• Non ci sono risultati.

provinciale della Prefettura?

La recente riforma, tuttora in fieri, ha il sapore di un ritorno alle origini. La confluenza negli Uffici territoriali dello Stato di tutti gli uffici periferici delle amministrazioni civili dello Stato presenta anche carattere logistico, in quanto gli Uts verranno organizzati come sedi uniche. Il modello della Prefettura – Ufficio territoriale del Governo di cui alla “legge Bassanini”, delineato dal d.P.R. n.287/2001, viene ripreso e aggiornato; in questa nuova veste esso presenta un ambito soggettivo più esteso, giacché rispetto al passato abbraccia tendenzialmente una larghissima parte delle articolazioni periferiche dei ministeri.

Occorre nondimeno notare che un elevato numero di tali diramazioni degli uffici periferici delle Amministrazioni statali interessate dal processo di assorbimento presentano una base provinciale, o comunque corrispondente al numero di Province esistenti prima che ne fossero istituite di nuove alla fine del secolo scorso. In certuni casi vi sono anche o solo uffici regionali; quanto alle odierne Prefetture, esse corrispondono quasi in toto alle

circoscrizioni delle Province. Tale circostanza va messa in relazione con l’abolizione dell’ente provinciale. Vexata quaestio che ha agitato più di una legislatura, la soppressione delle Province pare oggi più vicina che mai, stante la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del 15 aprile 2016 del testo della legge costituzionale la quale, fra le altre, prevede la rimozione dalla Carta costituzionale dei riferimenti a tali enti. Il testo è stato approvato in seconda lettura da entrambi i rami del Parlamento; difficile formulare previsioni in ordine ai suoi effetti futuri, stante il preannunciato referendum di cui formerà oggetto, tanto più che a tenere banco sino alla consultazione

referendaria saranno, con tutta probabilità, considerazioni di natura politica e non strettamente giuridiche.

Sarebbe altresì errato trascurare il fatto che nell’ordinamento vigente non è rinvenibile alcuna disposizione che ancori in maniera inequivocabile la figura prefettizia all’ambito territoriale provinciale: vengono in rilievo, infatti, solo previsioni che indirettamente si riferiscono a un radicamento del Prefetto in Provincia (un esempio è l’art. 13, l.n.121/1981). Sotto questo profilo va evidenziato come l’originario disegno di legge presentato dall’esecutivo non facesse

159 espresso riferimento a “un criterio di perimetrazione geografica corrispondente a quello delle attuali Province, né di qualunque altro criterio territoriale261”. Viene invece adottato un parametro

flessibile: l’estensione territoriale, la popolazione residente,

l’eventuale presenza della città metropolitana, le caratteristiche del territorio. A tale canone flessibile, evocato dall’art.8, lett.e), si aggiunge nel testo definitivo della legge il richiamo ai “criteri stabiliti dall’articolo 10 del decreto legge 6 luglio 2012, n.95”, di cui abbiamo parlato, e alle “esigenze connesse all’attuazione della legge 7 aprile 2014, n.56”. Quest’ultima dispone una transitoria (la

pendente riforma costituzionale impone il caveat) riorganizzazione dell’assetto provinciale, istituendo le città metropolitane e la trasformazione delle altre Province in enti privi di diretta rappresentatività. Il tentativo di accorpamento delle Province esistenti può invece ritenersi fallito, stante la decadenza del d.l.n. 188/2012 che lo prevedeva.

A questo punto si impongono tre considerazioni. La prima: come detto, gli uffici periferici dello Stato presentano un’articolazione su base principalmente provinciale; la seconda è che questo stride con il nuovo assetto costituzionale, in cui non sarebbero contemplate le Province quali enti di area vasta262 , rimanendo le sole Città

metropolitane. Terza e ultima: la legge richiede, sulla scorta dei criteri di cui sopra, la razionalizzazione della rete organizzativa e la revisione delle competenze “attraverso la riduzione del numero” delle Prefetture, tenendo però conto della necessità di attuare la l.n.56/2014, che nel disciplinare gli enti di area vasta non prevede né accorpamenti né modifiche territoriali, nonché dei criteri ex art. 10, d.l. n. 95/2012, che fa salva la circoscrizione provinciale come ambito territoriale degli Uffici territoriali dello Stato. La precisione impone di evidenziare che il progetto di riforma costituzionale non va oltre un generico riferimento a enti di area vasta263.

261 Così A.Carbone, La l.n. 124/2015 e le modifiche riguardanti le Prefetture, in

www.federalismi.it, Rivista di diritto pubblico italiano, comparato, europeo.

262 Si veda l’audizione parlamentare del prof. V. Cerulli Irelli del 23 settembre 2014,

secondo cui una volta soppresse le Province appare difficile mantenere la coincidenza del territorio provinciale con quello delle Prefetture.

263 Art. 40, co. 4, del cit. D.D.L. costituzionale C.2613-B, secondo cui “per gli enti di

area vasta, tenuto conto anche delle aree montane, fatti salvi i profili ordinamentali generali relativi agli enti di area vasta definiti con legge dello Stato, le ulteriori disposizioni in materia sono adottate con legge regionale. Il mutamento delle circoscrizioni delle Città metropolitane è stabilito con legge della Repubblica, su iniziativa dei Comuni, sentita la Regione”; è stato eliminato il riferimento all’“ordinamento

160 L’utilizzazione del già menzionato criterio flessibile, insieme alla eventuale soppressione delle Province e alla circostanza che l’art. 8, lett. e), richiede la riduzione del numero degli uffici, permette di ipotizzare tre possibili sviluppi. A. Carbone prospetta innanzitutto un “super ufficio territoriale dello Stato e Prefetti regionali, salvo correttivi per le Città metropolitane264”, alla luce della posizione

che la Regione andrebbe a ricoprire tra gli enti locali. Detta soluzione, nondimeno, risulta di difficile realizzazione e

scarsamente efficiente per ciò che attiene alla gestione dei servizi, proprio alla luce dello sviluppo prevalentemente in ambito

provinciale dell’Amministrazione periferica dello Stato. I due profili non sono indipendenti l’uno rispetto all’altro, bensì intimamente collegati: lo spostamento a livello regionale dell’erogazione dei servizi – e delle conseguenti responsabilità- significherebbe un notevole e dispendioso stravolgimento dell’assetto vigente. Un radicale mutamento del sistema periferico dello Stato, del resto, non garantirebbe, quantomeno in prima battuta, adeguati livelli di erogazione delle prestazioni, ponendosi peraltro in controtendenza con quell’attenuazione del rilievo riconosciuto alle Regioni che pare essere uno dei capisaldi della riforma costituzionale. Un’alternativa meno drastica ci giunge allora dalla seconda opzione in astratto prospettabile. Questa si risolve nel coniugare la trasformazione delle Prefetture in Uffici territoriali dello Stato con l’accorpamento delle stesse. Un punto di partenza per questa opera di

risistemazione potrebbe essere allora il progetto di ridefinizione e riduzione del numero delle Province delineato dall’ormai decaduto decreto legge n.188 del 2012, che andava proprio nel senso di una loro drastica riduzione.

La terza opzione ipotizzabile si caratterizza per il mantenimento della attuale base provinciale, sia pure con la previsione di correttivi coerenti con i criteri indicati dall’art. 8, lett. e), per garantire una maggiore efficienza nella prestazione e nella gestione dei servizi. Sgombrato il campo dalle Province, dunque, si potrebbe

riconoscere al Prefetto, in qualità di titolare degli Uffici territoriali dello Stato, la gestione di funzioni su di un ambito di area vasta sprovvisto dell’omonimo ente, ferma restando la presenza delle Città metropolitane. È questa la soluzione che permetterebbe di

degli enti di area vasta” nel testo del nuovo art. 117, co. 2, lett. p), Cost. originariamente

proposto dal D.D.L.

264 A.Carbone, La l.n. 124/2015 e le modifiche riguardanti le Prefetture, in www.federalismi.it,

161 non sciogliere il plurisecolare abbraccio tra la realtà provinciale e la Prefettura, riservando al titolare della seconda una pressoché inedita posizione di primazia coerente con l’esigenza di conferire maggiori poteri all’Amministrazione centrale, secondo quelli che sono i predicamenti del nuovo disegno ordinamentale in via di definizione. A deporre in favore di questa soluzione è il dettato dello stesso art. 8, lett. e), che fa esplicito riferimento ai criteri di cui all’art.10 del d.l. n.95/2012; quest’ultimo, infatti, al comma 2, lett.b), prevede espressamente il “mantenimento della

circoscrizione provinciale quale ambito territoriale di competenza delle Prefetture – Uffici territoriali del governo e degli altri uffici periferici delle pubbliche amministrazioni dello Stato, già

organizzati su base provinciale, salvo l’adeguamento dello stesso ambito a quello della città metropolitana, laddove costituita”. Non sfugge però come la disposizione testé riportata si ponga in patente contrasto con l’esigenza di riduzione del numero delle Prefetture che intride lo stesso art. 8, lett.e).

Altra questione, di carattere squisitamente pratico, è quella relativa alle sedi che dovranno ospitare l’Ufficio territoriale dello Stato, atteso che il più volte menzionato art.8, lett. e), prevede

espressamente che essi siano organizzati in un’unica sede. Nelle aree più estese e popolate questo potrebbe rappresentare una criticità, specie se il numero degli Uffici territoriali dello Stato dovesse risultare inferiore a quello delle attuali Prefetture. Tanto più che a livello strettamente organizzativo e logistico è forte la difficoltà di collocare diversi uffici in un solo edificio, complessità che da sé sola potrebbe mettere a repentaglio l’attuazione del criterio dell’unica sede laddove non si optasse per strumenti aggiuntivi quali, a esempio, sportelli quali punti di contatto con cittadini e imprese. Un’ulteriore alternativa per garantire l’unitarietà di sede a fronte della poliedricità dei settori di intervento potrebbe essere il recupero della esperienza storica della sottoprefettura, quale struttura priva di funzioni decisorie e “avamposto rispetto alle esigenze delle collettività locali. Essa, dunque, non

costituirebbe una duplicazione della Prefettura ma contribuirebbe a garantire il controllo del territorio, il rapporto con le autonomie locali e i servizi alla collettività265”. Si tratterebbe, in buona

265 C. Meoli (a cura di), Rifondazione dell’Ufficio territoriale del Governo nella prospettiva

dell’abolizione delle province, testo del venticinquesimo corso di formazione per l’accesso

162 sostanza, di un filtro rispetto alle problematiche emergenti dalla realtà locale, da sottoporre successivamente all’attenzione del Prefetto per l’adozione dei provvedimenti finali.

Il ripensamento dell’ente provincia offre inoltre il destro per una ridefinizione delle attribuzioni prefettizie che, in una prospettiva de

iure condendo, preveda un ruolo forte e istituzionalizzato della

Prefettura nell’intervento sostitutivo, anche al di fuori del perimetro dell’articolo 120 della Costituzione. Come visto in precedenza, entro gli Uffici territoriali dello Stato il Prefetto dovrà assumere, ferme restando le sue precedenti funzioni, la

responsabilità dell’erogazione dei servizi ai cittadini e la direzione e il coordinamento dei dirigenti degli uffici facenti parte dell’Ufficio medesimo, “eventualmente prevedendo l’attribuzione allo stesso di poteri sostitutivi (..) e di rappresentanza dell’amministrazione statale, anche ai fini del riordino della disciplina in materia di conferenza di servizi di cui all’art. 2”. L’originario testo del disegno di legge governativo si limitava al riconoscimento di poteri di coordinamento, mancando ogni riferimento ai poteri direttivi e a quelli, eventuali, di carattere sostitutivo. Una scelta da più parti criticata, giacché la affermazione di una responsabilità prefettizia nell’erogazione dei servizi ai cittadini non può non essere corredata e corroborata da pregnanti poteri di coordinamento nei riguardi dei dirigenti degli altri uffici, fino a prefigurare una vera

sovraordinazione funzionale. La circostanza per cui tali uffici saranno accorpati in una sede unica è coerente con questa seconda prospettiva, in quanto tale accentramento pratico sarebbe superfluo ove il compito prefettizio di coordinamento fosse meramente esterno (a patto, però, di non ritenere tale misura finalizzata soltanto a un abbattimento dei costi). L’insieme di queste

considerazioni pare dunque costituire il motivo dietro la scelta del testo definitivo di attribuire al Prefetto, nello svolgimento dei propri compiti, la già menzionata sovraordinazione funzionale e poteri sostitutivi nei confronti dei dirigenti degli altri uffici.

La posizione del Prefetto sembra quindi destinata a significativi mutamenti. Già il disegno di legge delega si avvede di tale circostanza, affermando che i decreti delegati di attuazione dovranno individuare “la dipendenza funzionale del Prefetto in relazione alle competenze esercitate”. Non sembra così

163 a trovarsi in una posizione affatto singolare, stante l’accentuazione del suo ruolo di referente locale per molti ministeri, sino ad

adombrare il passaggio da una dipendenza dal Ministro dell’Interno a una multipla, diversificata a seconda delle funzioni dispiegate. Quel che è certo è che la direzione intrapresa va nel senso di un’ulteriore estensione della vocazione generalista del funzionario prefettizio, caricato di crescenti attribuzioni e responsabilità e sempre più “problem shooter”.

Non può però sottacersi che una riforma di così ampia portata rischi di incorrere nella medesima, infelice sorte toccata ad alcuni dei tentativi che l’hanno preceduta: rimanere lettera morta, a causa delle tenaci resistenze che da più parti potrebbero essere opposte alla sua attuazione. Il ricordo dell’esito fallimentare dei numerosi esperimenti riformistici è ancora troppo fresco perché non si avverta il timore che una certa parte dell’apparato amministrativo non si lanci ancora una volta nella difesa “corporativistica” dei propri spazi. Allo stesso tempo, sarebbe altrettanto infruttuoso ridurre la portata dell’intervento riformatore quando questi è ancora ben lungi dal completamento. La questione centrale, difatti, non si risolve nella diminuzione del numero delle Prefetture ovvero nel semplice arretramento del presidio statale in periferia. La

rifondazione dell’ufficio prefettizio è in realtà una delle molte estrinsecazioni di un’assai più ampia riprogettazione dello Stato sul territorio, il portato di un ripensamento che auspicabilmente

perseguirà la strada della concentrazione e dell’unitarietà per fornire al cittadino, al tessuto produttivo e alle autonomie un solo, coeso interlocutore.

164

CONCLUSIONI

Come accennato in premessa, l’intento che anima questo lavoro è quello di mostrare, attraverso una diacronica esposizione delle vicende normative concernenti l’autorità prefettizia, quali fermenti e trasformazioni abbiano percorso la disciplina della presenza statale sul territorio. Lungi dall’essere un mero ingranaggio nella macchina amministrativa, infatti, il Prefetto è la perfetta cartina al tornasole del continuo avvicendarsi di indirizzi normativi ora favorevoli al decentramento, ora alla concentrazione dei poteri. Il funzionario prefettizio, proprio perché chiamato ad attuare sul territorio le scelte politiche assunte in seno all’esecutivo in qualità di suo rappresentante in provincia, ha sempre subito le

conseguenze di questa alternanza: sia nella denominazione degli uffici che nelle funzioni attribuite. Ecco allora che nell’arco di pochi decenni si può assistere al trapasso dalla “prefettocrazia” giolittiana al totale silenzio della Costituzione sul tema delle Prefetture, dalla valorizzazione alla scarsa considerazione. Longa

manus di quegli esecutivi che hanno voluto imporre in tutta la loro

evidenza il proprio potere sul territorio, l’istituzione prefettizia è invece divenuta quasi un ingombrante fardello nel periodo del secondo dopoguerra: avvertita come un retaggio di un passato marcatamente accentratore, è stata brevemente – e con scarsi frutti- costretta alla convivenza con il Commissario del governo. Se

accogliamo questa chiave di lettura, allora, la mancata attuazione dell’Ufficio Territoriale del Governo si pone come un esempio preclaro di alcune tendenze, potenzialmente assai perniciose, che affliggono l’apparato amministrativo italiano. La trasformazione della Prefettura in Ufficio Territoriale del Governo, difatti, è fallita a causa della irriducibile ritrosia delle amministrazioni statali periferiche interessate all’accorpamento, andando dunque a

perpetuare quella frammentazione dei centri di spesa che connota il sistema italiano e grava sulle casse dello Stato; a farne le spese è stato il cittadino, privato di quello che avrebbe potuto essere un proficuo interlocutore unico cui rapportarsi. L’instancabile dialettica tra centro e periferia ha pertanto trovato nel Prefetto il proprio terreno di scontro: totem ideologico dei fautori di una presenza forte dello Stato in provincia, bersaglio degli strali dei sostenitori di tesi autonomistiche; una tale contrapposizione ha scandito le legislature, con alterni risultati.

165 Figura capace di calamitare il favore di grandi statisti come

Napoleone e Giolitti, ma anche la feroce avversione di personaggi fondamentali della nostra cultura (Salvemini, Einaudi, Massimo Severo Giannini: l’elenco è copioso), l’autorità prefettizia è oggi un dato acquisito di ogni realtà provinciale. Il tema del dibattito non risiede più nell’an, cioè nella necessità o meno della presenza sul territorio di un funzionario generalista a operare in qualità di tramite tra Roma e la periferia. L’affastellarsi di funzioni in capo al Prefetto, difatti, lo ha reso un prezioso, se non irrinunciabile, alleato degli amministratori locali, cui questi possono rivolgersi per la risoluzione di tanta parte delle problematiche poste dal vivere comune nei settori più disparati: economico, sociale, ambientale, passando per la sicurezza e la mediazione delle crisi aziendali. Il Prefetto ha saputo in altri termini radicarsi in seno alla comunità che è chiamato a gestire, divenendo un’autorità riconoscibile al cittadino, un presidio di legalità e sicurezza che fa della prossimità alle istanze locali il proprio tratto caratterizzante. Il funzionario prefettizio si è pertanto evoluto in un attento lettore istituzionale della realtà sociale di riferimento, sviluppando una profonda conoscenza, anche sul piano statistico, del proprio contesto di riferimento; un tale patrimonio conoscitivo rappresenta tanto il punto di partenza degli interventi provenienti dalla Prefettura, quanto il presupposto di una più puntuale e informata azione governativa.

Un accorato riconoscimento all’attuale importanza del Prefetto sul territorio giunge dall’intervento dell’allora Presidente della

Repubblica Carlo Azeglio Ciampi presso la Scuola Superiore dell’amministrazione dell’Interno il 13 dicembre 2002, in occasione della cerimonia conclusiva delle celebrazioni per il bicentenario dell’istituto prefettizio266. Il discorso del Capo dello Stato esalta

proprio “il servizio che il Prefetto rende alla comunità nazionale come garante dell'equilibrio tra i poteri pubblici che operano nel territorio”, in un intenso dialogo tra le autorità locali, la società civile e l’amministrazione centrale nelle sue diverse articolazioni periferiche. Ciampi rigetta dunque la versione riduttivistica dell’autorità prefettizia che la vorrebbe soltanto una mera risolutrice di problemi, per elevarla a fondamentale mediatrice e forza propulsiva di sinergie tese ad arricchire il capitale sociale presente nell’area provinciale. Sotto questo profilo, allora, un

166 considerevole ausilio giunge al Prefetto dalle Conferenze

permanenti, quali sedi di concertazione e raccordo fra le

amministrazioni centrali e periferiche, una camera di decantazione di interessi eterogenei che avvicina i diversi livelli di governo e favorisce la coesione sociale. Tali consessi esplicano una delicata funzione di concertazione interistituzionale che coinvolge tutti i livelli di governo ed è informata al principio di leale collaborazione, inserendosi come ulteriore tassello di un vero e proprio sistema di Conferenze cui appartengono anche la Conferenza Stato-Regioni, la Conferenza Stato-Città e Autonomie locali e la Conferenza unificata. L’attività congiunta delle Prefetture e delle Conferenze Permanenti permette la coesistenza di un raccordo verticale fra centro e periferia con un coordinamento operativo orizzontale in ambito locale.

Un radicale mutamento del quadro politico nazionale ha sottratto alla questione del decentramento quell’impellenza che in passato le veniva comunemente riconosciuta. Come evidenzia Ciampi nel proprio discorso, è venuta meno la percezione di una inconciliabile dicotomia tra centro e periferia: “rafforzamento delle autonomie, rafforzamento della unità, del prestigio e della dignità dello Stato, sono obiettivi che possono, devono essere perseguiti

congiuntamente. I cittadini non li sentono divergenti. Sono due facce della stessa medaglia. La valorizzazione delle specificità diffuse nel territorio fortifica nelle coscienze l'identità nazionale, che infatti sta vivendo una sua nuova fioritura, soprattutto tra i giovani”. Questo ulteriore sviluppo del ruolo prefettizio è coerente con il riformato titolo V della Costituzione; esso ha ricevuto

consacrazione con il d.P.R. n.180/2006, a mente del quale la Prefettura assurge a centro unitario di riferimento, coordinamento e sintesi degli interessi pubblici, cinghia di trasmissione che unisce il sistema regionale a quello provinciale. Se, come detto poc’anzi, la discussione dottrinale e legislativa non verte più circa la necessità o meno del Prefetto in provincia a fronte della sua ormai conclamata irrinunciabilità, si profilano però nuovi scenari, che impongono complesse scelte gravide di conseguenze. Il vero tema, oggi,

concerne la scelta della configurazione da impartire alle Prefetture, per renderle capaci di affrontare con successo le sfide di una realtà sempre più liquida e quelle scaturenti dalle esigenze di

167 Nella sua evoluzione storica, l’istituto prefettizio è sempre stato ancorato alle peculiarità del territorio della provincia in cui svolge la propria attività. In questa prospettiva l’ambito territoriale di