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Tipologia dei processi produttivi manifatturieri

Nel documento Impianti Industriali (pagine 25-33)

2) Flessibilità del sistema produttivo. Si tratta di aumentare il valore di mercato dei prodotti, posizionandoli meglio di quelli concorrenti per mezzo della differenziazione e

1.3.3. Tipologia dei processi produttivi manifatturieri

La progettazione dei processi, e quindi dei sistemi produttivi, è legata strettamente a tre elementi principali:

 Le caratteristiche della domanda;

 Gli aspetti economico-tecnici del prodotto;  Le tecnologie impiegabili.

Fondamentale è, in primo luogo, la nota distinzione tra modo artigianale e modo industriale

di produzione: due modi diversi di applicare il principio della specializzazione onde

ottenere incrementi di produttività.

La produzione di tipo artigianale comporta una specializzazione delle risorse, ed in particolare del lavoro, per mestieri; quella di tipo industriale, per fasi omogenee di lavorazione.

L’artigiano “tipico” lavora ad un prodotto complesso e svolge tutte le fasi di lavorazione inerenti il prodotto tipico del “mestiere” con pochi strumenti: ne risulta un prodotto “unico”,

non ripetibile in modo perfettamente identico, in quanto le singole parti non sono standardizzate, ma costruite ed adattate per una unità specifica del prodotto. Ne consegue inoltre una specializzazione per mestiere, nel senso che l’artigiano svolge in modo specialistico tutte le operazioni necessarie ad ottenere quel prodotto. Il prodotto viene personalizzato in base alle esigenze specifiche dell’acquirente o addirittura costruito in base alle sue prescrizioni.

Caratteri fondamentali che descrivono tale modo di produrre sono:

a) Netta prevalenza del costo di manodopera nel costo di trasformazione; b) Incidenza elevata del costo di materia prima sul costo totale;

c) Scarsa rilevanza del costo degli strumenti di produzione; d) Flessibilità produttiva alle varianti richieste di mercato; e) Variabilità dei costi al variare delle quantità prodotte.

Il modo industriale di produzione, invece, comporta, come già accennato, uno svolgimento dei processi per “fasi omogenee di lavorazione”: il ciclo di produzione viene suddiviso in fasi, operazioni ed atti produttivi ben identificati, omogenei per gruppi, svolti in sequenza secondo il ciclo di lavorazione. Si ha così una organizzazione per fasi od operazioni omogenee. L’aumento del grado di specializzazione (quindi del conseguente livello di efficienza) avviene suddividendo ulteriormente le fasi e le operazioni che richiedono l’intervento di diverse specializzazioni e consente l’introduzione di attrezzature e macchine specializzate e l’impiego di manodopera addestrata all’esecuzione di operazioni specifiche. Con l’introduzione della macchina aumenta la precisione delle lavorazioni e quindi l’intercambiabilità e la standardizzazione delle parti componenti il prodotto. Ne consegue la possibilità di adottare processi con volumi produttivi molto elevati, e quindi ulteriori opportunità di specializzare fasi ed operazioni.

Le modificazioni generate dal progresso tecnico-organizzativo sui processi e sulle strutture produttive si colgono dunque osservando le fasi caratteristiche attraverso cui passa la società industriale nel corso della sua evoluzione: dall’utensile e dalle semplici macchine universali, in cui prevale l’autonomia dell’operatore, si passa all’introduzione delle macchine specializzate mono-scopo e alla disposizione a catena, che portano alla riduzione, fino quasi all’annullamento, dell’autonomia dell’operatore, e si arriva alla fase di meccanizzazione o automazione parziale o totale dei processi, in cui la parte sistematica del lavoro viene delegata esclusivamente alla macchina o al sistema, mentre l’operatore assume

un’attività di progettazione, guida e controllo, cioè caratteri dell’attività di direzione. In sostanza l’evoluzione del modo industriale di produrre avviene attraverso le modificazioni apportate dal progresso tecnico ed organizzativo ai processi produttivi, e per quel che riguarda il lavoro si osserva il continuo spostamento del punto di applicazione dall’esecuzione diretta di attività molto semplici, al comando di macchine prima (meccanizzazione) ed alla programmazione e controllo di sistemi operativi parziali più o meno sofisticati e complessi poi (automazione).

Dei tre gruppi di fattori di competitività sul mercato, menzionati precedentemente (riduzione dei costi, flessibilità, elasticità), viene privilegiato il gruppo di fattori “riduzione dei costi” dell’attività di trasformazione, subordinando alla sua ottimizzazione gli altri. Si agisce quindi sul denominatore del rapporto di produttività, comprimendo i costi; ma c’è da notare che si può incorrere in relazioni di incompatibilità con gli altri fattori di competitività, “flessibilità”, “elasticità”, che agiscono sul numeratore del rapporto di

produttività. Nel modo industriale di produzione si riscontra quindi il progressivo

irrigidimento dei processi rispetto alle crescenti variabilità qualitative della domanda, la sempre più scarsa elasticità dei costi alle variazioni quantitative della domanda, l’aumento del rischio delle imprese a causa dell’aumentata proporzione dei costi fissi anticipati delle immobilizzazioni rispetto ai costi variabili con esborso corrente e, infine, la scarsa rapidità dei processi produttivi nell’adeguarsi alla variabilità delle esigenze del mercato in termini di varianti qualitative e quantitative del prodotto.

Fondamentale è anche la distinzione in tipologie dei sistemi produttivi industriali: consente di analizzare e qualificare meglio le relazioni di compatibilità esistenti tra i tre gruppi di fattori competitivi sopra citati. Tra i tanti studi e approcci in merito a tale problematica, è ormai classico e ricordato sempre l’approccio Woodward [1965] che riprende e amplia la nota e basilare classificazione dei processi (su commessa, su modello, a flusso continuo), già studiata da altri autori.

La tipologia Woodward è stata costruita in base ai seguenti elementi:  Differenziazione e numerosità dei prodotti appartenenti alla gamma;

 Grado di standardizzazione dei prodotti e dimensione dei flussi con cui vengono collocati sul mercato;

 Modalità con cui si manifesta la domanda: se su indicazione del cliente (su commessa), o per prodotti predisposti dall’azienda (per magazzino).

In relazione a questi elementi si possono indicare quattro tipologie di sistemi produttivi: a) su progetto (job shop); è caratterizzato dall’unicità del prodotto. Questo infatti ha

caratteri specifici, determinati di volta in volta dal progetto che viene proposto dall’utilizzatore. Ciascun progetto è finalizzato all’ottenimento di una sola unità di prodotto, e di un numero molto limitato di unità identiche. Ne consegue una struttura produttiva specifica avente caratteri di transitorietà.

b) su modello; prevede numerosi prodotti anche diversi tra loro, che vengono ripetuti in piccola serie su “modelli” predisposti dal produttore, che vengono spesso adattati alle esigenze dell’utilizzatore. Ne deriva un sistema produttivo con caratteri di stabilità strettamente connessi alla flessibilità di impiego delle risorse (tecniche, di lavoro, organizzative e manageriali) rispetto ai mutamenti qualitativi e quantitativi della richiesta ed all’evoluzione della tecnologia propria e degli utilizzatori. La produzione non può che avvenire su commessa, adottando processi di tipo intermittente, mentre le risorse (lavoro, struttura tecnica) non possono che essere polivalenti per rispondere all’instabilità della richiesta con sufficienti riserve di capacità; ciò causa frequenti variazioni nel grado di utilizzo della capacità stessa.

c) processo intermittente a grandi lotti; i prodotti sono differenziati, ma le varianti vengono ottenute principalmente per mezzo della standardizzazione delle parti componenti, delegando così la variabilità delle strutture alla fase finale dell’assemblaggio e invece contenendo l’esigenza della flessibilità nelle fasi di lavorazione dei componenti. Questi possono così contare su sequenze di parti identiche (lotti) di grandi dimensioni, con risorse cosiddette “dedicate” per periodi abbastanza lunghi e in taluni casi anche a tempo determinato. In tale tipologia di sistema produttivo si consente dunque di specializzare le risorse che saranno meno polivalenti e flessibili rispetto alla tipologia su modello. La complementarietà tra flessibilità/elasticità da un lato e costi di produzione dall’altro trova in questa terza tipologia un’ampia gamma di soluzioni: un aumento di flessibilità per adeguarsi alle richieste degli utilizzatori comporta una riduzione della specializzazione delle risorse e una diminuzione della dimensione dei lotti: quindi una riduzione di efficienza del sistema operativo.

d) processo continuo; è tipico del prodotto unico, con scarse varianti, ottenuto in volumi elevati per periodi indeterminati di tempo da un insieme di risorse progettate e destinate stabilmente a quella produzione: o a causa dei vincoli tecnologici (produzione a flusso continuo tecnicamente obbligato), o per scelta (produzione in linea o a catena), quando

le dimensioni e la stabilità dei flussi di richiesta lo consentono. In questi sistemi prodotti e processi hanno un elevato grado di dipendenza reciproca: non vi è quasi flessibilità, non vi sono quasi scorte di semilavorati intermedi, le operazioni produttive si svolgono in modo continuo con una sequenza strettamente connessa al ciclo di lavorazione. Vi sono numerose opportunità di meccanizzazione e di automazione, quindi un alto rapporto capitale/lavoro.

Una schematizzazione utile di quanto detto è presentata nella fig. 8 che segue;

fig. 8 – Tipologia dei Sistemi di Produzione

In definitiva, la tipologia di Woodward consente di studiare i problemi di progettazione dei sistemi produttivi sotto il profilo della diversità di questi in relazione alla diversità di inputs, di tecnologie e di prodotti. Se si dispongono i processi “per progetto” e di “tipo continuo”

agli estremi della gamma di soluzioni possibili, tale classificazione consente anche di osservare la nota, stretta relazione esistente fra le quattro tipologie e tra le soluzioni intermedie che senza discontinuità sfumano ora nell’una, ora nell’altra tipologia, e il grado di ripetitività dei cicli, fasi, operazioni ed atti produttivi nel corso del processo di trasformazione.

Al crescere del “flusso di richiesta” (si veda a tal merito la fig. 9 a seguire), crescono le opportunità di standardizzazione dei prodotti e quindi di specializzazione dei sistemi produttivi perché aumenta la ripetitività delle operazioni di trasformazione. Si passa così da sistemi poco ripetitivi a sistemi ripetitivi; in altri termini, dal modo artigianale al modo industriale di produzione, passaggio che appunto è il risultato dell’applicazione del progresso tecnologico alla produzione.

fig. 9 – Sistemi Produttivi e Ripetitività delle Operazioni di Trasformazione

La tipologia proposta dal Woodward non consente però di dare il dovuto peso al problema fondamentale nella progettazione dei sistemi produttivi, e cioè la complementarità esistente tra flessibilità ed efficienza delle strutture produttive. Nella logica tradizionale, l’alta flessibilità penalizza l’efficienza, l’alta efficienza penalizza la flessibilità. Un approccio che consente di analizzare questo aspetto è quello sistemico [Johnson, 1972]; un processo produttivo è costituito da un insieme di operazioni di trasformazione che si dispongono

nella sequenza ed hanno tra loro i flussi previsti dal ciclo di lavorazione. Esso quindi è rappresentabile con un reticolo in cui:

 I nodi rappresentano le attività di trasformazione fisica e/o stoccaggio;

 I segmenti che collegano i nodi rappresentano i flussi, con le rispettive priorità e dimensioni che legano tra loro le singole operazioni.

Nei “processi di tipo continuo” nei nodi si svolgono solo attività di trasformazione fisica e sono assenti gli stoccaggi: la regolazione del sistema avviene quindi attraverso la regolazione dei flussi di inputs e di outputs globali che collegano l’intero sistema con l’esterno, e dei flussi parziali tra ciascun nodo e gli altri cui è collegato all’interno. I singoli nodi hanno un elevato grado di specializzazione e di meccanizzazione ed è richiesto un equilibrio tra nodo e flusso e tra l’insieme dei nodi ad evitare sprechi di capacità. In sostanza le risorse esistenti nei nodi sono fortemente finalizzate ad una sola tecnologia, ad un solo atto produttivo, ad una sola operazione da svolgere a quel livello del ciclo e per quel tipo e quantità di prodotto: cioè sono completamente dedicate. Analogamente per la tecnologia con cui si svolgono i flussi di trasporto, si ha che i legami tra i nodi del processo continuo risultano determinati dalla tecnologia e dal prodotto, quindi risultano simultanei, esclusivi e continui e pertanto tipicamente rigidi e altamente finalizzati.

Al contrario all’altro estremo, “nei processi su progetto”, i nodi possono svolgere una varietà, sia pur finita, di operazioni di trasformazione fisica e, contemporaneamente, di magazzinaggio. Il sistema può dunque essere regolato, in via prioritaria, attraverso il livello delle scorte e solo quando queste raggiungono livelli incompatibili, attraverso la dimensione dei flussi. I nodi possono essere altamente specializzati su un’unica funzione, ma possono anche consentire una varietà di lavorazioni per prodotti diversi. Analogamente per i flussi si adottano tecnologie e risorse che consentono flussi discontinui, variabili, indipendenti dal prodotto e dalle tecnologie.

In definitiva dall’approccio sistemico deriva una tipologia dei processi che mette meglio in rilievo il dilemma flessibilità/efficienza e consente di cogliere i punti strategici del sistema al fine di risolvere favorevolmente tale dilemma, collocando anche nel tempo le relative decisioni, e cioè se a livello di progettazione o a quello di gestione del sistema produttivo.

Grazie dunque all’approccio Woodward e all’approccio sistemico, si possono in definitiva distinguere e classificare:

a) “Processi continui” come sistemi tendenzialmente rigidi (scarsa o nulla flessibilità dei nodi e dei legami) e adattabili solo nel medio-lungo periodo con decisioni di progettazione;

b) “Processi intermittenti a grandi lotti per magazzino” come sistemi poco flessibili (i nodi presentano combinate le funzioni di trasformazione e di stoccaggio, con risorse non completamente specializzate; i legami sono fissi, simultanei ed esclusivi, parzialmente determinati dalla tecnologia);

c) “Processi intermittenti a piccoli lotti su modello per magazzino” come sistemi

ambigui, ma tendenzialmente flessibili;

d) “Processi intermittenti su modello per commessa e processi per progetto” come

sistemi flessibili (i nodi hanno funzioni complesse di trasformazione e di stoccaggio,

con risorse tipicamente polivalenti; i legami sono variabili e determinati dalla natura dei flussi) adattabili nel breve periodo anche con le sole decisioni di gestione.

Nella realtà delle imprese esiste una grande varietà di processi produttivi le cui caratteristiche, come accennato in precedenza, sfumano l’una nell’altra passando lungo il continuum che va dall’estremo del processo su progetto all’altro estremo del processo continuo, allora è utile a questo punto operare un’analisi ed un confronto dei processi produttivi al fine di ottenere un quadro di riferimento per ciascuna tipologia di processo in cui inquadrare le scelte sia di progettazione che di gestione concernenti l’area produttiva e i suoi possibili contributi al vantaggio competitivo nei confronti del mercato cui si accennato all’inizio di questa trattazione.

Riassumiamo dunque i principali aspetti emersi dalle classificazioni Woodward e sistemica concernenti:

a) Il prodotto ottenuto; decresce l’interazione cliente/produttore nella definizione del prodotto nel senso che si passa da un prodotto speciale ad un prodotto standard definito dal produttore. Diminuisce l’ampiezza della gamma di prodotti e/o le varianti. I volumi per ciascun prodotto aumentano sino alla produzione di massa, del tutto ripetitiva. La capacità di introdurre nuovi modelli decresce fino a diventare difficile e molto costosa. Si passa da una produzione su commessa ad una produzione per magazzino su previsioni di domanda.

b) La struttura organizzativa; il ciclo di lavorazione, la programmazione della produzione ed il sistema informativo passano da molto semplici, instabili e transitori a stabili, predefiniti e complessi. La professionalità della manodopera e l’ampiezza delle

mansioni si restringono da una specializzazione per mestiere a quella di fase o addirittura di operazione. Contestualmente cresce la ripetitività, la componente sistematica e la standardizzazione del lavoro e diminuiscono sia il contenuto di lavoro per unità prodotta che la dipendenza del rendimento del lavoro dalle capacità e volontà dell’operatore.

c) La struttura impiantistica; è l’insieme delle caratteristiche più importanti e che maggiormente diversificano i processi sia sotto il profilo tecnico, che quello economico. Il grado di specializzazione dell’hardware, l’intensità di capitale, le dimensioni delle unità produttive, le economie di scala tecniche aumentano sino a diventare molto rilevanti. La struttura impiantistica passa da transitoria a stabile e rigida per lunghi periodi di tempo. La lunghezza e la complessità del ciclo di lavorazione aumentano, mentre si abbreviano i tempi necessari al prodotto per attraversare il sistema. Il numero ed i costi degli attrezzagli (set-up) diminuiscono fino ad annullarsi. Si rovescia il rapporto uomo-machina: rendimenti tecnici e ritmi di produzione dipendono sempre meno dall’operatore, sino a dipendere quasi esclusivamente dai ritmi delle macchine o da quelli imposti dai programmi nella produzione continua.

d) I materiali impiegati; nel passare dai processi del tipo su progetto a quelli continui aumentano l’importanza del rapporto con il fornitore, le opportunità tecniche ed economiche di integrazione verticale o collaterale, l’importanza degli aspetti tecnici (qualità, affidabilità, rapidità di consegna, continuità) delle forniture. Al contrario diminuisce l’entità dei semilavorati.

e) L’adattabilità rispetto ai mutamenti della tecnologia e della domanda; il grado di adattabilità decresce, fino quasi ad annullarsi nel processo continuo. Ciò va inteso nel senso che, definite le strutture organizzative ed impiantistiche in sede di progettazione dl sistema, ne risulta via via più difficile e costoso l’adattamento passando dai processi job shop a quelli continui.

Nel documento Impianti Industriali (pagine 25-33)