di opere e di lavori pubblici, ovvero quando sia necessario assicurare il regolare svolgimento delle attività delle pubbliche amministrazioni, richiede ai competenti organi statali e regionali gli interventi di controllo e sostitutivi previsti dalla legge.” Quanto al secondo comma, esso precisa che

149 F. Pizzetti, Il nuovo ordinamento italiano tra riforme amministrative e riforme costituzionali,

90 “ai medesimi fini indicati nel comma 1 il prefetto può chiedere che siano sottoposte al controllo preventivo di legittimità le

deliberazioni degli enti locali relative ad acquisti, alienazioni, appalti ed in generale a tutti i contratti, con le modalità e i termini previsti dall'articolo 133, comma 1. Le predette deliberazioni sono

comunicate al Prefetto contestualmente all'affissione all'albo”. Il parere n. 1996/2003 della Sezione Prima del Consiglio di Stato asserisce che, alla luce della riforma di cui alla legge costituzionale 3/2001, l’intervento prefettizio ai sensi dell’articolo 135, comma 2, del d.lgs. 267/2000 non configura un controllo esterno

dell’amministrazione statale sulla legittimità degli atti in esso indicati; deve invece ritenersi estrinsecazione di un potere proteso alla salvaguardia di interessi fondamentali inerenti all’ordine e alla sicurezza pubblica che l’art. 117, comma 3, lettera h, della

Costituzione riserva oggi alla esclusiva potestà legislativa dello Stato150. La sentenza n.1964/2000 della Sez. IV del Consiglio di

Stato ha stabilito che il controllo del Prefetto ha la precipua funzione di salvaguardare il regolare svolgimento dell’azione amministrativa unitamente alla prevenzione contro tentativi di infiltrazione mafiosa151152.