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TEORIA DELL ’ IMPUGNAZIONE “ FACOLTATIVA ”

La giurisprudenza di legittimità è favorevole ad un’interpretazione estensiva dell’art. 19 del d.lgs. 546/1992, fondamentalmente facendo leva sull’esigenza di non pregiudicare il diritto di difesa di cui all’art. 24 della Cost.225. Muovendo, infatti, dall’idea che l’estensione della cognizione delle Commissioni tributarie a “tutte le controversie aventi ad oggetto tributi”, avrebbe “necessariamente comportato una modifica dell’art. 19”, consentendo di ricorrere al Giudice tributario “ogniqualvolta

l’Amministrazione finanziaria manifesti (anche attraverso la procedura del silenzio-rigetto) la convinzione che il rapporto tributario (o relativo a sanzioni tributarie) debba essere regolato in termini che il contribuente

225 Il panorama giurisprudenziale in materia di atti impugnabili è amplissimo.

Limitandoci ad una sintetica rassegna di alcuni degli interventi più significativi e recenti della giurisprudenza, possono segnalarsi: in materia di “avvisi bonari di pagamento”, Cass., sentt. nn. 1791/05, 7708/05, 16293/07, nonché Cass., sent. 8 ottobre 2007, n. 21045 (nella quale ultima si è elaborata la novella categoria dei cosiddetti atti facoltativamente impugnabili su cui torneremo alla fine di questo paragrafo); in tema di “fatture commerciali” pertinenti al pagamento della Tia, Cass. sent. n. 17526/07; circa la cosiddetta “ingiunzione di pagamento”, Cass., ord. n. 10958/05; in materia di “preavviso di fermo”, Cass., sent. 14831/08 e ord. n. 10672/09.

ritenga di contestare”226, si è affermato che ciò imporrebbe di intendere l’elenco degli atti impugnabili in modo da evitare “lacune di tutela

giurisdizionale”, contrarie agli artt. 24 e 113 Cost.227. L’elenco, di conseguenza, sarebbe non tassativo, o almeno da interpretare con “considerevole ampiezza”.

In tale paragrafo si intende soffermare l’attenzione solo sulle implicazioni generali di alcuni fra i più recenti pronunciamenti della giurisprudenza, prescindendo dalle specifiche questioni che ne formano oggetto. In tale ottica, non si può tralasciare di evidenziare come, la Cassazione, proprio sulla base del ragionamento testè riportato, giunga ad affermare l’impugnabilità anche delle fatture con le quali viene richiesta la Tariffa di igiene ambientale. Tale arresto, che si fonda sul previo riconoscimento della natura tributaria della tariffa, va considerato, si ritiene, una forzatura del sistema: la natura privatistica di tali atti, infatti, dovrebbe collocarli tra gli atti non autonomamente impugnabili. Al contrario, la giurisprudenza più recente afferma che, sono qualificabili come avvisi di accertamento o di liquidazione, impugnabili, tutti quegli atti con cui l'Amministrazione comunica al contribuente una pretesa tributaria “ormai

definita”, “ancorchè tale comunicazione non si concluda con una formale intimazione di pagamento, sorretta dalla prospettazione in termini brevi dell'attività esecutiva, bensì con un invito bonario a versare quanto dovuto, non assumendo alcun rilievo la mancanza della formale dizione avviso di liquidazione o avviso di pagamento”228.

226 Cass., SS.UU., sent. 10 agosto 2005, n. 16776, in Riv. dir. trib., 2006, II, 29 ss. 227 Cass., SS. UU., n. 7388/2007, in bancadati Big, Ipsoa.

228 Cfr. Corte di Cass., sent. 3 novembre 2010, n. 22377, ove si aggiunge che: “Nel

caso, e' incontroverso che la richiesta di pagamento e' stata avanzata con l'emissione di Fattura, portante il carico fiscale per sorte ed accessori ed il periodo di riferimento e, quindi, che trattavasi di pretesa ben definita nel quantum, ancorche' non adeguatamente esplicitata nel procedimento di determinazione, formalizzata, peraltro, con l'espressa previsione della irrogazione di una sanzione (30%), per il caso di mancato pagamento. L'atto, dunque, non poteva, in alcun modo, essere considerato un avviso bonario, come tale improduttivo di effetti pregiudizievoli [...]”. Sul tema si veda anche Cass.,

sent. n. 12194/2008; n. 17526/2007, sempre in tema di fattura emessa per il pagamento della Tia, in Giur. trib, 2008, 55, con note di BUSICO, Natura tributaria e tempi di impugnazione

Sempre nella segnalata ottica di una ricognizione generale che, quindi, prescinda dalla peculiarità dei singoli atti di volta in volta presi in considerazione, si rileva come anche in tema di impugnazione del diniego di autotutela229 la sentenza n. 16776/2005 delle SS.UU. della Corte di Cassazione, nell’affermare la giurisdizione delle Commissioni tributarie, sottolinea come ogni controversia in cui è direttamente coinvolto un rapporto tributario rientra nella giurisdizione tributaria (nell’ottica di una giurisdizione tributaria generale) e, quindi, deve essere riconosciuta al contribuente la possibilità di rivolgersi al giudice tributario “ogni qual volta che

l’Amministrazione manifesti (anche attraverso la procedura del silenzio rigetto) la convinzione che il rapporto tributario (o relativo a sanzioni tributarie) debba essere regolato in termini che il contribuente ritenga di contestare”. Tale sentenza, in particolare, è stata oggetto di diverse critiche.

Si è sostenuto che con essa si sarebbe sancito il definitivo superamento di ogni profilo di tassatività dell’art. 19, giungendo, di fatto, al consolidamento di una giurisdizione tributaria generale ed “esclusiva”, aperta (potenzialmente) anche alla tutela avverso atti tributari espressivi di un potere discrezionale (es. diniego di sospensione o rateizzazione)230.

Un successivo intervento delle Sezioni Unite della Suprema Corte231 sullo stesso tema (l’impugnativa di un diniego di autotutela), si rivela in linea

impositivo; SS. UU., n. 16293/2007, in Giur. trib., 2008, 317, con nota di TABET, Contro

l'impugnabilità degli avvisi di pagamento della Tarsu; Cass., SS.UU., n. 16428/2007, in Corr. trib., 2007, 3687, con nota di COPPA, Impugnabilità degli avvisi bonari e tutela del

contribuente; Cass., sez. trib., n. 21045/2007, in Giur. trib., 2008, 507, con nota di TABET,

Verso la fine del principio di tipicità degli atti impugnabili?; SEPE, I nuovi approdi della giurisdizione tributaria e ancora sull'impugnabilità degli atti atipici e sugli arresti più recenti della Corte di Cassazione, in Fisco, 2007, 3624 ss.

229 Cass., SS.UU., n. 16776/2005 cit. e n. 7388, del 27 marzo 2007, in bancadati

Big, Ipsoa; per approfondimenti sulle implicazioni generali connesse alle affermazioni

contenute in tali sentenze, si veda: S. FIORENTINO, I nuovi limiti interni della giurisdizione

tributaria alla stregua dei recenti orientamenti della Corte di cassazione, in Giust. trib.,

2008, 223 ss; MUSCARÀ, La giurisdizione (quasi) esclusiva delle Commissioni tributarie

nella ricostruzione sistematica delle SS.UU. della Cassazione, in Riv. Dir. Trib., 2006, II, 33

ss.

230 MUSCARÀ, La giurisdizione (quasi) esclusiva delle Commissioni tributarie nella

ricostruzione sistematica delle SS.UU. della Cassazione, cit., 33 ss.

e per alcuni aspetti appare chiarificatorio della precedente pronuncia del 2005232.

La Corte dichiara espressamente di aderire alle statuizioni precedentemente espresse (sent. n. 16776/2005) e, in modo sicuramente più esplicito di quanto ricavabile dalla precedente pronuncia, afferma che tutti gli atti “in quanto comunque incidenti sul rapporto obbligatorio tributario,

devono ritenersi devoluti al giudice tributario”. Come è stato autorevolmente

evidenziato233, a differenza di quanto sembrava discendere dalla sentenza n. 16776/2005, la esclusività della giurisdizione tributaria non è circoscritta ai soli atti che incidono “direttamente sulle modalità di regolazione del rapporto

tributario”, ma sugli atti “comunque incidenti sul rapporto tributario” (sent.

n. 7388/2007). L’Autore evidenzia come i giudici non procedono attraverso un’assimilazione funzionale del diniego di autotutela ad alcuno degli atti nominati nell’elenco, ma ribadiscono semplicemente che escludere l’impugnativa del diniego di autotutela dal novero delle domande azionabili

ex art. 19, comporterebbe una lacuna giurisdizionale. In altre parole,

dall’orientamento della Suprema Corte deriva in modo inequivocabile che, se atti “tributari” lesivi non risultano impugnabili nel processo tributario in quanto non riconducibili in alcun modo all’interno dell’art. 19, sussiste una illegittima violazione del diritto di difesa costituzionalmente garantito234.

La Corte, dunque, spinge decisamente verso un’interpretazione molto flessibile ed ampia dell’art. 19, orientata a rendere “adeguata” (in primo luogo

232 Per approfondimenti si rinvia a: S. FIORENTINO, I nuovi limiti “interni” della

giurisdizione tributaria alla stregua dei recenti orientamenti della Corte di Cassazione, cit.,

221 ss.

233 Così, S. FIORENTINO, I nuovi limiti “interni” della giurisdizione tributaria alla

stregua dei recenti orientamenti della Corte di Cassazione, cit., 221 ss.

234 Tornando a pronunciarsi sulla controversa questione relativa alla riconducibilità

del rifiuto di autotutela tra gli atti autonomamente impugnabili davanti ai giudici tributari ex art. 19 del D. Lgs. n. 546/1992, la Corte di cassazione ha recentemente sostenuto che avverso l'atto con il quale l'Amministrazione manifesta il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo, non è sicuramente esperibile una autonoma tutela giurisdizionale, sia per la discrezionalità propria dell'attività di autotutela, sia perché, diversamente opinando, si darebbe inammissibilmente ingresso ad una controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo (Cass., Sez. trib., 12 maggio 2010, n. 11457, in Banca Dati Big, Ipsoa, e in C.T. n. 26, 2010, 2131, con nota di C. GLENDI).

sul piano costituzionale) la norma in un mutato contesto processuale, che si caratterizza oggi per la natura generale e (soprattutto) esclusiva della giurisdizione235.

Va segnalato, inoltre un ulteriore recentissimo sviluppo della giurisprudenza236, che, ispirandosi ad alcune minoritarie posizioni dottrinarie, si è spinta a distinguere tra gli atti tipici, i quali andrebbero individuati tramite una rigorosa interpretazione dell’art. 19 perché suscettibili di diventare definitivi se non impugnati e gli atti non espressamente indicati, impugnabili se idonei a portare “a conoscenza del contribuente una ben individuata

pretesa tributaria”, ma la cui mancata impugnazione non provocherebbe “la non impugnabilità (cristallizzazione) di quella pretesa che va successivamente reiterata in uno degli atti tipici previsti dall’art. 19”. Ciò

perché, come si è precisato, il ricorso avverso l’atto atipico non costituisce un onere, ma una mera facoltà, in quanto l’allargata tutela non deve tradursi in un danno per il contribuente.

Una siffatta impugnazione “facoltativa” ci pare realizzi uno “strappo” al modo in cui il sistema processuale tributario è congegnato: il sistema è strutturato come tendenzialmente chiuso, chiaramente orientato nel senso di concentrare la tutela sugli atti finali, espressivi di una pretesa compiuta e giuridicamente efficace, mentre tale connotazione non può riconoscersi ad atti che anticipano solo i contenuti, ma non gli effetti di atti autonomamente impugnabili237.

235 Sempre in tema di diniego di autotutela, si segnala un recentissimo intervento:

Cass., SS.UU., 23 aprile 2009, n. 9669 in Giur. trib., n. 7, 2009, 585 ss. Inoltre, oltre alle sentenze già citate nel testo, si veda: Cass., SS.UU., sent. 6 febbraio 2009, n. 2870, in Giur.

trib., n. 6, 2009, 501; Cass., SS.UU., sent. 16 febbraio 2009 n. 3698, in Boll. trib., n. 7, 2009,

547. Per approfondimenti sul tema della giurisdizione in materia di diniego d autotutela si veda: P. RUSSO, L’ampliamento della giurisdizione tributaria e del novero degli atti

impugnabili: riflessi sugli organi e sull’oggetto del processo, cit., 1551 ss.; sul punto anche:

GLENDI, Impugnazione del diniego di autotutela e oggetto del processo tributario, in Giur.

trib., n. 6, 2009, n. 473.

236 Cass., n. 21045/2007, cit.

237 Per queste considerazioni ed ulteriori approfondimenti in proposito: G. TABET,

Inoltre, laddove si riconosce al contribuente una “possibilità di ricorrere” anche prima che la pretesa tributaria si esprima attraverso un atto autoritativo, si viola la logica del processo tributario, in base alla quale le occasioni di tutela non sono rimesse alla valutazione del giudice o delle parti, ma sono ancorate alla predeterminazione, legislativa, degli atti considerati “specificamente” lesivi della situazione soggettiva del contribuente e, come tali, impugnabili in via immediata ed autonoma238.

238 Interessante è anche il caso dell’impugnabilità degli “interpelli cd. necessari o

disapplicativi”. In proposito è noto come la peculiarità di questi interpelli sia data dalla circostanza che la risposta (positiva) dell’Amministrazione alla richiesta del contribuente è configurata dalla legge quale condizione per l’applicazione di particolari regimi impositivi, nel senso che - ad esempio per disapplicare la disciplina delle CFC, ovvero per includere una determinata società estera nel perimetro di consolidamento - la legge richiede che si realizzi una fattispecie includente, fra i propri elementi costitutivi, uno specifico atto dell’Agenzia delle entrate, il quale verifichi l’esistenza di determinate condizioni. In tale ordine d’idee, non v’è difficoltà, nel ritenere che delle controversie relative agli atti di diniego eventualmente opposti dall’Agenzia non possa che essere chiamato a conoscere il giudice tributario, così come affermano i Tar e anche il Consiglio di Stato (cfr. dec. 26 gennaio 2009, n. 414, in

Corr. trib., n. 21, 2009, 1692 ss.). Altro e connesso problema è quello dell’impugnabilità

immediata ovvero solo differita degli atti di diniego opposti dall’Amministrazione ai predetti interpelli, sul punto potendosi registrare opinioni diversificate, giacché se la prassi (cfr. circ. 3 marzo 2009, n. 7/E) e parte della dottrina (cfr. PISTOLESI, Tutela differita al giudice tributario

in caso di risposta negativa all’interpello, cit., 1866 ss.; TESAURO, Gli atti impugnabili e i

limiti della giurisdizione tributaria, in Giust. trib., 2007, 15; DEL FEDERICO, Autorità e

consenso nella disciplina degli interpelli fiscali, in AA.VV., Profili autoritativi e consensuali del diritto tributario, a cura di La Rosa, Milano, 2008, 171), propendono per la tesi secondo

cui occorrerebbe in ogni caso attendere l’avviso di accertamento, altra parte della dottrina ritiene viceversa che in tali ipotesi sarebbe già ravvisabile in capo al contribuente un interesse sufficientemente forte da risultare meritevole di tutela immediata (così FRANSONI, L’Agenzia

delle entrate illustra la non impugnabilità degli interpelli, in Corr. trib., n. 14, 2009, 1131;

ZOPPINI, Lo strano caso delle procedure di interpello in materia di elusione fiscale, in Riv.

dir. trib., 2002, I, 1003). La giurisprudenza ad oggi intervenuta sul tema riproduce in pieno il

suaccennato dissidio: così, se si segnalano pronunciamenti nei quali l’impugnabilità immediata dei dinieghi in parola viene esclusa sul rilievo che essi non rientrerebbero nel novero degli atti enucleati dall’art. 19 del d.lgs. n. 546/1992 (cfr., nel primo senso, C.t.p. Milano, sent. 108/VII/08, secondo la quale “i dinieghi di autorizzazione - trattandosi di

provvedimenti, non compresi tra gli atti autonomamente impugnabili - possono essere impugnati solo in via differita” e “tra questi dinieghi viene compreso il diniego reso in risposta all’interpello cd. disapplicativo […] al fine di ottenere un provvedimento che autorizzi la disapplicazione di norme antielusive”; nonché C.t.p. Torino, sent. n. 45//IV/08,

secondo cui il diniego d’interpello integrerebbe “un […] parere” dell’Agenzia “il quale

dispiega un ruolo meramente prodromico rispetto a un potenziale avviso d’accertamento, avverso il quale il contribuente ha ancora la possibilità di dimostrare con ulteriore documentazione e argomentazioni la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge per la disapplicazione”), altre sentenze accolgono soluzioni opposte, assimilando i dinieghi

medesimi agli atti che negano la spettanza delle agevolazioni fiscali (C.t.p. Lecce, sent. n. 479/II/2008).

In altre parole, si ritiene che seguendo quanto affermato dalla recente giurisprudenza in commento, si amplierebbe l’art. 19 ben oltre ciò che è strettamente necessario per garantire la compatibilità con l’art. 24 e 113 della Costituzione239 e si travolgerebbe la ratio, tutt’ora vigente, della medesima disposizione. In tal modo si costituirebbero vie di accesso al giudizio diverse da quelle previste dalla legge240.

4. P

RIME CONCLUSIONI DE IURE CONDITO E DE IURE

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