Il primo insiste su questa soluzione innanzitutto negando uno de
1.5.2 Val Max 7.7.5: il superamento dell’origine pretoria
L’esegesi del passo Val. Max. 7.7.5 viene proposta per tentare un primo approccio all’origine retorica della querela inofficiosi testamenti.
La scelta del brano non è casuale. Esso costituisce uno dei capisaldi per i teorici dell’origine pretoria dell’istituto. Cercare di negare, quindi, la corrispondenza biunivoca tra questo brano e l’origine pretoria, potrebbe voler dire indebolire una delle interpretazioni dottrinali che si contrappone alla tesi che si ha intenzione di argomentare.
Val. Max. 7.7.5. - Egregia C. quoque Calpurni Pisonis praetoris urbis constitutio: cum enim ad eum Terentius ex octo filiis, quos in adulescentiam perduxerat, ab uno in adoptionem dato exheredatum se querellam detulisset, bonorum adulescentis possessionem ei dedit heredesque lege agere passus non est. movit profecto Pisonem patria maiestas, donum vitae, beneficium educationis, sed aliquid etiam flexit circumstantium liberorum numerus, qui <a> cum patre septem fratres impie exheredatos videbat.
La fattispecie concreta vede attore un certo Terenzio, il quale, poiché praeteritus155 ingiustamente da uno dei suoi otto figli, dato in
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adozione ma cresciuto fino dall’adolescenza, chiede tutela (defert querellam) al pretore urbano Calpurnio Pisone. Costui, dando risalto al donum vitae e al beneficium educationis, nonché alla ingiusta preterizione, insieme al padre, di altri sette fratelli, ritiene il caso degno di tutela, attribuendo la bonorum possessio dei beni del figlio al padre senza concedere alcun rilievo alle probabili pretese degli altri eredi testamentari.
Il passo in esame, nell’impostazione di La Pira, può essere considerato l’architrave dell’intera costruzione dei rapporti tra q.i.t. e bonorum possessio contra tabulas156. Ricondotta la datazione dell’episodio intorno al 67 a.C. ed esclusa la possibilità di una configurazione autonoma dell’azione di inofficiosità, l’autore ritiene plausibile la diretta evoluzione della bonorum possessio cum re nella q.i.t.157. Nella bonorum possessio, osserva puntualmente, possono essere rintracciati tutti i principi che più tardi caratterizzeranno la querela158. Perché sia possibile tale evoluzione è necessaria, però, la frapposizione di una disposizione di ius civile (forse la lex Glitia)159. Questo non ben identificato strumento di ius civile appare necessario per affilare la lama di un mezzo di impugnazione che non sarebbe in grado, di per sé, di rescindere un testamento valido iure civili160. L’autore enuclea due diversi metodi per procacciarsi la bonorum
155
Cfr. G. LA PIRA, ibid., il quale ritiene preferibile questa dizione rispetto al testuale ‘exheredatum’.
156 Cfr. M. MARRONE, Sulla natura, cit., 83. 157
Cfr. G. LA PIRA, ibid.
158 Cfr. G. LA PIRA, ibid., il quale, in modo schematico, passa in rassegna quelli
che, a suo dirsi, sono gli elementi che accomunerebbero la bonorum possessio alla
querela. Tali sono: a) il vincolo cognatizio, presupposto per la concessione della q.i.t., che si evince, inevitabilmente, nel rapporto tra il padre naturale e il figlio
dato in adozione; b) la comunanza nella q.i.t. e nella concessione della bonorum
possessio di tre momenti distintamente sovrapponibili. Per la bonorum possessio
tali momenti sono: «1) la querella del cognato, 2) le causae cognitio da parte del pretore, 3) la concessione propriamente detta della b.p.». Specularmente per la q.i.t. si potranno, più tardi, agilmente distinguere: «1) l’adgnitio della b.p.litis ord.
gratia, che legittima il cognato ad esperire l’azione, 2) l’esperimento dell’azione,
3) l’attribuzione dei beni ereditari».
159
Cfr. G. LA PIRA, ibid.
160
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possessio161. Il primo si riferisce alla prassi con cui il pretore arriva a deferire a un suo commissario, extra ordinem, la decisione sull’an testamentum inofficiosum sit, in virtù della quale verrebbe poi a concedere o negare la b.p. al querelante. Il secondo fa perno sulla sponsio praeiudicialis, concessa dal tribunale centumvirale, competente in materia ereditaria162. Entrambe queste pronunce, tuttavia, non sono in grado di rescindere il testamento, che rimane valido per il ius civile163. La finalità rescissoria della q.i.t. si apprezzerebbe, inoltre, in modo differente nell’epoca classica e in quella postclassica164. Alla iniziale finalità parzialmente rescissoria, rapportata proporzionalmente al grado di iniuria subita dai legittimari querelanti, si contrapporrebbe, nel diritto postclassico, una querela prodromica alla rescissione totale delle volontà testamentarie165.
Si proceda con ordine. Innanzitutto sembrerebbe logico negare rilevanza a un’ipotetica lex Glitia, istituto dalla nebulosa natura166. L’unico, scarno, riferimento a tale fonte normativa lo si trae da D.5.2.4167.
D.5.2.4. GAIUS libro singulari ad legem Glitiam – Non est enim consentiendum parentibus, qui iniuriam ad versus liberos suos testamento inducunt: quod plerumque faciunt, maligne circa sanguinem suum inferentes iudicium, novercalibus delenimentis investigationibusve corrupti.
161 Così G. LA PIRA, La successione, cit., 415. 162 Cfr. G. LA PIRA, ibid.
163 Cfr. G. LA PIRA, ibid. 164 Cfr. G. LA PIRA, cit., 429 ss . 165
Cfr. G. LA PIRA, ibid., il quale riconduce tale mutamento della natura della
q.i.t. a due distinte cause. La prima attiene alla nuova veste giuridica assunta dal color insaniae, che «da mera giustificazione retorica venne elevato a vera ragione
giuridica della nullità del testamento»; la seconda alla maggiore preminenza e al riassetto della categoria dei legittimari, nella quale, in diritto postclassico, è possibile annoverare solo «i figli e i loro discendenti, i genitori, i fratelli e le sorelle consanguinei (in quanto agnati)».
166
Cfr. M. MARRONE, Sulla natura , cit., 85 ss.
167
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Escluso in primis l’errore di copiatura (Glitiam per Falcidiam168), non sembrerebbe opportuno individuare la lex Glitia quale mezzo per l’introduzione, nel ius civile, della successione necessaria materiale contro il testamento (i.e. la q.i.t.), poiché non pare riscontrarsi una grande eco dell’istituto né in testi giuridici né in quelli letterari169
. Negata, inoltre, qualsiasi rilevanza tecnica al defert querellam del brano170, si noti la straordinarietà dell’episodio, riportato da Valerio Massimo nell’opera factorum et dictorum memorabilium libri IX171
. Sulla base di tale convinzione, dunque, sarebbe impensabile utilizzare tale episodio isolato ai fini di «pericolose generalizzazioni»172. Il brano Val. Max. 7.7.5. perderebbe, inoltre, qualsiasi pregnante rilevanza a fronte di D.37.4.8, dove categoricamente si dà conto della totale indipendenza della q.i.t. dalla bonorum possessio contra tabulas173.
D.37.4.8 – Non putavit praetor exheredatione notatos et remotos ad contra tabulas bonorum possessionem admittendos, sicuti nec iure civili testamenta parentium turbant: sane si velint inofficiosi querellam instituere, est in ipsorum arbitrio.
168 Cfr. P. VOCI, Diritto, II, cit., 755 ss., il quale, nell’ampia parentesi dedicata alla Falcidia, apre la sua indagine con la descrizione dell’istituto, ricordando come la lex Falcidia ponga un freno alla devoluzione in legati (più tardi anche a diverso
titolo) dell’intero patrimonio del de cuius, impedendo a quest’ultimo di sottrarre all’erede la c.d. quarta Falcidia, potendosi disporre solo nel limite dei tre quarti dell’asse (dodrans).
169 Cfr. M. MARRONE, ibid.
170 Cfr. M. MARRONE, ibid., che , opportunamente, osserva come l’uso di questa
parola non possa essere indicativo di alcun riferimento alla querela quale mezzo di impugnazione. L’espressione, infatti, è comunemente utilizzata per «designare qualsiasi ‘lagnanza’ rivolta a un magistrato; deve quindi ritenersi che anche Valerio Massimo lo abbia adoperato in un senso non tecnico». V. anche L. GAGLIARDI, Decemviri, cit., 266.
171 Cfr. M. MARRONE, ibid.; v. anche L. GAGLIARDI, ibid., il quale sottolinea
come i fatti raccontati da Valerio Massimo rimangono «fatti memorabili», per i quali solo episodicamente si registra la decisione autonoma del pretore e la negazione della possibilità di ricorso ai centumviri.
172
Cfr. M. MARRONE, ibid.; v. anche L. GAGLIARDI, ibid.
173
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Ai fini della negazione di un rapporto di derivazione tra b.p.c.t. e q.i.t. potrebbe tornare utile anche la considerazione dell’aspetto cronologico. «Mentre si colgono balenanti prodromi della querela già nella prima metà del I sec a.C., non ci sono prove che la bonorum possessio contra tabulas fosse nel medesimo periodo storico prevista dell’editto del pretore»174
. Certamente, «una volta avvertita l’iniquità di un testamento inofficioso»175, è pensabile che il pretore arrivi a correggere la disposizione di ius civile lesiva dell’interesse dei cognati, recependo le istanze della coscienza sociale176. Questo, però, non significa necessariamente creare un collegamento genetico tra b.p. e querela177. In merito alla concessione, da parte del pretore, di una b.p. al cognatus non possessore aspirante alla querela178, è plausibile parlare di una «bonorum possessio decretalis179 sino al I sec. a.C., epoca in cui sarebbe entrata a far parte dell’editto, assumendo la denominazione presso i giuristi classici di bonorum possessio litis ordinandae gratia»180. Per concludere sulla rassegna
174
Così L. GAGLIARDI, ibid. , il quale, a ragione, aggiunge che «la bonorum
possessio giunse in un secondo momento, quando ormai i giudizi centumvirali
sull’inofficiosità dei testamenti erano diventati l’anima dell’evoluzione del diritto ereditario romano».
175 Così M. MARRONE, ibid. 176
Cfr. M. MARRONE, ibid.
177 Così M. MARRONE, ibid.
178 Cfr. L. GAGLIARDI, Decemviri, cit., 296 il quale non tarda a precisare che: «la
differenza tra gli eredi legitimi ab intestato del de cuius e i meri cognati di quest’ultimo, era solo che i primi potevano far valere in giudizio l’invalidità di un testamento, perché, a seguito di quest’ultima, essi sarebbero diventati eredi ab
intestato. Questa aspettativa costituiva il loro titolo per agire tramite la querela inofficiosi testamenti. Occorreva costituire artificialmente un analogo titolo anche
per i cognati. È chiaro che per questi ultimi si sarebbe trattato di una costruzione fittizia, perché giammai essi avrebbero potuto diventare eredi ab intestato di un loro cognatus. Ma, come sappiamo, a questo provvedevano i centumviri attraverso la sentenza, che derogava alle regole successorie intestate dell’arcaico ius civile».
179
V. contra P. VOCI, Diritto, II, cit., 704. V. anche P. BONFANTE, Istituzioni, cit.,463, il quale, in modo appropriato, distingue la b.p. decretalis da quella
edictalis. Quest’ultima viene accordata de plano semplicemente attraverso la
presentazione di un libello che contiene le condizioni richieste dall’editto perpetuo, in cui la stessa è contemplata. La b.p. decretalis non è, invece, contenuta nell’editto e può essere accordata solo previa «cognizione di causa con un decreto formale reso pro tribunali».
180
Così DI OTTAVIO, Ricerche, cit., 10, la quale, in merito all’insorgere di tale prassi, riportando l’impostazione del Marrone intorno alla b.p.l.o.g., aggiunge che
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di interpretazioni intorno al passo oggetto di analisi, si riprenda l’impostazione di Glück, richiamato tra i teorici dell’origine centumvirale della q.i.t.181. Il pretore Calpurnio Pisone, secondo l’autore, concede al richiedente la bonorum possessio unde cognati182, per permettergli di esperire la querela, astenendosi dall’accordargli direttamente quest’ultima183
. Condividere il fatto che il pretore ponga il soggetto in condizione di esperire la q.i.t, se ammissibili le congetture, non giocherebbe a favore dell’origine pretoria dell’istituto ma significherebbe semplicemente ammettere che il pretore possa essere qualificato come un tramite per l’esperimento dell’azione; tuttavia, assunto per vero ciò che abbiamo asserito qualche riga più su, nel caso di specie, si potrebbe ammettere una bonorum possessio unde cognati, finalizzata in caso di rescissione del testamento a trasformarsi in una b.p. cum re, solo riconoscendo il rapporto species – genus intercorrente tra b.p.l.o.g. e b.p. unde cognati184. Non si dimentichi, inoltre, che nella querela la fase apud centumviros segue ad una fase in iure che si svolge proprio davanti al pretore185, dunque, l’intervento dello stesso apparirebbe necessitato esclusivamente da esigenze processuali ‘strutturali’.
«tale strumento avrebbe inizialmente assicurato il possesso interinale dei beni, sino al momento della decisione della causa; successivamente, si sarebbe trasformato in semplice strumento per fissare il ruolo processuale del querelante».
181
§ 1.4
182 Cfr. G. PELLAS, Istituzioni di diritto romano, II, Firenze, 1876, il quale,
nell’illustrare il sistema di successione del diritto pretorio, sottolineando l’intento del pretore di mitigare la severità di un sistema successorio basato sul vincolo di agnazione, descrive le quattro classi di successibili. Nel caso di specie la bonorum
possessio unde cognati fa riferimento alla terza classe pretoria. I cognati, ossia i
parenti di sangue fino al sesto grado, avranno diritto di succedere al defunto in mancanza delle prime due classi di successibili (liberi e legittimi). All’interno di questa terza classe «il parente più vicino esclude il più lontano e quelli di grado eguale succedono per capi. Se viene a mancare uno dei parenti più vicini, la sua parte si accresce agli altri. Se tutti rifiutano la bonorum possessio o tralasciano di chiederla nel termine stabilito, essa è deferita ai parenti di grado successivo, di guisa che in questa classe vi ha successione per gradi. I figli illegittimi succedono in questa classe alla loro madre e ai parenti materni».
183 Cfr. DI OTTAVIO, Ricerche, cit., 2 ss. 184
Cfr. D. DI OTTAVIO, Una bibliografia, cit., 206.
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