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Varietà e variabilità delle forme di impresa

Nel documento Impianti Industriali (pagine 80-90)

Capitolo 2. IL SISTEMA AZIENDA

2. ORGANIZZAZIONE AZIENDALE Raggruppa tre classi di funzioni che sono:

2.3. LA TEORIA DELL’IMPRESA

2.3.3. Varietà e variabilità delle forme di impresa

Concorrenza e equifinalità tra diverse forme di impresa

Una buona parte dei fenomeni innovativi che si sono manifestati nell’impresa sono avvenuti senza che gli studiosi dell’impresa, da una parte, e managers operativi, dall’altra,

li avessero previsti con anticipo. Oltretutto non si è trattato di fenomeni di poco conto; si pensi ad esempio alla ritrovata vitalità e modernità delle “piccole imprese”, o alla riscoperta della “nazionalità d’impresa”, alla nuova rilevanza del tessuto culturale e relazionale offerto dall’ambiente, alla destabilizzazione di molti mercati oligopolistici una volta rigidamente controllati. Tutti questi fenomeni si sono presentati nella realtà industriale sorprendendo i teorici e gli operatori. Essi hanno reso evidente un insieme di mutamenti che ci impone di rileggere oggi con altri occhi la storia dell’industrializzazione, ponendo al centro dello sviluppo la crescita della varietà delle forme di impresa come il fattore chiave dell’innovazione e della crescita di produttività espresse dai diversi sistemi industriali; l’impresa industriale costituisce ormai il “motore” dello sviluppo proprio per la sua capacità di generare una elevata e crescente complessità delle forme tecnologiche e organizzative con cui si avvantaggia nella competizione economica. La varietà e

variabilità osservabili nei comportamenti e nelle strutture di impresa non sono banalmente

il frutto di “scostamenti casuali” dalla teoria, ma costituiscono invece l’effetto cumulativo e stratificato dell’attività di innovazione attraverso cui ciascuna impresa cerca di produrre valore e di acquisire un profitto differenziale nella competizione tra imprese. E’ qui il cuore stesso della funzione imprenditoriale nel capitalismo moderno e potremmo dire che l’unica forma di impresa che risulta a priori perdente è quella che non abbia capacità di evolversi, sperimentando forme nuove.

Ogni sistema industriale moderno è ormai caratterizzato da una differenziazione elevata e crescente delle forme di impresa che convivono al suo interno e che trovano ragioni diverse, ma parallele, di sviluppo; la piccola impresa coesiste con la grande multinazionale, l’impresa governata dall’imprenditore-persona opera sullo stesso mercato della corporation diretta da managers professionisti; e sullo stesso mercato si trovano ancora altre varianti di impresa, caratterizzate da forme diverse di imprenditorialità, come l’impresa cooperativa, auto-gestita dal lavoro, l’impresa a partecipazione statale, governata da managers dallo Stato; le differenze sono notevoli anche in termini di cultura e ambiente che caratterizza le imprese di diversa estrazione nazionale: così ad esempio le imprese americane si confrontano con imprese europee e giapponesi che hanno forme organizzative, valori, rapporti esterni profondamente diversi.

Il valore della capacità evolutiva dei sistemi industriali lo si può comprendere a fondo facendo ricorso ad un principio generale della “Teoria dei sistemi complessi”, ossia alla proprietà della cosiddetta “equifinalità”: un sistema comunque complesso è in grado,

attraverso opportune correzioni nella propria morfogenesi, di raggiungere uno stesso risultato seguendo percorsi evolutivi e sperimentando percorsi differenti.

Il principio dell’equifinalità dei “sistemi complessi” è ricavato dalle scienze biologiche, in contrapposizione al concetto di equilibrio proprio dalle scienze fisiche (meccanicistiche). Esiste un aspetto del tutto caratteristico dell'ordine dinamico dei processi organicisti, e 1o possiamo indicare parlando di equifinalità. I processi che si verificano in strutture di tipo meccanico seguono una direzione prefissata. Lo stato finale sarà quindi diverso se si modificano le condizioni iniziali oppure lo stesso corso del processo. Al contrario, nei processi organicisti, a partire da condizioni iniziali differenti e seguendo strade diverse si può sempre raggiungere lo stesso stato finale, lo stesso “obiettivo”. Un'impresa, ad esempio, può arrivare a realizzare prestazioni competitive sul mercato con i propri concorrenti (obiettivo equifinale di tutte 1e imprese che sono soggette a un vincolo concorrenziale) non seguendo un modello unico (l'one best way, magari già messo a punto da altri), ma in molti modi possibili, secondo percorsi sperimentali che non possono essere calcolati e ottimizzati a priori: si comincerà ad agire in una direzione e poi si correggeranno via via tali effetti indesiderati, fino a portare il sistema su un percorso evolutivo capace di dare la prestazione voluta. Ciascuna impresa si caratterizza in effetti per un patrimonio di costi affondati (sunk costs), ossia di investimenti in strutture e in sapere che sono stati sostenuti nei tempo e metabolizzati, per così dire, nel processo di sviluppo dell'organizzazione. Il ruolo di tali costi nell'evoluzione di impresa è cruciale: essi danno infatti alla singola impresa possibilità peculiari di evoluzione, ad esempio perché forniscono risorse o un know how non accessibili ad altri. In questo processo, la prestazione competitiva (equifinale) risulta misurabile in valore per tutte le imprese e, sotto questo profilo, essa può essere considerata omogenea per imprese diverse. Ma, a parità di prestazione competitiva in valore, almeno due caratteristiche della prestazione equifinale distinguono qualitativamente la prestazione di ciascuna impresa da quella delle altre:

 La prima caratteristica è l'individualità che ogni sistema complesso mantiene nel rispondere a stimoli esterni (ogni impresa resta diversa da ogni altra, se si guarda al processo attraverso cui essa realizza la prestazione competitiva).

 La seconda caratteristica è quella dell'irreversibilità del percorso storico attraverso cui ciascun sistema si trasforma (ogni percorso è una successione di tappe ciascuna delle quali parte dal livello di complessità già raggiunto ed esplora configurazioni ulteriori). Mentre in un sistema semplice vige il “principio della causalità in senso stretto”, ossia ogni causa si associa ad un effetto dato, quando si ha a che fare con sistemi complessi questo non è più vero. Se ad esempio appare sul mercato una nuova tecnologia, in un

sistema semplice esiste la possibilità di calcolare il modo ottimale di impiegarla: appena il primo innovatore di successo “scoprirà” quel modo e ciò si manifesterà in un profitto differenziale rispetto agli altri, questi ultimi procederanno non più sperimentando ma per imitazione. Alla fine tutte le imprese avranno utilizzato la tecnologia nello stesso modo, secondo la regola dell' “one best way”. Il cambiamento della tecnologia potenziale (causa), si è così tradotta alla lunga in un preciso effetto, ossia in una particolare tecnica adottata dalle imprese. Invece, quando si ha a che fare con sistemi complessi, questa relazione deterministica di casualità è sostituita dal “principio di equifinalità”: lo stato finale è dato (la prestazione competitiva da raggiungere), ma la catena causale per arrivarci non è univoca, né predeterminata. Nell’esempio fatto, le imprese utilizzeranno le potenzialità della nuova tecnologia in modo da ottenere prestazioni competitive equivalenti (altrimenti dovrebbero uscire dal mercato), ma attraverso soluzioni organizzative e strategiche che possono essere anche molto differenti e che resteranno differenti anche nel lungo periodo, proprio perché per un sistema complesso non è possibile un adattamento banalmente imitativo: essendo le basi di partenza fondamentalmente diverse, anche le loro capacità di evoluzione efficace lungo i diversi percorsi possibili sono differenti.

Matrice delle forme di impresa: soggetti e sistemi

Ma come si può teorizzare la diversità delle forme di impresa? Costruiamo a tal proposito la “matrice delle forme di impresa”, ossia uno schema classificatorio che permetta di identificare e ordinare la miriade di forme concretamente osservabili nell’evoluzione storica reale delle imprese industriali e permettere di simulare problemi strategici di “morfogenesi”, ossia di trasformazione progettata dei sistemi, passando da una forma all’altra. Per costruire la matrice delle forme di impresa vengono usate due chiavi teoriche, che permettono di mappare la varietà-variabilità delle forme osservabili storicamente: 1. relazione soggetto-sistema: si possono classificare le diverse forme per quanto attiene

al “potere decisionale” e al “tipo di razionalità” in esse prevalente;

2. relazione impresa-ambiente: l’impresa viene collocata nel suo “ambiente competitivo” e, più in generale, nel suo specifico “contesto socio-culturale”.

fig. 2 – Matrice delle Forme di Impresa

Ma come si procede all’identificazione di una forma? Si tratta di adottare un processo a due tappe:

I. Va identificato lo stato di ciascuna delle tre variabili-chiave:  la “soggettività-potere”,

 il “sistema-organizzazione”,

 “l’ambiente” nel suo aspetto di concorrenza (ambiente competitivo) e di società generale (ambiente socio-culturale);

II. Occorre capire le relazioni tra queste tre variabili, ossia le situazioni in cui un certo stato del potere soggettivo, ad esempio, influisce sul sistema e sull’ambiente.

Mentre il primo punto di vista fornisce, per così dire, una “fotografia statica dell’impresa”, identificando chi comanda, quali siano i modelli organizzativi adottati e le relazioni con l’ambiente, il secondo punto di vista permette invece di mettere in evidenza le cause evolutive che hanno prodotto nel tempo lo stato attuale e di proiettarle “dinamicamente in avanti nel tempo”: in questo secondo caso si adotta un punto di vista evolutivo, che storicizza la forma assunta attualmente da un’impresa e la considera come un’entità costruibile, modificabile attraverso l’interazione tra soggetti, sistemi e ambiente.

Ma la matrice in questione non è solo importante per finalità di analisi teorica, bensì ha anche una validità pratica: essa infatti è la descrizione astratta del “laboratorio” dove nascono le cosiddette “formule imprenditoriali” (proprie di ogni impresa), che traducono la dizione “business idea”, che sta a intendere quell’insieme di fattori distintivi dai quali l’impresa trae la sua “differenza competitiva” e dunque il suo profitto nella competizione innovativa. Quando un’impresa sviluppa una concreta formula imprenditoriale, essa mette

a punto soluzioni innovative che attengono alla formazione del soggetto (ossia del potere interno), alla organizzazione del sistema e alla rete delle relazioni con l’ambiente esterno. Sono proprio queste soluzioni innovative che, se hanno successo, inducono altre imprese ad incamminarsi sulla stessa strada, dando luogo così ad una pluralità di formule che, dal punto di vista della matrice delle forme, possono essere considerate dello stesso tipo. La generalizzazione dell’innovazione propria di una formula può così dar luogo all’emersione di una nuova forma di impresa.

Forme di impresa e formule imprenditoriali, rispetto alla matrice

“soggetti-sistemi-ambiente” sono dunque rispettivamente l’astratto e il concreto di quel processo di “differenziazione” e di “evoluzione” delle imprese che costituisce appunto, come è stato detto, l’oggetto precipuo di una Teoria dell’impresa costruita per le discipline

manageriali. Le imprese sviluppano insomma nuove “formule imprenditoriali” di propria

iniziativa, mentre la selezione competitiva delle formule alimenta la creazione di nuove “forme”, ossia di nuove famiglie di formule imprenditoriali.

Si suole intendere con la dizione di “ambiente competitivo” come quello definito dall’insieme delle altre imprese con cui la prima può avere relazioni o di confronto concorrenziale o di inter-azione cooperativa.

Si intende invece con la dizione di “ambiente socio-culturale” quello con cui l’impresa si confronta quando si va al di là delle relazioni competitive e cooperative con altre imprese; in tale ambiente sono racchiusi tutti i fenomeni che riguardano la cultura (valori, tradizioni, senso di appartenenza sociale ad una comunità), le organizzazioni della società civile (il sistema bancario, il sindacato, le organizzazioni dei consumatori, la stampa, ecc.), le istituzioni (lo Stato, gli Enti Locali), il sistema di norme giuridiche (fisco, incentivazione pubblica all’industria). Si noti, in merito a questi ultimi aspetti, che si è avuta con il passare degli anni una progressiva “de-regulation”, ossia l’attenuazione dei vincoli normativi posti dalla legislazione e dalla Pubblica Amministrazione alla discrezionalità degli operatori privati (invertendo il processo di crescente intervento pubblico che si era sviluppato dal dopoguerra fino a tutti gli anni settanta).

2.4. IL MARKETING

2.4.1. Introduzione

Nell’impresa vi è da sempre la consapevolezza del valore strategico del rapporto con il mercato nei cui confronti le principali scelte decisionali hanno assunto nel tempo diversi orientamenti; si veda in tal senso la tab. 1 sottostante: al variare dell’orientamento dell’impresa nel rapporto con il mercato di sbocco si è assunto come invariato l’obiettivo finale dell’azione dell’impresa, il profitto, ciò per sottolineare come gli orientamenti che caratterizzano i quattro diversi approcci al mercato vanno ritenuti, di fatto, in gran parte indipendenti dalle problematiche connesse con la scelta degli obiettivi.

tab. 1 – Orientamenti dell’impresa nel rapporto con il Mercato

 Il primo orientamento che storicamente le imprese hanno assunto è quello denominato alla “Produzione”. L’ipotesi di base è che il mercato, caratterizzato dalla scarsità di beni e di reddito disponibile da parte dei consumatori desideri una maggiore disponibilità dei beni stessi a prezzi più bassi possibili; definito quindi un “prodotto utile per il consumatore/utilizzatore” il compito principale dell’impresa industriale consiste nel realizzare il proprio obiettivo finale promuovendo, mediante l’evoluzione tecnologica, maggiori volumi di produzione a prezzi decrescenti.

 Il secondo orientamento (al “Prodotto”) costituisce una importante variante del primo e trova maggiori consensi in situazioni socio-economiche e tecnologiche relativamente evolute; il criterio guida di cui si avvale il consumatore nella scelta del prodotto è dato dalla ricerca della migliore qualità.

 Nel terzo orientamento, alla “Vendita”, l’enfasi negli strumenti adottati passa dalla “funzione produzione” alla “funzione commerciale”; nella situazione di eccesso di offerta sulla domanda, l’ipotesi per così dire di lavoro, è che il consumatore sia indotto

ad acquistare il prodotto dall’azione di stimolo esercitata dall’organizzazione di vendita e dalle attività pubblicitarie e promozionali dell’impresa. Si parla cioè di “capacità di pressione dell’impresa sui consumatori”.

 Il quarto orientamento è quello al “Mercato”, ossia di “Marketing”. Il fatto innovativo di questo approccio risiede nell’attenzione posta sui bisogni del consumatore e/o utilizzatore, bisogni che, essendo variamente espressi, determinano differenti segmenti di mercato, caratterizzati da gruppi relativamente omogenei di consumatori, in funzione dei quali l’impresa definisce la propria offerta, così da soddisfare la clientela in modo più efficace ed efficiente dei concorrenti.

E’ da specificare che il prodotto è la variabile cardine a disposizione dell’impresa e gli altri tre strumenti, prezzo, distribuzione, comunicazione, assieme ai quali si articola il “marketing mix”, rappresentano scelte necessarie per realizzare il soddisfacimento dei bisogni dei consumatori/utilizzatori.

All’adozione da parte delle imprese “dell’orientamento al mercato” viene fatto risalire il concetto di marketing. Va tuttavia precisato che i due concetti non sono sinonimi e non vanno confusi. Per poter affermare che un’impresa adotta un “approccio di marketing” (marketing oriented), si deve verificare se oltre ad adottare un “orientamento al consumatore” svolge attività o funzioni di marketing. All’ “orientamento al mercato” deve seguire una valida programmazione delle attività di marketing, in modo che l’impresa possa efficacemente gestire il rapporto con il mercato. Non si deve dimenticare che l’impresa adotta l’approccio di marketing per conoscere le esigenze del consumatore, ma anche per agire su di esso; per poter parlare di impresa “marketing oriented” entrambe queste attività devono essere compresenti nella sua azione.

L’evoluzione, cioè il passaggio da un orientamento ad un altro, va visto come un continuum nel quale ad un estremo c’è “l’orientamento alla produzione o alla vendita” e all’altro, “l’orientamento al mercato”.

Possiamo così definire il marketing come un insieme di attività economiche realizzate allo scopo di soddisfare esigenze di consumo attraverso lo scambio di beni e sevizi. Per meglio

comprendere il concetto di marketing e come esso condizioni in modo significativo l’operato dell’impresa, si consideri lo schema seguente (fig. 3) dove viene sintetizzato un ideale processo decisionale impresa/mercato, definito “processo di marketing”;

fig. 3 – Il processo di Marketing

In tale processo, fissati da parte dell’alta direzione gli obiettivi generali dell’impresa, la fase successiva consiste nello studio dei bisogni per identificare la “clientela obiettivo”; il marketing, in quanto funzione aziendale provvede poi, assieme alla ricerca e allo sviluppo, a progettare i prodotti. Fondamentale è, in questa fase, il ruolo svolto dalla tecnologia alla quale viene richiesta sempre di più flessibilità ed economicità così da soddisfare le numerose istanze dei consumatori ed imprese di cui il marketing si fa portavoce: prodotti affidabili, di qualità elevata, con ridotte esigenze di manutenzione. La dinamica integrazione tra marketing e tecnologia costituisce l’unica garanzia di mantenimento nel tempo di un valido approccio impresa/mercato e, quindi, di vantaggi competitivi nei confronti della concorrenza. Il processo di marketing si interrompe nella quinta fase, di Produzione, per riprendere nella sesta, di Vendita. Si noti che in un’impresa che adotta un

approccio di marketing la “fase di Vendita” ha la funzione di comunicazione e consegna

dei prodotti ai clienti-obiettivo, per soddisfare i bisogni in funzione dei quali si è progettato il prodotto e l’intera azione di vendita; invece in un’impresa che adotti l’orientamento alle

vendite, come detto all’inizio, la “fase di Vendita” ha invece come obiettivo quello di

cercare acquirenti per un dato prodotto, inducendoli ad acquistare mediante l’uso degli strumenti di comunicazione e di distribuzione-vendita. Completa il processo di marketing una essenziale verifica della congruenza delle diverse fasi con quella iniziale dei bisogni e con quella più generale degli obiettivi.

Il marketing prima di essere una funzione gestionale è quindi un’ottica particolare che viene assunta dall’intera impresa e che permette di analizzare nelle sue principali componenti il rapporto impresa/mercato. E potremmo dire ancor di più: secondo alcuni studiosi il marketing è un concetto generale nel senso che l’approccio al marketing tipico di alcune imprese dovrebbe essere proprio anche di istituzioni diverse quali scuole,

ospedali, partiti politici, confessioni religiose, enti pubblici, perché anche in queste circostanze si verifica uno scambio tra persone-utilizzatori-enti.

La problematica fondamentale nel concetto di marketing, è quella che viene definita la

responsabilità o la dimensione sociale del marketing:

1. una prima considerazione riguarda il passaggio dalla logica di soddisfazione di un bisogno individuale a quella di soddisfazione di un bisogno collettivo, perché nulla assicura che la soddisfazione particolare dei consumatori corrisponda ad un bisogno collettivo;

2. così, la questione della responsabilità sociale si traduce, in sostanza, nell’esame del rapporto tra benessere individuale e benessere collettivo ed in particolare sulla veridicità per quanto attiene alla comunicazione pubblicitaria, nella sicurezza e nella performance dei prodotti;

3. un terzo carattere riguarda i criteri mediante i quali la società prevede il risarcimento dei danni al consumatore per il difettoso uso del prodotto o perché non è in grado di fornire le prestazioni promesse.

Però è indubbio che l’adozione diffusa dell’approccio di marketing arreca benefici:

 ai consumatori, in quanto permette loro di allargare la scelta nella soddisfazione dei bisogni, di ottenere beni e servizi più idonei a soddisfare le loro esigenze,

 alle imprese, in quanto permette di produrre commettendo meno errori, sapendo che cosa produrre, per chi produrre e quanto produrre,

 al sistema economico-sociale, in quanto, promuovendo un dinamico adattamento tra consumi e prodotti, riduce il rischio di distruggere ricchezza impedendo la produzione di beni o servizi non vendibili, cioè senza mercato,

 infine, permette di sostenere lo sviluppo economico stimolando le imprese a cogliere nuove opportunità che si presentano nei mercati nazionali ed internazionali.

Affinché tutto ciò si realizzi è necessario però che il sistema consumi/produzione sia in grado di garantire il raggiungimento degli obiettivi sociali insiti nel concetto di “qualità della vita”; tenga cioè conto dell’impatto che l’attività di marketing produce sulla disponibilità dei beni, sull’ambiente naturale e sociale, impatto che può essere correttamente controllato e promosso con opportune azioni legislative, favorendo l’informazione del consumatore, aiutandolo a scegliere fra i prodotti e i servizi offerti sulla base di parametri e valori controllati e verificati. In tal caso si parla di “corretto uso del marketing”.

Le principali attività di marketing che l'impresa deve svolgere possono essere così sintetizzate:

 individuare i mercati e/o i gruppi di clienti che rientrano nella definizione del business aziendale;

 accertare le esigenze attuali o potenziali di questi gruppi di clienti;

 nel caso di differenti modalità di espressione delle esigenze, individuare gruppi diversi di esigenze da soddisfare (segmentazione);

 scegliere, all'interno dei gruppi individuati, i desideri, le esigenze che potranno essere soddisfatte dall'impresa con maggiore successo nei confronti dell'offerta dei concorrenti;

Nel documento Impianti Industriali (pagine 80-90)