Giochi con la clessidra
8. Realismo emozionale e marketing territoriale
La canzone napoletana è uno dei miti matrice della Napoli post-unitaria, e riguarda innanzitutto l’identità e l’alterità napoletane. Fonda il noi contro il loro: i piemontesi, gli italiani, i romani, i milanesi.
Tutta la letteratura sulla canzone – un apparato paratestuale e peritestua- le nutrito di una cultura giornalistica che funziona da crogiolo per romanti- cismo, idealismo, positivismo, storicismo, bozzettismo, folklore e mondani- tà locale/nazionale – ha in prima istanza una funzione promozionale e nor- mativa: di spinta e guida al consumo.
stuali della canzone soltanto in questa loro efficacia. Sarebbe riduttivo non solo rispetto ai loro intenti ma, soprattutto, riguardo agli esiti: la creazione di un mito che resiste al tempo e all’usura del degrado cittadino. E che è e- videntemente funzionale a rendere socialmente ed intellettualmente soste- nibile l’ambivalenza con cui le classi borghesi napoletane affrontano la dif- ficile integrazione nella nuova compagine nazionale e il riposizionamento della città nell’economia-mondo europea. Negli scambi sociali e nella cir- colazione comunicativa, le canzoni precisano infatti le loro caratteristiche
napoletane proprio perché i napoletani, non senza disagio, stanno integran-
dosi e differenziandosi nell’Italia unita. E riposizionandosi in una Europa che, alla fine dell’Ottocento, è ancora il centro del mondo.
Il salotto è uno dei luoghi più importanti – anche se ai nostri occhi di posteri più invisibili e scarsamente documentabili – della valorizzazione sociale delle canzoni, che qui avviene, oltre che nell’esecuzione casalinga, nelle interazioni sociali corollarie alla produzione/consumo collettiva: nelle
chiacchiere sulla maggiore o minore perizia e fama degli autori e degli in-
terpreti, sui significati dell’opera, nei pettegolezzi intorno a protagonisti della scena, del retroscena, del pubblico. Ed anche nella costruzione sociale del mito che, man mano che la situazione produttiva si complessifica, si fonda progressivamente in letture e interpretazioni delle canzoni che av- vengono connettendo transmedialmente spartiti, riviste, giornali, illustra- zioni, locandine, cartoline, critiche, conversazioni, pettegolezzi.
Alla fine degli anni Ottanta del XIX secolo la lettura e l’esecuzione del- le singole canzoni si arricchiscono dei significati cumulati in questa sorta di
transmedia storytelling delle mitologie della canzone napoletana. Un effet-
to particolarmente potente di questo paratesto si ha nelle letture delle can- zoni come descrizione della città o di alcuni suoi luoghi simbolo. Ancor oggi si ritiene comunemente che le canzoni descrivano luoghi e caratteri cittadini. In realtà, nei testi letterari della canzone classica non si trovano mai riferimenti a località definite. Ad esempio, non viene mai nominato il luogo tipico di tutta l’iconografia: il Vesuvio. Nemmeno in Funiculì Funi-
culà, che pure è dedicata proprio alla funicolare che vi si inerpicava. Nei
testi troviamo soltanto sole, mare, cielo, aria ‘mbarzamata, testimoni muti che illuminano situazioni e sentimenti del loro splendore. Tutta la funzione referenziale alla città è assolta dall’uso del dialetto. Mentre legame più po- tente con il contesto territoriale è negli elementi paratestuali: la titolazione, l’illustrazione, la “letteratura” di contorno e di commento.
Il lavoro intertestuale fra le canzoni e i loro apparati paratestuali avviene già nelle raccolte, nella prima metà del secolo. Già i Passatempi, nella edi- zione del 1825, sono adorni di litografie nel frontespizio (una tarantella per il 4° fascicolo, i Viggianesi per il 5°, e gli zampognari per il 6°), mentre
una raccolta come Pascariello dei F.lli Migliorato, databile 1840, con le sue «graziose vignette in litografia» che illustrano ogni canzone, è concepi- ta proprio per attivare letture intertestuali fra musica, testo letterario, titola- zione e illustrazione.
Cielo, mare, luna, aria e sole, nella canzone classica fine ottocentesca,
partecipano sempre alle vicende alle quali assistono: il sole bacia, il suo cala-
re dà malinconia, il mare mormora o tace per non svegliare il marinaio che soffre per amore, la luna guarda, il vento sospira, nell’aria c’è sempre una voce, un canto che chiama, lusinga, sveglia, invita. In un costante intersecarsi fra elementi e casi umani, gli uni riverberano sugli altri le loro qualità di ma- linconia o festevolezza, di invito o ripulsa, di nostalgia o tenerezza.
L’identificazione del fruitore con i protagonisti umani della canzone, ot- tenuta tramite il richiamo ai temi “universali” del sentimento, favorisce la sensazione di realtà e fisicità degli elementi naturali tanto strettamente con- nessi alle emozioni evocate. È un po’ quello che Ien Ang (1985) chiama
realismo emozionale: le proiezioni intorno alle situazioni emozionali vissu-
te dai personaggi, conferendo realtà alle situazioni/emozioni, rendono cre- dibili anche i più inverosimili contesti. Processo che, in questo caso, è faci- litato anche dalla eliminazione di ogni riferimento concreto a luoghi reali: nelle canzoni c’è sempre un rapporto diretto con gli elementi naturali, men- tre ogni riferimento reale e sociale è accuratamente evitato. Soltanto il dia- letto rimanda a una precisa unità etnica e territoriale, ed è grazie al suo uso che la città diviene il luogo dove la natura fa eco ai sentimenti umani. Ai consumatori viene offerto, con le canzoni, anche un universo immaginario pacificato: una sorta di Arcadia napoletana, luogo ideale di vita amena, idil- lica e del tutto separata dalla realtà, dove ai pastorelli si sostituiscono mari-
narielli e luciane, e il tempo e la storia sfumano, nello splendore ammalian-
te dell’azzurro cielo.
Una volta messo in moto, il meccanismo di identificazione/proiezione porta alla lettura della canzone come fedele descrizione della realtà. Quasi automaticamente, di conseguenza, si innesta anche quello della lettura del reale sulla base delle indicazioni fornite dalle canzoni. Il tutto, agevolato dalla costante ripetizione di stereotipi descrittivi. E dal fatto che, a successo ottenuto, le canzoni accompagnano la vita dei napoletani nelle strade, nei caffé nei teatri, nelle feste e nelle case private, fornendo loro materiale pre- confezionato e condiviso, adatto ad esternare sensazioni ed emozioni con modalità socialmente apprezzate. Così, come ancor oggi una giornata parti- colarmente bella induce a canticchiare che chisto è ‘o paese d’’o sole, spes- so nella letteratura minore napoletana fine ottocentesca brandelli di canzoni (la canzone è fatta per essere usata a brandelli) servono a descrivere luoghi, sensazioni e atmosfere. E, in questa stessa letteratura, ciò che viene sottoli-
neato con compiacimento è la perfetta corrispondenza di una situazione vissuta con quella delineata nella tal canzone: citare Di Giacomo a Mare- chiaro, Cottrau/Cossovich a Santa Lucia, Capurro quando appare il sole dopo la pioggia pertiene, dunque, al campo della sensibilità e della cultura, oltre che a quello delle associazioni meccaniche immediate.
Con un andamento che progressivamente diventerà sempre più rapido e potente – anche in relazione alla cumulatività e alla onnipresenza dei temi e dei modi e allo stabilirsi di automatismi di lettura – la “produzione di sen- so” delle canzoni avviene per la maggior parte fuori testo, nella interpreta-
zione musicale e nella capacità di cooperazione interpretativa degli ascolta-
tori e di lettura, interpretazione, interpolazione, sovrapposizione, accumula- zione transmediale e intertestuale di testi e paratesti. Esecutori e destinatari
riempiono, dunque, i vuoti dei testi letterari e musicali non solo in base alle
proprie culture, linguaggi ed enciclopedie, e ad aspettative, prospettive, ri- cordi, pre-giudizi che formano orizzonti d’attesa fondati soprattutto in punti
di vista istituiti da precisi desideri e bisogni di tipo identitario ma, anche, in
base a letture e rappresentazioni individuali e socializzate, cooperative e intersoggettive che, nell’interazione sociale quotidiana, costruiscono il sur-
plus di senso del prodotto “canzone napoletana”.
Nella quale i consumatori napoletani vogliono cercare e sanno trovare la voce, l’espressione corale e la manifestazione in forma d’arte, di quella che identificano come la cultura di un popolo che sa e vuole conservare – no- nostante tutto – la coesione e l’autenticità di una comunità. Nell’epitesto che la stampa fornisce alle canzoni, la città viene rappresentata come il luo- go in cui l’individualità scompare di fronte all’appartenenza al gruppo etni- co e la comunità cittadina, come un organismo naturale, esprime – ne la
canzone e grazie ad essa – volontà, intendimenti, sentimenti, valori spiritua-
li e interessi collettivi.
È ovvio che, a livello dell’insieme della società, l’identità della quale la canzone si fa testimone non esista. Esiste, però, un sistema di riferimenti all’interno del quale esprimere le profonde contraddizioni e disuguaglianze cittadine. Ed esiste, come abbiamo visto, un ambito di circolazione lingui- stico-culturale che stabilisce, quanto meno, una sorta di koiné. Qualcosa di simile, insomma, a ciò che Robert Paul Wolff (1968) definisce affective
community: «the reciprocal consciousness of a shared culture».
Alla fine del XIX secolo, questa costruzione identitaria non può più specchiarsi nel mito della città gentile. L’unificazione nazionale, ed il con- seguente riposizionamento della città nel sistema culturale ed economico europeo, hanno stimolato le propensioni all’integrazione ma, nello stesso tempo, e proprio per questo, hanno offerto alla città uno “specchio” poco lusinghiero: quello del ritardo economico culturale o, addirittura, delle teo-
rie sull’inferiorità della “razza meridionale”.
Come ho detto, la costruzione della mitologia della canzone avviene primariamente incorporando il lavoro e la competenza dei pubblici, inclini ad arricchire di senso e a moltiplicare le “letture” dei prodotti culturali e capaci di connettere intertestualmente riviste, teatro, quotidiani, spartiti, ci- nema, ascolti casalinghi, affiche e cartoline musicali.
Anche qui si potrebbero enumerare tutte le caratteristiche sintetizzate da Jenkins come necessarie perché un prodotto sia in grado di invitare il pub- blico ad accrescerne il valore con pratiche sociali tese a diffonderlo e ad arricchirlo di senso (2009). Mi limiterei, però, a soffermarmi soprattutto sulla capacità di worldbuilding: la canzone è un prodotto culturale con il quale i pubblici si rapportano considerandone l’esistenza come uno “spa- zio” che entra in relazione con la vita quotidiana e che invita ad una per-
formance che si muove tra cultural attractors, elementi condivisi intorno ai
quali si crea la comunità, e cultural activators, che danno alla comunità “qualcosa da fare”. E se ciò vale, ovviamente, per l’esecuzione canora e per l’insistita “sceneggiatura” delle canzoni – nel teatro, nel cinematografo, nella sceneggiata – vale anche, in maniera più sottile e diffusa, nelle rela- zioni fra reale e immaginario.
In un articolo per il «Corriere di Napoli» del 6 febbraio 1894, Salvatore Di Giacomo narra della genesi, tutta letteraria e settecentesca (da un’opera buffa del Cerlone) della sua Marechiare – canzone del 1885, musicata da Tosti – ed anche della sua prima “gita” a Marechiaro, in compagnia della giovane Miss Mary, di nazionalità inglese e, pertanto, con tutti i diritti e a tutti gli effetti, una turista.
Come ho anticipato, qualunque narrazione di Di Giacomo che abbia at- tinenza con la canzone va letta non come una testimonianza di fatti real- mente accaduti ma come una pura creazione letteraria, la cui unica cifra è la creazione del personaggio del “poeta Di Giacomo”. Gli apologhi digiaco- miani offrono interpretazioni sicuramente tendenziose del fenomeno can- zone (stiamo parlando di colui che si vedrà sbarrare la strada al Senato dall’imbarazzo di “portare Piedigrotta in Parlamento”) anche se, nello stes- so tempo, rivelano una consapevolezza, inusuale fra i suoi contemporanei, sulla reale natura delle operazioni editoriali e di marketing che la produzio- ne musicale napoletana è capace di innestare.
In questo caso, la presenza del turista nella narrazione, mette in scena l’altra faccia dell’identità, vale a dire la creazione dell’immagine locale:
− La finestra è quella, e quello è il vaso de’ garofani.
L’oste levava la mano enorme, dalle unghie lucenti di grasso e indicava. Miss Mary domandò:
− E Carolina?
− Mo ve vene servenno — dice Vincenzo. E chiamò: Carulì! − Scetate, ca l’aria è duce... Così, non è vero?
− Non duce: dòce. − Dòce. All Right.
− Un giorno il poeta venne qui a colazione — seguitava l’oste ritto accanto alla ta- vola — Vide la finestra, vide i garofani, vide Carolina e mise tutto nella canzone. Miss Mary rise. Ma, parola d’onore, quel caro burlone l’avrei volentieri abbraccia- to. Che tuppè! Quella sera era la prima volta che vedevo Marechiaro e Miss Mary lo sapeva, glielo avevo raccontato. E la finestretta era stata aperta di fresco in un muricciolo, e sul suo davanzale, in un vasetto verde, erano garofani di quelli che crescono soltanto su’ cappelli delle signore. [...]
− Ccà sta Carulina! — squillò una voce gentile e fresca.
E sotto l’arco della cucina apparve una giovanetta e salutò, sorridendo. Era bruna, alta e rosea. Avanzò, porse al padre una carta, ci salutò ancora una volta col sorriso de’ suoi begli occhi scuri, e disparve. Ora l’oste ci presentava quella carta in un piattello e si inchinava.
− Il conto, e con la buona salute...
(Napoli. Figure e Paesi, in Il Teatro e le Cronache, Mondadori, Milano 1967: 473).
Questo apologo non soltanto mostra come i materiali compositivi usati per la canzone abbiano un’autonomia tale da consentire la costruzione di un
paesaggio che, in virtù della sua potenza evocativa, si adatta a qualsiasi re- altà. Ma anche che, in più, sono capaci di riflettersi sulla realtà stessa, mo-
dellandola. Se, attraverso il filtro canzonettistico, i napoletani possono leg- gere una realtà reinventata nella costruzione sociale della canzone, in cui la città si offre come luogo non problematico dove uomini e natura possono vivere in perfetto accordo, nello stesso modo la “realtà” viene piegata ad aderire agli schemi dell’immaginario fino al punto di trasformarla con in- terventi che confermano la verità del modello.
La creazione di immagine legata alla canzone, che abbiamo visto fun- zionare (oltre che come elemento identitario) per produrre il consumo nel mercato interno, funge da elemento di differenziazione sul mercato italiano ed europeo. Il suo carattere glocale, si costituisce in relazione tanto all’identità quanto all’immagine (che – molto modernamente – diventa an- che componente identitaria), e nasce dalla tensione fra valorizzazione delle peculiarità locali e connessione con nuovi e più complessi sistemi di rela- zioni economici, politici, culturali e si pone, come abbiamo già visto, non senza una certa sapienza sul mercato turistico.
Si possono, così, tratteggiare i caratteri delle ricompense cui vanno in- contro i napoletani che accettano di impegnarsi sul terreno del consumo
produttivo.
fondare pratiche e rituali della sociabilità nel senso di appartenenza, e nel reciproco riconoscimento di una cultura condivisa. E, poiché l’identità si costruisce nella relazione e si costituisce di legami, il “culto” de la canzone contribuisce ad arricchire il campo dell’identità individuale di quel neapoli-
tan pride che si compone di distinzione e diversità: della coltivazione di
una specificità che si risolve, forse, in svantaggio, ma soltanto per inade- guatezza dell’altro.
Ma sono anche premi economici. Perché questa identità/immagine è fondativa della differenziazione turistica e dei prodotti napoletani sul mer- cato globale. Ed è a disponibile per essere usata da tutti coloro che da tem- po traggono dai viaggiatori e dal movimento turistico una quota rilevante dei loro guadagni. Che – a livelli diversissimi: dall’ambulante, al facchino, all’artigiano; dal commerciante, all’industriale, all’imprenditore turistico – sono veramente tanti e tutti, come l’oste di Di Giacomo, capaci e contenti di trarre utile dalla rappresentazione/differenziazione che l’uso dell’appa- rato mitico della canzone assicura.