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I protocolli di intese.

dell’Interno, il Capo della Polizia e il Questore.

6. I protocolli di intese.

Nel 1998 è siglato a Modena, tra Sindaco e Prefetto, il primo Protocollo d’intesa in materia di sicurezza. Il modello modenese viene presto replicato anche in altre parti d’Italia, arrivando a godere di buona diffusione: in poche settimane sono infatti firmati atti di analogo tenore a Napoli, Cagliari, Rimini, Prato, Trento, Milano, Torino, Bologna, Ferrara e tra i comuni della Versilia211.

La fine degli anni Novanta vede dunque lo sviluppo di una prassi che si risolve nella stipulazione da parte di Prefetture ed enti locali di intese, accordi, protocolli, patti e contratti che a prescindere dall’eterogenea denominazione presentano un oggetto comune: trattano infatti di nuove forme di collaborazione interistituzionale per la gestione in ambito urbano della sicurezza. La gestione pattizia della sicurezza sul territorio non costituisce un unicum italiano, ma è figlia di esperienze già maturate in altri ordinamenti,

124 come quello francese, che prevede contratti locali di sicurezza fruttuosamente sperimentati in numerosi contesti.

Attraverso i Protocolli di intesa per la sicurezza e la legalità si addiviene alla istituzionalizzazione di procedure di comunicazione e cooperazione tra l’amministrazione comunale – nella persona del Sindaco- e il governo, rappresentato dall’autorità prefettizia. Entro queste convenzioni sono stabilite e formalizzate le ipotesi e le modalità con cui avviene lo scambio di informazioni ai fini della prevenzione e del contrasto alla criminalità. Si procede secondo una logica di concertazione partendo dal presupposto per cui se la domanda di sicurezza non trova un interlocutore vicino ed

efficiente finisce per autoalimentarsi generando una percezione sempre più distorta e funesta dei pericoli che gravano sul vivere comune: l’allarme genera allarme. Premesso che l’art. 15 della legge n.241/1990 -significativamente incluso nel capo dedicato alla semplificazione amministrativa- riconosce a tutte le Pubbliche Amministrazioni la facoltà di concludere tra loro accordi tesi a “disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune”, la fonte dei Protocolli qui esaminati si può reperire nell’art. 15, ultimo comma, della l. n.121/1981. Tale articolo prevede che “Le Autorità provinciali di pubblica sicurezza, ai fini dell'ordine e della sicurezza pubblica e della prevenzione e difesa dalla violenza eversiva, sollecitano la collaborazione delle

amministrazioni locali e mantengono rapporti con i Sindaci dei Comuni”.

Il contenuto dei Protocolli di intesa conosce un certo grado di standardizzazione, quantunque vi siano degli inevitabili profili di originalità dovuti alle caratteristiche peculiari della realtà urbana che essi si propongono di governare. Normalmente in tali accordi si decide: la realizzazione di sistemi integrati informativi per la raccolta dei dati relativi alla sicurezza; la predisposizione di misure protese alla creazione di un sistema di coordinamento delle centrali della Polizia di Stato e della Municipale, sovente interconnettendo le rispettive sale operative; l’attività di aggiornamento professionale congiunto per il personale delle Forze di polizia.

Tracciare un bilancio dell’esperienza dei Protocolli di intesa appare operazione poco agevole. Proprio ai fini del monitoraggio dei loro risultati, presso il Ministero dell’Interno è stata istituita nel marzo 2000 una Commissione mai entrata in funzione, a dispetto degli sforzi profusi in favore della sua costituzione da parte del Forum

125 italiano per la sicurezza urbana e dall’Associazione Nazionale

Comuni Italiani. Tendenzialmente, sono le città in cui più si è investito su un progetto forte di sicurezza, come Modena, Milano e Torino ad aver esplorato al meglio le potenzialità dello strumento in parola. Il corretto ed efficiente operato dei Protocolli,

comunque, non può che essere condizionato, in positivo e in negativo, dalla qualità dei rapporti personali che intercorrono fra Sindaco e Prefetto212.

Una seconda generazione di intese fra Sindaco e Prefetto ha preso avvio nell’aprile del 2000, ancora una volta da Modena. Inseguendo il paradigma francese, infatti, si è giunti alla stipulazione del primo Contratto di sicurezza, quale strumento più operativo e stringente per la concertazione delle politiche di sicurezza. Preludio a questo ulteriore avanzamento è il mutato contesto prodottosi con

l’istituzionalizzazione della presenza del Sindaco nel Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, realizzatasi con il d. lgs. n.279/1999. La novella di fine anni Novanta, infatti, ha

determinato un rafforzamento normativo della compartecipazione fra Comune e Prefettura, ponendo le basi per una più diffusa e ramificata cooperazione tra i due enti213. L’elemento di novità di

questa nuova forma di intesa fra Sindaco e Prefetto risulta nella sua più spiccata vocazione operativa e concreta. Essa inaugura un nuovo corso nella gestione dei problemi della sicurezza, entro il quale un ampio e condiviso coordinamento delle iniziative a presidio dell’ordine pubblico si pone come imprescindibile principio guida214.

Sulla stessa linea di pensiero si collocano poi le “Giornate della sicurezza”, celebrate per la prima volta il 24 marzo del 2001 a suggello di questa nuova forma di collaborazione tra le amministrazioni locali e il governo centrale rappresentato dal Prefetto.

212 G. Pighi, Sicurezza, legalità e coesione sociale. Governo locale e prevenzione dell’insicurezza nella

politica modenese, Franco Angeli Editore, Milano, 2006.

213 S. Zappi, Un nuovo approccio alle politiche per la sicurezza urbana: i Patti per la sicurezza, in

Itinerari Interni – Quadrimestrale d’informazione istituzionale, n. 5-8, 2007.

214 Q. Camerlengo, Pubblica sicurezza statale e polizia amministrativa locale tra ordine pubblico e

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7. Il ruolo prefettizio nello scioglimento ex art. 143

del T.U.E.L.

Con la sua inclusione nell’art.14 del d.lgs. n.267 del 18 agosto 2000, Testo unico degli Enti Locali, la disciplina dello scioglimento per infiltrazione mafiosa ha perduto l’originario carattere di specialità, diventando invece uno strumento ordinario per il controllo sugli organi degli Enti Locali a tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico. Negli ultimi anni la normativa in tema di contrasto alle forme di infiltrazione e condizionamento delle amministrazioni locali ha conosciuto un significativo progresso, con il tentativo da parte del legislatore di fornire risposte più efficaci e adeguate all’evoluzione delle strategie pervasive adottate dalla criminalità organizzata di tipo mafioso. L’art.2, comma 30. l.n.94 del 15 luglio 2009, ha novellato l’art.143 T.U.E.L. per superare quelle criticità che erano emerse nel momento applicativo, su tutte l’incapacità di ottenere un effettivo rinnovamento dell’apparato politico locale e la sottrazione alla criminalità organizzata del controllo dell’azione amministrative. Tra le novità rilevanti citiamo: la specificazione della nozione di criminalità organizzata di tipo mafioso,

l’individuazione dei presupposti per l’adozione del provvedimento di scioglimento, l’ampliamento dell’ambito oggettivo e soggettivo di applicazione della norma e la procedimentalizzazione dell’iter di scioglimento.

Venendo alla disciplina vigente, l’art. 143 T.U.E.L. prevede la possibilità di scioglimento dei Consigli comunali e provinciali sulla scorta di concreti, univoci e rilevanti elementi che palesino

collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori locali, ovvero forme di condizionamento di questi ultimi tali da:

- determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi;

- compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi affidati alle stesse;

- recare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica.

Innovando rispetto al regime previgente, dunque, l’attuale

127 dell’Ente che legittimano l’avvio del procedimento teso a ottenerne lo scioglimento. In particolare, il generico richiamo alla “libera determinazione degli organi elettivi” contenuto nell’originaria dizione viene oggi ampliato e precisato fino a ricomprendere le possibili alterazioni del procedimento di formazione della volontà di tali soggetti istituzionali. Inoltre, insieme al principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione, il legislatore ha

riconosciuto la rilevanza al principio di imparzialità di cui agli artt. 3 e 97 della Costituzione, alla stregua del quale l’agire amministrativo deve assicurare la terzietà rispetto agli interessi dei singoli, senza operare discriminazioni fra le posizioni dei soggetti coinvolti. Ciò che rimane immutata è l’interpretazione giurisprudenziale215

cristallizzatasi sul precedente dato normativo in ossequio alla quale, stanti le finalità della norma, i presupposti sopra richiamati

debbono ritenersi alternativi tra loro e non cumulativi.

Le nozioni di “collegamento” e“condizionamento” non sono state tipizzate dal legislatore onde permettere la riconduzione al loro interno di ogni ipotesi di infiltrazione. La giurisprudenza ha tuttavia elaborato alcuni indici che possono attestare la presenza di

situazioni di inquinamento mafioso o criminale. Dette circostanze sintomatiche possono essere ravvisate ove ricorra:

- l’esistenza di rapporti di parentela degli amministratori con soggetti sicuramente mafiosi;

- la costante frequentazione di pregiudicati;

- l’esistenza di precedenti penali per gravi fatti di corruzione in capo agli amministratori locali;

215 In tal senso si è espressa la Corte Costituzionale, nella citata sentenza del 1993,

precisando che il potere di scioglimento “è previsto nella ricorrenza di talune situazioni, fra loro

alternative, quali a) i collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata, b) le forme di condizionamento degli amministratori, ma sempre che risulti che l’una o l’altra situazione compromettano la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle Amministrazioni comunali e provinciali nonché il regolare funzionamento dei servizi loro affidati, ovvero quando il suddetto collegamento o le suddette forme di condizionamento risultino "tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica". La norma esige, perciò, una stringente consequenzialità tra l’emersione, da un lato, di una delle due situazioni suddette, "collegamenti" o "forme di condizionamento", e, dall’altro, di una delle due evenienze, l’una in atto, quale la compromissione della libertà di determinazione e del buon andamento amministrativo nonché del regolare funzionamento dei servizi, l’altra conseguente ad una valutazione di pericolosità, espressa dalla disposizione impugnata con la formula (che ha come premessa i "collegamenti" o le "forme di condizionamento") "tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica".”

128 - l’inefficienza dei servizi offerti dagli enti locali;

- la carenza di controlli e trasparenza nell’erogazione di benefici economici;

- un grave dissesto finanziario;

- la mancata riscossione dei tributi o gravi irregolarità nel rilascio di autorizzazioni e licenze amministrative;

- costante e perdurante deviazione degli uffici comunali di edilizia e urbanistica dai compiti d’istituto;

- irregolarità o mancanza di trasparenza nell’affidamento del servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani;

- la mancata costituzione di parte civile del Comune in processi penali a carico di esponenti della criminalità organizzata locale; - la concessione di contributi a soggetti affiliati e/o vicini a sodalizi criminali o mafiosi216.

Gli elementi acquisiti devono essere “concreti, univoci e rilevanti”, in coerenza con il contenuto della circolare del Ministero

dell’Interno n.7102/M/6 del 25 giugno 1991 e gli orientamenti giurisprudenziali consolidati sul tema. Tutte queste indicazioni valgono a garantire una rigida delimitazione del giudizio di apprezzamento formulato dall’Autorità statale, la quale dovrà permanere entro i canoni richiesti e procedere al riscontro di elementi fattuali oggettivi, storicamente accertati, documentati e verificati, astenendosi da meri rilievi congetturali fondati solo su ragionamenti di tipo deduttivo. Sarà poi necessario verificare che gli elementi così raccolti presentino una coerenza di insieme e una significativa tendenza oggettiva. La giurisprudenza ha più volte precisato che, essendo la norma “preordinata alla difesa preventiva da un fenomeno criminale peculiare, invasivo delle articolazioni della vita economica e sociale, non richiede, per la sua applicazione né che i fatti considerati si traducano necessariamente in fattispecie delittuose né che, in ordine ad essi, sia raggiunta la certezza

probatoria, essendo sufficiente che gli elementi raccolti siano, da un lato, significativi di un condizionamento dell'attività degli organi di

216 Ex plurimis: Cons. Stato, Sez. VI, 10 marzo 2011, n. 1547; Cons. Stato, Sez. VI, 17

gennaio 2011, n. 227; Cons. Stato, Sez. VI, 15 marzo 2010, n. 1490; Cons. Stato, Sez. IV, 2 marzo 2007, n. 1004; Cons. Stato, Sez. IV, 6 aprile 2005, n. 1573; Cons. Stato, Sez. V, 14 maggio 2003, n. 2590; Cons. Stato, Sez. V, 2 ottobre 2000, n. 5225.

129 amministrazione, dall'altro, che tale condizionamento si ricolleghi all'influenza di gruppi di criminalità mafiosa o camorristica217”.

Questo significa che gli elementi presi in considerazione non devono necessariamente essere dotati di rilevanza penale218, ma al

tempo stesso non è sufficiente la notoria presenza della criminalità organizzata sul territorio.

L’accertamento dell’esistenza di forme di collegamento o condizionamento deve essere condotto nei riguardi degli amministratori locali individuati ai sensi dell’art. 77 T.U.E.L. : Sindaci, anche metropolitani, Presidenti delle Province, Consiglieri dei Comuni anche metropolitani e delle Province, componenti delle Giunte comunali, metropolitane e provinciali, Presidenti dei

Consigli comunali, metropolitani e provinciali, Presidenti,

Consiglieri e Assessori delle Comunità montane, componenti degli organi delle Unioni di Comuni e dei consorzi fra Enti locali, nonché i componenti degli organi di decentramento. Il comma 2 dell’art. 143, peraltro, prevede che gli elementi univoci, concreti e rilevanti sui collegamenti diretto o meno ovvero sulle forme di condizionamento vanno accertati anche con riferimento al

Segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti e ai dipendenti dell’ente locale. Nell’ipotesi in cui le verifiche tese all’individuazione di tali forme di condizionamento conducano al riscontro di elementi rilevanti nei riguardi di componenti

dell’apparato burocratico non è comunque possibile prescindere dall’accertamento del coinvolgimento anche degli organi di

indirizzo politico nelle illegittimità imputabili agli organi gestionali. Anche qualora non sia disposto lo scioglimento, ove la relazione prefettizia rilevi la sussistenza degli elementi su collegamenti o forme di condizionamento nei confronti del Segretario comunale o provinciale, del direttore generale, dei dirigenti e dei dipendenti, il

217 Cons. Stato, Sez. VI, 5 ottobre 2006, n. 5948.

218 Come chiarito dalla consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr., ex multis,

Cons. Stato, Sez. V, 2 ottobre 2000, n. 5225; Cons. Stato, Sez. IV, 4 febbraio 2003, n. 562; Cons. Stato, Sez. V, 14 maggio 2003, n. 2590; Cons. Stato, Sez. V, 18 marzo 2004, n. 1425; Cons. Stato, Sez. IV, 6 aprile 2005, n. 1573; Cons. Stato, Sez. V, 20 ottobre 2005, n. 5878; Cons. Stato, Sez. IV, 19 giugno 2006, n. 3612; Cons. Stato Sez. VI, 17 gennaio 2011, n. 227; Cons. Stato, Sez. III, 6 marzo 2012, n. 1266), la genericità del disposto normativo indica che la norma considera, per quanto concerne il "rapporto" fra gli amministratori e la criminalità organizzata, circostanze che presentano un grado di significatività e di concludenza inferiore rispetto a quelle che legittimano l’azione penale (delitti ex art. 416-bis cod. pen., delitti di favoreggiamento commessi in relazione ad esso) o di quelle che legittimano l’adozione delle misure di sicurezza nei confronti degli "indiziati" di appartenere ad associazioni di tipo mafioso o analoghe (legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni).

130 comma 5 dell’articolo 143 prevede l’adozione, con decreto del Ministro e su proposta del titolare della Prefettura, di

provvedimenti utili a far cessare immediatamente il pregiudizio in atto. Tra questi provvedimenti figurano: la sospensione

dall’impiego del dipendente e la sua destinazione ad altro ufficio o mansione con obbligo di avvio del procedimento disciplinare da parte della competente autorità.

L’art. 146 T.U.E.L. estende la schiera dei soggetti passivi richiamati dall’art.143, in considerazione del fatto che il radicamento criminale sul territorio spesso passa anche attraverso il controllo di altri enti che a vario titolo sono coinvolti nella gestione amministrativa del territorio.Oltre ai Consigli comunali e provinciali, possono quindi essere destinatari del provvedimento di scioglimento, ai sensi dell’art. 146 T.U.E.L.:

- Città metropolitane, Comunità montane, Comunità isolane e Unioni di Comuni;

- Consorzi di Comuni e Province;

- Organi comunque denominati delle Aziende sanitarie locali ed ospedaliere;

- Aziende speciali dei Comuni e delle Province; - Consigli circoscrizionali.

Dopo questa necessaria premessa di carattere generale, è giunto il momento di considerare più dettagliatamente il ruolo giocato dal Prefetto in materia. La novella del 2009 ha, innanzitutto,

procedimentalizzato la fase prodromica all’adozione del decreto di scioglimento, fino ad allora rimessa alla iniziativa discrezionale dei singoli funzionari prefettizi. Il Prefetto competente per territorio, appreso del potenziale rischio di infiltrazione, dispone ogni

opportuno accertamento teso a verificare la sussistenza di elementi di collegamento o condizionamento nel senso poc’anzi descritto. Per l’espletamento di queste operazioni il Prefetto nomina una Commissione di indagine composta di tre membri, mediante la quale esercita i poteri di accesso e accertamento di cui è investito per delega del Ministro dell’Interno in base all’art.2, comma 2-

131 dicembre 1991219. Il Consiglio di Stato ha espresso da tempo un

orientamento secondo il quale la nomina della Commissione di accesso non è obbligatoria, giacché lo scioglimento può essere disposto anche nei casi in cui “l’Amministrazione risulti in possesso di elementi chiari e univoci atti a valutare l’esistenza di un

condizionamento malavitoso all’interno della struttura politico- amministrativa dell’ente locale”(Cons. Stato, Sez. IV, 28 maggio 2009, n. 3331). In tale ipotesi il Prefetto è tenuto a indicare accuratamente nella propria relazione al Ministro dell’Interno i motivi in virtù dei quali ha ritenuto sufficienti gli elementi già acquisiti in relazione alle infiltrazioni mafiose. I lavori della Commissione devono giungere a conclusione entro tre mesi, suscettibili di rinnovo un’unica volta e per un massimo di altri tre mesi, a decorrere dalla data di accesso. La Commissione redige una relazione in cui vengono rassegnate al Prefetto le risultanze delle indagini.

Il loro ruolo di raccordo, collaborazione e interazione con il sistema delle autonomie locali impone alle Prefetture una costante azione di monitoraggio e vigilanza della realtà provinciale, con particolare attenzione ai profili dell’ordine e della sicurezza

pubblica. In qualità di osservatore privilegiato, dunque, è il Prefetto a raccogliere tutti i possibili segnali di un tentativo di infiltrazione della criminalità organizzata di tipo mafioso o similare nelle

amministrazioni locali e a dare avvio al procedimento di cui all’art. 143 del T.U.E.L.. Il potere prefettizio di accesso e accertamento presso gli enti locali va esercitato proprio alla luce di riscontri preliminari, se del caso attivati dopo o a corredo di inchieste condotte dalla magistratura nei riguardi di componenti

dell’apparato politico e burocratico del Comune e della Provincia in odore di mafia. In particolare, possiamo riconoscere rilievo

all’evenienza che, a seguito di provvedimenti dell’Autorità

219 Il D.L. n. 345 del 1991 ha attribuito al Ministro dell’Interno, con facoltà di delega nei

confronti dei Prefetti e del direttore della DIA, le funzioni in precedenza svolte dall’Alto Commissario per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa ai sensi del D.L. n. 629 del 6 settembre 1982, convertito in L. n. 726 del 12 ottobre 1982. La disposizione originaria in tema di accesso ed accertamento era infatti riferita all’Alto Commissario per il Coordinamento della lotta alla delinquenza mafiosa e prevedeva che

“qualora sulla base di elementi comunque acquisiti vi fosse necessità di verificare la sussistenza di pericoli di infiltrazione da parte della delinquenza di tipo mafioso, potessero essere esercitati, anche in deroga alle disposizioni vigenti, poteri di accesso e di accertamento presso pubbliche amministrazioni enti pubblici anche economici, banche, istituiti di credito pubblici e privati, società fiduciarie e presso ogni altro istituto o società che esercita la raccolta del risparmio o l’intermediazione finanziaria, con la possibilità di avvalersi della polizia tributaria”.

132 Giudiziaria, si verifichi una delle cause di sospensione o decadenza di diritto degli amministratori dell’ente locale previste dall’art. 59 del T.U.E.L. In questi casi, laddove si renda necessario verificare se vi siano pericoli d’infiltrazione, il Prefetto potrà accedere presso gli enti coinvolti al fine di acquisire dati e documenti e accertare le notizie concernenti i servizi dell’ente stesso. L’accertamento così disposto potrebbe far emergere da sé solo elementi già sufficienti a giustificare l’adozione di una proposta di scioglimento per

infiltrazione o, comunque, le sue risultanze potrebbero rafforzare il quadro indiziario che induce il Prefetto a disporre un ulteriore accertamento ex art. 143 del T.U.E.L. Il Prefetto, inoltre, potrà arricchire il proprio patrimonio conoscitivo attraverso

l’acquisizione di documentazione approntata da altri soggetti istituzionali che abbiano esaminato per esempio la gestione finanziaria dell’Ente. In tal senso appaiono particolarmente

significative le risultanze delle attività di monitoraggio, controllo e verifica affidate al Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato e, in particolare, dei compiti di competenza dell’Ispettorato di Finanza pubblica, ovvero le delibere rivolte dalle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti ai consigli comunali. Sempre a titolo esemplificativo, uno spunto verso successive indagini può arrivare al Prefetto dalle note informative delle Forze di polizia di cui all’art.16 della l.n. 121/1981, qualora sottopongano ad

attenzione le posizioni soggettive di amministratori e dipendenti comunali.

Al ricorrere dei presupposti, il Prefetto, acquisito il conforme avviso del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica,