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Le prospettive demografiche

Nel documento RAPPORTO ANNUALE (pagine 196-200)

Capitolo 4 - La crisi e le sostenibilità

4.3 La sostenibilità sociale: capitale umano e questione giovanile

4.3.1 Le prospettive demografiche

Coloro che oggi sono giovani rappresentano in prospettiva la popolazione adulta, chiamata a sostenere il peso di chi è o troppo piccolo o troppo anziano per lavorare. Com’è noto, in Italia le classi giovanili sono poco numerose, risultato questo non solo di un significativo allungamento della speranza di vita, ma anche di comportamenti riproduttivi caratterizzati da bassa fecondità. Alla fine del 2009 l’Italia, per il terzo anno consecutivo, presenta una dinamica naturale della popo-lazione (differenza tra nascite e decessi) negativa, con un saldo pari a -0,3 per mille, più consistente in valore assoluto rispetto a quelli registrati nel pre-cedente biennio. L’aumento della popolazione immigrata ha però fatto sì che, nel 2009, si raggiungesse e superasse il livello di 60 milioni di abitanti.

L’analisi degli indicatori strutturali e di carico demografico, stimati per l’anno 2009, conferma un quadro di forte invecchiamento della popolazione residente, una crescita complessiva della popolazione del 5,7 per mille, un livello di fecondità che, seppur in ripresa rispetto ai minimi toccati alla metà degli anni Novanta, an-cora non consegue un livello delle nascite che permetta di mantenere almeno co-stante la consistenza demografica.

Le sempre più favorevoli condizioni di sopravvivenza fanno registrare un incre-mento delle persone di 65 anni e più, che rappresentano il 20,2 per cento della polazione. Nel 2009 il nostro Paese si colloca nel contesto europeo al secondo po-sto dopo la Germania (20,4 per cento) per incidenza della popolazione anziana. Quella in età attiva (15-64 anni) è invece pari al 65,8 per cento (in diminuzione di due punti percentuali rispetto al 2000).

Con riferimento all’anno 2008, insieme ad Austria (9,3 per mille) e Germania (8,3 per mille), l’Italia si piazza in coda alla classifica Ue con il tasso di natalità più basso (9,6 per mille), a fronte di una media europea di poco superiore al 10 per mille. Il tasso di mortalità, al contrario, è pari al 9,8 per mille, in linea con la me-dia europea.

Il numero medio di figli per donna è stimato in 1,41, valore che pone l’Italia in una posizione molto lontana da quella degli altri grandi paesi europei (Francia 2,02 e Regno Unito 1,94). Il tasso di fecondità delle donne italiane è mediamen-te di 1,33 figli per donna, contro i 2,05 delle cittadine straniere che, inoltre, han-no modelli riproduttivi caratterizzati da un’età media al parto più precoce (28,7 anni) rispetto a quello delle italiane (31,7 anni).

L’indice di vecchiaia, ossia il rapporto percentuale tra anziani (persone di 65 anni e più) e giovani (0-14 anni), raggiunge quota 144, contro 127 del 2000, e po-siziona l’Italia al secondo posto nella classifica dei paesi europei dopo la Germania che, con un indice pari a 150,2, è il paese più vecchio d’Europa.

Ancora più problematico appare lo squilibrio generazionale: il rapporto di di-pendenza tra le persone in età inattiva (0-14 anni e 65 anni e più) e la

popolazio-La popolazione è in crescita grazie all’apporto degli stranieri

L’Italia ha un tasso di natalità tra i più bassi d’Europa

Il numero medio di figli per le donne italiane è 1,33, per le straniere 2,05

10Pari a 2,1 figli per donna.

11Le previsioni riportate forniscono un set di stime puntuali ritenute “verosimili” che, costruite in base alle recenti tendenze demografiche, rappresentano quelle di maggiore interesse per gli utilizzatori. Altri due scenari (alto e basso) sono stati impostati definendo una diversa evoluzione per ciascuna componen-te demografica rispetto allo scenario qui considerato (scenario centrale). Le due varianti tracciano ideal-mente un percorso alternativo, dove ciascuna componente apporterà maggiore (scenario alto) o minore (scenario basso) consistenza alla popolazione. Per lo scenario alto ciò significa fecondità, sopravvivenza e flussi migratori (interni e con l’estero) più sostenuti, mentre vale esattamente l’opposto nello scenario basso. Per le previsioni relative ai due scenari alternativi si rimanda a Istat. Previsioni demografiche. (Novità editoriali, 19 giugno 2008).

Numero Speranza di vita Speranza di vita Saldo migratorio ANNI medio di figli alla nascita alla nascita estero per donna (maschi) (femmine) (migliaia)

2010 1,42 79,1 84,6 264

2030 1,57 82,2 87,5 195

2050 1,58 84,5 89,5 197

Fonte: Istat, Rilevazione della popolazione residente comunale per sesso, anno di nascita e stato civile

(a) Previsioni demografiche.

Tavola 4.3 - Ipotesi di sviluppo demografico al 1° gennaio - Anni 2010, 2030 e 2050 (a)

ne che “teoricamente” si fa carico di sostenerle economicamente (15-64 anni) è passato in Italia dal 48 al 52 per cento in dieci anni, in funzione del peso crescen-te delle persone anziane (da 26,8 ogni 100 in età attiva nel 2000 a 30,7 nel 2009). In questo modo, il nostro Paese si colloca al terzo posto della graduatoria europea dopo Francia (53,9) e Svezia (52,5).

L’incremento della popolazione immigrata opera un parziale riequilibrio della struttura per età della popolazione poiché colma, almeno in parte, le lacune gene-razionali degli italiani. Gli stranieri residenti in Italia hanno, infatti, un’età media di 31,5 anni, nettamente inferiore a quella dei residenti di cittadinanza italiana (44,2 anni); in particolare, il 22 per cento degli immigrati residenti è minorenne e il 70 per cento ha meno di 40 anni (i residenti italiani nelle stesse classi di età so-no rispettivamente il 17 e il 43 per cento).

Se questi dati fotografano la situazione attuale, prospettare il futuro demo-grafico del Paese equivale a comporre tra loro diverse ipotesi sui comportamen-ti riprodutcomportamen-tivi, di mobilità e sopravvivenza, i quali rappresentano la somma del-le decisioni individuali, nel contesto deldel-le opportunità o dei costi/benefici of-ferti dall’ambiente in cui le persone vivono. L’Istat effettua regolarmente previ-sioni demografiche, i cui risultati segnalano possibili evoluzioni della dimen-sione e della struttura della popolazione, di particolare rilievo per l’analisi del-la sostenibilità sociale.

Fecondità: i cambiamenti della società italiana occorsi dalla metà degli anni Sessanta in avanti hanno comportato il passaggio a modelli riproduttivi che non consentono il livello di sostituzione delle generazioni,10anche se le più fa-vorevoli tendenze riproduttive mostrate dalla popolazione straniera immigrata nel nostro Paese (perlomeno nei primi anni d’insediamento) influiranno sulla ripresa della fecondità totale, data anche la giovane struttura per età delle cop-pie immigrate. Supponendo che gli ostacoli che oggi comprimono la fecondità della popolazione italiana possano essere, almeno in parte, rimossi,11appare ve-rosimile un percorso di convergenza verso i livelli medi europei. In particolare, si prevede che il numero medio di figli per donna possa crescere fino a 1,58 nel 2050 e si verifichi un ulteriore spostamento in avanti del calendario riprodut-tivo, con età media al parto a 33,4 anni nel 2050 (Tavola 4.3).

Lo squilibrio generazionale dell’Italia è tra i più marcati d’Europa Il 22 per cento degli immigrati residenti è minorenne Nel 2050 il numero medio di figli per donna potrebbe salire a 1,58…

0-14 15-29 30-44 45-64 65-84 85+ 0 20 40 60 80 100 2011 2021 2031 2041 2051

Fonte: Istat, Rilevazione della popolazione residente comunale per sesso, anno di nascita e stato civile

(a) Previsioni demografiche.

Figura 4.14 - Popolazione per classe di età al 1° gennaio - Anni 2011-2051 (a)

(valo-ri percentuali)

4. LA CRISI E LE SOSTENIBILITÀ

Sopravvivenza: molto si discute se i cambiamenti negli stili di vita e i progressi della medicina continueranno ad avere in futuro un impatto importante sulla so-pravvivenza come nel passato. Il progresso scientifico non è, infatti, di per sé suffi-ciente a delineare in termini quantitativi le tendenze future, indipendentemente dalla considerazione di altri fattori, quali i possibili mutamenti del quadro epide-miologico. Oggi circa l’80-85 per cento dei decessi si registra per via di malattie cro-niche, tumori e malattie cardiocircolatorie. Anche se l’azione della ricerca medica volta alla cura di queste malattie sta producendo risultati incoraggianti, riguardo al futuro sussiste, tuttavia, l’eventualità che la pur efficace lotta alle cause di morte co-nosciute possa lasciare lo spazio per l’insorgenza di nuove patologie. A questo pro-posito si può ritenere che l’emergere di nuove forme letali (come nel caso di nuove e improvvise ondate di malattie infettive) possa essere arginato grazie al migliora-mento degli stili di vita individuali, a nuove tecniche mediche, al recupero di effi-cienza delle istituzioni pubbliche e private che operano nel settore della salute. In-fine, è necessario considerare il possibile impatto sulla salute degli individui dei di-versi fattori ambientali, quali l’inquinamento e i cambiamenti climatici legati al surriscaldamento del pianeta e all’effetto serra. Pur con queste cautele, entro il 2050 si può ipotizzare un’ulteriore riduzione dei rischi di morte per le principali cause e guadagni di sopravvivenza a tutte le età e, in particolar modo, in quelle oltre i 60-65 anni di vita. Nel complesso, ci si attende un aumento della speranza di vita, più consistente per gli uomini, anche se non superiore a quello registrato nell’ultimo trentennio. Nello scenario ipotizzato, la speranza di vita alla nascita nel 2050 rag-giungerebbe gli 84,5 anni per gli uomini e gli 89,5 anni per le donne.

In presenza di un allungamento della vita media, e nonostante un aumento del numero medio di figli per donna, la popolazione tenderà gradualmente a invec-chiare, con una crescita della quota di anziani e una relativa riduzione della popo-lazione in età lavorativa. In particolare, tra oggi e il 2051 è previsto un calo di cir-ca 400 mila giovani fino a 14 anni di età (raggiungeranno così il numero di 7,9 milioni), che determinerà una contrazione della relativa quota sul totale della po-polazione dal 14,0 al 12,9 per cento.

Anche la popolazione in età attiva si ridurrà in misura consistente: lo scenario prescelto, infatti, prefigura una situazione per la quale i potenzialmente attivi si ri-durranno a 37,4 milioni entro il 2031 e a 33,4 milioni entro il 2051. La popola-zione in età attiva passerebbe così dal 65,8 per cento di oggi al 54,2 per cento en-tro il 2051 (Figura 4.14).

… la speranza di vita arrivare a 84,5 anni per gli uomini e 89,5 anni per le donne… … la quota di giovani fino a 14 anni scendere al 12,9 per cento della popolazione…

2009 0,9 0,7 0,5 0,3 0,1 0,1 0,3 0,5 0,7 0,9 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 Età 2051 (a) 0,9 0,7 0,5 0,3 0,1 0,1 0,3 0,5 0,7 0,9 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 Età

Italiani Stranieri Italiane Straniere

Fonte: Istat, Rilevazione della popolazione residente comunale per sesso, anno di nascita e stato civile

(a) Previsioni demografiche.

Figura 4.15 - Piramide della popolazione residente per sesso al 1° gennaio - Anni 2009 e 2051

(valori percentuali)

In valore assoluto, gli anziani potrebbero raggiungere i 20,3 milioni entro il 2051. In termini relativi gli ultra 64enni, oggi pari al 20,2 per cento del totale (uno ogni cinque residenti), rappresenteranno nel 2051 il 33 per cento della po-polazione (uno ogni tre). Crescerebbe, inoltre, in misura consistente il numero delle persone molto anziane: i “grandi vecchi” (convenzionalmente, gli individui di 85 anni e oltre) potrebbero, infatti, raggiungere i 4,8 milioni nel 2051 (il 7,8 per cento del totale, Figura 4.15).

I cambiamenti della struttura per età comporteranno nel tempo un sempre più marcato effetto sui rapporti intergenerazionali, in primo luogo tra popolazione in età attiva e non attiva. L’indice di dipendenza degli anziani, ossia il peso della po-polazione ultra 64enne su cento potenziali attivi di età 15-64 anni, passerebbe dal valore attuale (pari a 31) a 45 entro il 2031, per salire ancora fino a 61 nel 2051. L’indice di dipendenza giovanile (cioè il rapporto tra i giovani fino a 14 anni su cento potenziali attivi di età 15-64 anni), oggi pari a 21, si manterrebbe pressoché costante fino al 2031, per avviarsi nel periodo successivo a una crescita che lo por-terebbe a 24 nel 2051.

Molto più critico, in prospettiva, è l’andamento del rapporto tra anziani e giova-ni: l’indice di vecchiaia, che già oggi segnala un forte squilibrio (144 anziani ogni cento giovani), aumenterebbe in futuro fino a pervenire, nel 2051, al livello di 256. Naturalmente, per tradurre questi indici di carico in termini di dipendenza economica è necessario considerare altri aspetti decisivi, quali l’andamento dei tas-si di partecipazione al lavoro, la durata del periodo della formazione scolastica (che tende mediamente ad allungarsi) e gli effetti dei regimi pensionistici, che consen-tono il ritiro dal lavoro a diverse classi di età anagrafica e lavorativa. Tuttavia, di fronte al basso livello d’incertezza che caratterizza le previsioni sulla crescita del rapporto “anziani-attivi”, è indubbio che, tra i vari problemi chiamati in causa dal-la demografia, quello dello squilibrio intergenerazionale rappresenti dal-la sfida più importante per l’Italia di oggi e di domani.

…e quella di “grandi vecchi”

salire al 7,8 per cento.

COORTI DI NASCITA Maschi Femmine

Prima del 1928 27 24 1929-33 27 24 1934-38 26 24 1939-43 25 23 1944-48 25 23 1949-53 25 22 1959-63 26 23 1964-68 26 24

Fonte: Istat, Indagine multiscopo Famiglia e soggetti sociali

Tavola 4.4 - Età mediana all’uscita dalla famiglia di origine per sesso e coorte di nascita al 2003 (anni)

4. LA CRISI E LE SOSTENIBILITÀ

Nel documento RAPPORTO ANNUALE (pagine 196-200)