2. Gli sviluppi teorici del razionamento del credito
2.7 Teoria dei contratti multiperiodali
La teoria dei contratti multiperiodali muove dal presupposto più discusso del modello di Stiglitz-Weiss e dei modelli con le asimmetrie informative, ovvero l’ipotesi di contratti di credito della durata di un solo periodo. Nella realtà infatti si osserva che debitore e creditore cercano di istaurare relazioni di lungo periodo e nel corso del tempo vari autori hanno cercato di giustificare questa tendenza.
Secondo un primo approccio, diffuso negli anni 60’,l’esistenza di relazioni di lungo poteva essere giustificata in termini di domanda congiunta di prestiti e di altri prodotti bancari: per questi modelli risulta conveniente per la banca facilitare l’erogazione di credito verso la clientela “primaria” con cui ha rapporti di lungo periodo rispetto ad altre tipologie di clientela. L’approccio di questi modelli, tuttavia, è stato criticato per due ragioni riguarda. La prima riguarda il fatto che in questi modelli veniva implicitamente assunto che la banca trovasse sempre profittevole espandere in maniera indefinita la vendita di prodotti diversi dai prestiti, e che come conseguenza di ciò, non potesse vendere la quantità ottimale di essi senza aumentare la vendita dei finanziamenti. La seconda ragione riguarda il fatto che il razionamento del credito veniva derivato ipotizzando l’esistenza di ragioni esogene di rigidità dei prezzi.
Un diverso approccio rispetto a quello della domanda congiunta di prestiti e prodotti bancari ricollega le relazioni di lungo periodo tra banca e cliente alla natura stessa dei contratti di credito. In quest’ambito, si possono evidenziare due interessanti tipologie di modellistica. La prima linea, collega i contratti multiperiodali al ruolo della banca di produttrice di informazioni. La seconda, la cosiddetta incentive contract theory, partendo dal presupposto di informazione imperfetta nel mercato dei prestiti come evidenza non modificabile, sottolinea come contratti di lungo periodo rappresentano un valido strumento per incentivare il debitore ad assolvere ai propri impegni. Il razionamento, in questo di modellistica, è la “punizione” per i debitori in caso di insolvenza. Tale teoria può essere considerata come un’applicazione della teoria più generale di risk sharing sviluppata da Borch (1968), Arrow
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(1965) ed altri. Secondo questo approccio le banche, neutrali al rischio, oltre a fornire credito alle imprese ipotizzate avverse al rischio, possono assicurare i propri clienti da determinati rischi, versando ai (prelevando dai) medesimi un’indennità (un premio) di assicurazione a seconda dello stato di natura che si realizza. Koskela (1976) in seguito ha evidenziato come il rischio coperto potesse essere connesso a fluttuazioni del tasso di interesse e come l’assicurazione offerta dalle banche ai clienti stabilizzerebbe il tasso di interesse in stati di natura differenti. Muovendo dal fatto che l’analisi di Koskela, pur riuscendo a collegare la rigidità dei tassi bancari con meccanismi di risk sharing, non riesce a chiarire le cause del razionamento, Fried e Howitt (1980) hanno cercato di provare che gli accordi di risk-sharing tra creditore e debitore siano causa sia della rigidità dei tassi sia del razionamento. Supponendo come assunzione di base l’ipotesi di concorrenza perfetta nel mercato del credito, essi assumono che il tasso di interesse di equilibrio sui depositi sia fluttuante e che ciò sarebbe causa di oscillazioni anche del tasso sui prestiti. La banca cerca di assicurare i suoi clienti contro fluttuazioni del tasso sui prestiti tramite la fissazione di un tasso fisso indipendente dall’effettivo costo della raccolta e più alto del valore atteso del tasso sui prestiti.
In ciascun periodo le banche possono procurarsi fondi al tasso di interesse 𝑖, che gli autori ipotizzano come una variabile casuale con una funzione di probabilità 𝑞(𝑖). Tutti i clienti in numero 𝑚 dispongono di progetti di investimento con rendimento casuale 𝑥 per i quali hanno bisogno di prestiti (dello stesso ammontare dei depositi) per il relativo finanziamento. Di conseguenza, l’utilità dei clienti per un dato tasso sui prestiti 𝑟 è data da:
𝑈(𝑟) = 𝐸[𝑢(𝑥 − 𝑟)].
Ciascuna banca cerca di massimizzare il suo profitto atteso che nel medesimo stato di natura 𝑠 è dato da 𝜋(𝑟, 𝑛, 𝑖) = 𝑛(𝑟 − 𝑖) − 𝑐(𝑛), dove 𝑛 è il numero dei prestiti erogati e 𝑐 indica una funzione di costi amministrativi che è strettamente convessa in 𝑛.
Fried e Howitt ipotizzano che le banche offrano ai clienti un contratto implicito, al fine di sfruttare la loro avversione al rischio e di assicurarli contro fluttuazioni del tasso di interesse. I clienti accetteranno tale contratto solo se l’utilità che essi conseguono non è inferiore a quella che conseguirebbero nel caso di tassi perfettamente flessibili. Tale utilità viene indicata con 𝑈0.
Date queste premesse, la banca offre un contratto che implica la massimizzazione dei profitti soggetta al vincolo che l’utilità dei prenditori finali di fondi sia uguale o superiore al livello 𝑈0.Dalla soluzione del problema derivano due conclusioni:
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A) esiste un tasso sui prestiti fisso che consente la massimizzazione intertemporale dei profitti
B) il ricorso delle banche al razionamento si verifica ogni volta che 𝑟
∗−𝑈(𝑟∗)
𝑈′(𝑟∗) < 1 +
𝑐′(𝑛), dove il membro a sinistra indica il ricavo marginale e quello di destra il costo marginale della banca. In particolare, 𝑟∗ indica il ricavo dall’interesse, mentre
−𝑈(𝑟∗)
𝑈′(𝑟∗) costituisce il profitto atteso che la banca realizza poiché il prestito aggiuntivo
riduce la probabilità di razionamento dell’ammontare 1
𝑚 con riferimento a ciascuno
degli 𝑚 clienti.
Secondo gli autori, la probabilità di razionamento dipende dal valore atteso del costo dei fondi, 𝑖, dal costo marginale non finanziario dei prestiti, 𝑐′(𝑛), dall’utilità attesa dei clienti razionati, 𝑈0e dal grado di avversione al rischio dei clienti, ovvero il grado di concavità della funzione 𝑈(𝑟). . In particolare, tanto più elevate sono queste variabili, quanto più alta risulta la probabilità di manifestazione del razionamento.
L’impostazione di Fried-Howitt ha alcuni punti di debolezza tra i quali quello più aspramente criticato riguarda la “cogenza” del contratto di prestito. Nel modello di Fried-Howitt, se il contratto non fosse cogente, diverrebbe conveniente per il cliente rinegoziare i termini contrattuali ogni volta che 𝑟∗ > 𝑖 + 𝑐′(𝑛), così come sarebbe altrettanto conveniente per la
banca ricontrattare il contratto ogniqualvolta che 𝑟∗ < 𝑖 + 𝑐′(𝑛). Gli autori hanno tentato di risolvere il problema proponendo una distinzione tra vecchi e nuovi clienti. Ciò implicherebbe che ai nuovi clienti, in ragione di un costo marginale finanziario del prestito maggiore, venissero applicati tassi più elevati. Tuttavia, secondo Pittaluga (1991), la soluzione dagli autori sarebbe insoddisfacente poiché, all’inizio del secondo periodo, perde significato la distinzione tra vecchi clienti e quelli che inizialmente erano considerati nuovi. Il presupposto di cogenza, inoltre, implicando l’esistenza di funzioni di domanda di credito inelastiche fa sì che la fonte di rischio più importante è , più che l’oscillazione dei tassi, l‘oscillazione della quantità di credito ricevuto. Dermine (1983), partendo da questa considerazione ha sviluppato modello in cui sia il tasso che l’ammontare vengono determinati nel primo periodo e restano stabili nel periodo successivo, qualunque stato di natura si verifichi. I modelli di Dermine e di Fried e Howitt permettono la considerazione di forme contrattuali diverse a seconda del rischio da coprire, mantenendo l’ipotesi di avversione al rischio dei clienti. In questo modo, le differenti modalità dei contratti di
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credito, nella teoria dei contratti impliciti, possono essere fatte derivare essenzialmente dalla diversa natura del rischio coperto e dall’atteggiamento verso il rischio di creditori e debitori. Sviluppi successivi al modello di Fried e Howitt muovono dal difetto principale del modello Jaffee-Russell, ovvero l’esogeneità dei costi di insolvenza. Tali sviluppi hanno cercato di rendere tali costi endogeni ed uguali ai futuri guadagni perduti a causa dell’esclusione dal mercato del credito. Nella maggior parte di queste impostazioni teoriche, le diversità dei richiedenti fondo sono spiegate alla luce le differenze dei costi di insolvenza dei clienti. Tali differenze sono state attribuite sia a diverse preferenze temporali, sia a differenti distribuzioni dei rendimenti dei progetti. In merito a ambito, Stiglitz-Weiss (1983) hanno dimostrato che, qualora vi siano delle imperfezioni della distribuzione delle informazioni, le banche possono fare uso di contratti multiperiodali, ed il razionamento sarebbe strumento in grado di evitare gli effetti di selezione avversa e azzardo morale, poiché induce i prenditori di fondi a intraprendere progetti più sicuri. Nel loro modello, il contratto che massimizza i profitti per unità di credito prestata può avere due forme. Secondo la prima forma, la banca concede credito nel secondo periodo solo ai clienti solventi nel periodo precedente; nell’altra forma, la banca concede prestiti nel secondo periodo a prescindere dal comportamento tenuto dai clienti nel primo periodo. In ambedue i casi, il tasso di interesse applicato dall’intermediario bancario nel primo periodo è più alto di quello che sarebbe stato praticato senza condizionamenti sull’erogazione del credito e sui termini contrattuali del comportamento dei richiedenti fondo del primo periodo. Le banche razioneranno i clienti insolventi, qualora esse possano accrescere i profitti del primo periodo tramite un aumento dei tassi di un ammontare più grande del valore scontato del credito erogato nel secondo periodo ai clienti insolventi.
Un altro sviluppo successivo all’approccio di Fried e Howitt è rappresentato da quello di Sharpe (1990). Esso si concentra sui rapporti fiduciari che si intercorrono in un contesto di scambi ripetuti con contratti impliciti, ed in particolare sulla possibilità di costruzione di uno stock di reputazione in grado di risolvere i problemi legati alla distribuzione asimmetrica dell’informazione. In tale modello infatti viene supposto che le relazioni a lungo termine tra banca e cliente nascano endogenamente come conseguenza dell’evoluzione asimmetrica dei set di informazione disponibili per gli agenti. Nel modello vengono distinte due fasi nella relazione tra banca e impresa: nella prima fase, l’impresa richiede credito, e diverse banche, ciascuna delle quali meno informata dell’impresa sul progetto di investimento da finanziare, si ritroveranno in concorrenza tra di loro, spingendo i tassi di interesse verso il basso, con un aggravamento del problema di comportamento sleale. Una volta che una banca sia riuscita
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nell’intento di istaurare un rapporto di finanziamento con l’impresa che si prolunga nel tempo, essa si ritrova nelle condizioni di poter acquisire informazioni sull’impresa. D’altra parte, però, questo processo è responsabile della creazione di altre inefficienze: la banca, da un lato, si ritrova in una situazione di monopolio verso l’impresa debitrice. Una banca che infatti concede credito ad un cliente, infatti, acquisisce molte più informazioni sulle sue caratteristiche rispetto alle altre banche, ed in ragione di ciò, è possibile che l’operatore bancario goda ex-post di un potere di monopolista ne confronti dell’impresa debitrice, anche se ex-ante il mercato è caratterizzato dalla presenza di competizione tra gli agenti. L’impresa, di conseguenza, è consapevole che rivolgendosi ad un’altra banca da cui non è conosciuta dovrebbe pagare tassi più alti. Essa infatti decide di stare con una stessa banca non solo perché quest’ultima tratta i clienti in buon modo, ma poiché le imprese, soprattutto quelle redditizie per la banca, sono catturate dal punto di vista informativo. Dall’altro lato, godendo di rendite monopolistiche, l’operatore bancario potrebbe offrire ai clienti tassi molto più bassi. Un’implicazione importante di questo modello riguarda il fatto che gli effetti legati al meccanismo di selezione avversa rendono difatti difficile per una banca attirare i buoni clienti di un'altra banca senza attirare anche quelli meno desiderabili. La soluzione proposta da Sharpe consiste nella possibilità di rivedere le condizioni contrattuali alla fine del primo periodo, sulla base dei risultati conseguiti dall’impresa. Questo tipo di inefficienza può essere limitata se gli intermediari bancari ed imprese sono in grado di sviluppare uno stock di reputazione: se una banca infatti adopera contratti impliciti, ed i futuri clienti apprendono informazioni circa la propensione della medesima banca di mantenere le sue promesse relative al credito, allora ciò condurrà ai prezzi del contratto ad un livello ottimale e ad una allocazione più efficiente delle risorse.
L’utilizzo di contratti impliciti derivante dall’ampliamento dell’orizzonte temporale di riferimentonell’ambito di modelli di relazione multiperiodali è oggetto anche di critiche. Secondo Pittaluga (1991) la trasposizione al mercato del credito della teoria dei contratti impliciti risulta difficile date le differenze di fondo che intercorrono tra contratti di prestito e contratti di lavoro. Nell’ambito di questi ultimi le variabili stocastiche sono rappresentate esclusivamente dal salario e dall’occupazione, mentre la forma delle funzioni di utilità dei lavoratori è data. Nei contratti di prestito, viceversa, mutamenti negli stati di natura si riflettono non solo sul tasso di interesse e sulla quantità di prestito, ma anche sul risultato dei progetti finanziati. Inoltre, tali modelli, pur fornendo spiegazioni riguardo la rigidità dei tassi e/o della stabilità dei prestiti, e più in generale motivazioni sul perché si instaurano
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relazioni di lungo periodo tra banca e cliente, non danno una delucidazione del perché si verifica il razionamento.