• Non ci sono risultati.

Procedimento per testamento inofficioso: teorica analisi retorica

L’ORIGINE RETORICA DELLA QUERELA

3.8 Procedimento per testamento inofficioso: teorica analisi retorica

Riprendendo in mano lo strumentario fornito dalla retorica classica, si tenta in questa sede di assemblarlo per provare ad individuare la

868 Cfr. M. LENTANO, Retorica, cit., 52 ss. 869

Cfr. M. LENTANO, ibid.

870

164

struttura retorica di un procedimento per testamento inofficioso. Fondamentale è la ricostruzione del procedimento del κρινóμενον, che conduce verso l’ipotetica individuazione di almeno uno status, ricordando che, perché quest’ultimo sia individuabile, tutte le parti di tale procedimento devono essere integrate. Nel caso del testamento inofficioso si parte notevolmente avvantaggiati per il fatto che, avendo già detto della precipua rilevanza del color insaniae, si sa che non si è di fronte ad un ἀσύστατον, ma lo si dimostrerà a breve. Il procedimento della querela presuppone l’attivazione da parte del soggetto praeteritus (legittimato attivo), il quale si rivolge contro gli eredi istituiti (legittimati passivi). Il primo momento dell’indagine retorica si soffermerebbe sulla presentazione delle reciproche posizioni, quella del legittimato attivo (intentio/κατάφασις), il quale lamenterebbe l’invalidità del testamento, sostenendo la violazione dell’officium pietatis e quella del generico convenuto in giudizio (depulsio/ἀπόφασις), che sosterrebbe, viceversa, la legittimità della stessa disposizione testamentaria; dalle argomentazioni di accusa e difesa germina il nucleo problematico della controversia (quaestio/ζήτημα) – il testamento è inofficioso oppure no?). A questo primo momento ne seguirebbe un secondo, articolato sull’individuazione della ratio (ossia il legittimato passivo adduce giustificazioni a sostegno della validità del testamento) e dell’infirmatio rationis (il soggetto praeteritus smonta la tesi avversaria sostenendo la presunta follia del de cuius, attraverso il color insianiae). Tutte le parti del procedimento risulterebbero, così, integrate. Dal rapporto tra infirmatio rationis (stato di -artificiosa- follia del testatore) e quaestio (se ci sia o meno violazione dell’officium pietatis) si può arrivare a definire lo status. Per essere più precisi lo status della quaestio coinciderebbe con lo status dell’infirmatio rationis (per questo si può parlare indistintamente di status -qualis sit-). Specificatamente, il soggetto praeteritus, nel

165

sostenere la redazione di un testamento inofficioso muoverebbe un’accusa grave allo stesso de cuius. Per questo motivo lo stesso accusatore, consapevole di tale natura dell’accusa, lesiva per la memoria del de cuius, utilizzerebbe egli stesso uno strumento a difesa del testatore: il color insaniae. In questo modo argomenta dimostrando la deficienza del testatore, agendo a vantaggio dello stesso, poiché sarebbe molto più grave la redazione di un testamento contrario alla pietas; in ogni caso, il praeteritus tiene fermo l’obiettivo finale che è quello di invalidare la disposizione testamentaria. Lo status sarebbe, dunque, quello della qualitas, da intendere però in maniera uguale e contraria rispetto a quello che si è visto in materia di abdicatio. Nel caso del procedimento per testamento inofficioso lo status qualitatis si ricondurrebbe alla comparatio della qualitas adsumptiva871. Se vero quanto sopra, apparirebbe chiara l’origine retorica dell’istituto. Dall’analisi del procedimento che tende alla iudicatio possiamo provare a proporre un’alternativa a quella ricostruzione che si origina puramente dal color insaniae; se quest’ultima fosse ammissibile, si darebbe per invisibile un impedimento palese, ossia il fatto che il color insaniae costituisca solo una (fondamentale) strategia argomentativa ma non il nucleo problematico della controversia (quaestio o ζήτημα). Sulla base della bontà del procedimento del κρινóμενον qui ricostruito, apparirebbe più logico ammettere che tale nucleo verta principalmente sulla violazione dell’officium pietatis. L’abdicatio in quest’ottica parrebbe il precedente declamatorio più calzante, proprio perché in ballo non vi è la questione della reale patologia psichica del de cuius (ossia il profilo dello status finitivus) ma la legittimità del fatto commesso (status qualitatis).

871

166

3.9 Conclusioni

Ancora una volta, il percorso argomentativo non può prescindere dal dato cronologico; appare confermata, dunque, l’individuazione di un πρόδρομον del meccanismo di inofficiosità, in ambito squisitamente giurisprudenziale (D.29.2.60); questo dato ribadisce ciò che già si conosce dal mondo della retorica (Verr. 2.1.107 e inst. orat. 9.2.9): gli albori della querela, fattispecie a formazione progressiva (poiché nasce in ambito retorico ma si perfeziona in quello giuridico del tribunale centumvirale), si possono ricondurre al periodo che va dal I sec. a.C. al I d.C. Affinando l’indagine, nel tentativo di giustificare l’asserito debito esistente tra q.i.t. e elaborazione retorica, attraverso lo studio di Rhet. Her. 1.23 e Cic. Inv. 2.50.148, nel famoso caso del matricida Malleolo (102/101 a.C.), è possibile individuare un fondato precedente. Il procedimento ex ratiocinatione compiuto nel caso di specie piega alle proprie esigenze (declaratoria di nullità del testamento lesivo dell’officium pietatis) l’unico appiglio giuridico (appunto tab. V,7) per negare la testamenti factio attiva al matricida872. Da questo momento in poi, i retori rinforzerebbero il tessuto connettivo che lambisce la finzione di follia e il concetto di inofficiosità, che germina dal mesenchima rappresentato dal τóπος furor/pietas. «Poiché il naturale antagonista della pietas è il furor (…) l’argomento in forza del quale il testamento poteva essere attaccato sembra esser rappresentato dalla presunta follia/empietà del de cuius»873. Il color insaniae, di cui è stata messa in risalto l’articolata polisemia, è l’artificio retorico che permette questa operazione, teleologicamente improntata alla declaratoria di invalidità del testamento. Non sarebbe però il color insaniae il punto di origine. Il color è senz’altro un artificio, uno strumento, un grimaldello retorico indispensabile. Nell’endiadi furor/pietas mentre

872

Cfr. D. DI OTTAVIO, ibid.

873

167

il furor acquisterebbe forma nel color insaniae (in un’ottica strumentale), la pietas sostanzierebbe la quaestio874. L’indagine verterebbe, dunque, sul comportamento empio del testatore e il suo inadempimento rispetto agli officia; questo conduce a sostenere che più che derivare la querela dal color sarebbe preferibile, guardando con maggior attenzione al precedente declamatorio dell’abdicatio, derivarla dall’ensemble pietas/fictio di insania875. Poiché l’humus su cui attecchisce la querela, come si è tentato di vedere, è squisitamente retorico, l’analisi non può che soffermarsi su alcuni spunti declamatori, per permettere di familiarizzare con il meccanismo della finzione follia e con gli stessi istituti della retorica cassica, su cui si è detto in precedenza. Si decide, allora, di guardare nel dettaglio la struttura retorica di alcune controversiae senecane, essendoci tale somiglianza di fondo, per trarne delle direttive che ci conducano verso una teorizzazione di quella che potrebbe essere la struttura retorica di un procedimento per testamento inofficioso. Il discorso, tuttavia, reggerebbe solo alla luce di un dato; si è fatto riferimento alla tematica dell’obbligo alimentare (contr. 1.1 di Seneca Retore) non casualmente ma per piegarla a una generalizzazione, questa volta non troppo pericolosa. «Anche in questo caso dunque [quello dell’obbligo alimentare s’intende] la declamazione renderebbe visibile, trasformandola in articolo di legge, una prerogativa paterna che nella prassi romana era solo implicita, potendosi evincere dalla generica potestas del padre, quel ius vitae necisque tanto virtualmente illimitato quanto povero di indicazioni specifiche. La giurisprudenza delle scuole attinge probabilmente al mondo greco, ma non lo fa senza criterio,

874 § 3.8. V. anche M. LENTANO, Retorica, cit., 50 ss.

875 Cfr. M. LENTANO,ibid.,il quale, a ragione, afferma: «La questione in gioco era

insomma il comportamento empio del testatore, il suo mancato rispetto dei doveri familiari,e non la sua dementia: una conclusione corroborata proprio dalla declamazione, nella quale non compaiono in effetti, come si è detto, casi in cui l’actio dementiae sia intentata per contestare la validità o anche solo la ragionevolezza di un testamento».

168

riprendendo passivamente un modello estraneo: essa introduce una norma che non esisteva in quanto tale a Roma, ma che sarebbe potuta esistere e che esisterà in effetti a partire da un certo momento»876. Questo vorrebbe dire trovare nella declamazione il gene (che sarà normativo) di riferimento; nelle scuole di retorica si elabora e si costruisce ciò che poi acquisirà una veste di giuridicità. Arrivati a questo punto, l’ultimo tassello del puzzle non poteva che essere costituito da un’ipotetica analisi retorica del procedimento per inofficiosità; tramite lo smembramento sistematico del procedimento del κρινóμενον ci si conduce verso l’individuazione dello status della controversia oggetto di analisi, che parrebbe essere quello della qualitas adsumptiva.

Vere queste premesse, apparirebbe dimostrata l’indispensabilità dei retori per la venuta ad esistenza della querela inofficiosi testamenti.

876

169