Il primo insiste su questa soluzione innanzitutto negando uno de
1.7 Il processo romano
Si è parlato, in precedenza, di fenomeno giuridico in senso lato, sottintendendo la completezza di un sistema che fornisce le assi di legno per costruire una robusta staccionata (insieme di situazioni giuridicamente rilevanti) e un ricco sacchetto di chiodi (strumenti processuali) per far fronte a eventuali incrinature o vere e proprie rotture. Il fenomeno processuale si dirà, dunque, necessariamente compresente a qualsiasi organizzazione giuridica come «un aspetto e un momento ineliminabile di essa»213. Sicuramente questo modo di intendere il sistema giuridico è una conquista non immediata ma
210 Cfr. D. DI OTTAVIO, ibid. 211
Cfr. A. CASAMENTO, D. VAN MAL-MAEDER, L. PASETTI, ibid.
212 Così A. CASAMENTO, D. VAN MAL-MAEDER, L. PASETTI, Le declamazioni, cit., 2.
213
Così G. NICOSIA, Il processo privato romano: corso di diritto romano, Torino, 1986, 1.
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legata ad una progressiva evoluzione214. Ormai il significato di ius nella duplice accezione di norma agendi (complesso organizzato di norme) e facultas agendi (diritto in senso soggettivo) può dirsi fuori discussione215. La logica sottesa al processo romano evidenzia che «l’azione non compare quale un carattere generale ed uniforme del diritto subiettivo e materiale, quale una filiazione, per così dire, del diritto violato, ma si hanno tante singole azioni costituite come entità distinte per diritti semplici o rapporti giuridici complessi; e avere o non avere diritto si esprime infinite volte con il dire che si ha o non si ha la facoltà d’agire o l’azione. Può mancare il nome del diritto, ma non manca mai il nome dell’azione »216
.
1.7.1 … e la querela
La nascita della querela stigmatizza, a favore dei membri della cerchia parentale più stretta, il diritto di non essere ingiustamente praeteriti e la possibilità di agire in caso di violazione. Non si dispone di un gran numero di notizie intorno alla forma processuale della q.i.t. e tale dato di fatto, plausibilmente, contribuisce a dare adito a una multiforme pluralità di soluzioni. La gran parte di queste, tuttavia, concorda sull’applicabilità del modus agendi per legis actiones, la più antica forma di processo privato217. Il genotipo delle legis actiones, caratterizzato da solennità, tipicità nonché rigoroso simbolismo, permette di esprimere due distinti fenotipi, corrispondenti vicendevolmente al moderno processo di cognizione
214 Cfr. G. NICOSIA, Il processo , cit. 70 ss.
215 Cfr. G. NICOSIA, ibid. V. anche P. BONFANTE, Diritto romano, Milano,
1976, 380, il quale in merito osserva: «La facoltà di agire, inerente in potenza qualunque diritto, e in un certo senso inseparabile dal diritto, vien concepita come un’entità a sé, in quanto il diritto può essere ridotto dalla violazione al suo puro momento dinamico».
216
Così P. BONFANTE, ibid.
217
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nonché a quello esecutivo218. La procedura generalmente riconducibile alle controversie ereditarie, ossia ai processi centumvirali, è quella della legis actio sacramenti in rem, eventualmente sostituibile da un’actio in rem per sponsionem219. È interessante notare come i processi centumvirali non risentano neppure dell’abolizione, per mezzo delle leges Iuliae, del sistema delle legis actiones, che continuerà ad essere applicato220. Lo stesso si può azzardare anche per la querela. Lo svolgimento di questa avverrebbe, almeno in origine, secondo la forma della legis actio sacramenti in rem221; nella cornice di assoluta sacralità, il procedimento si articola in due stadi: la fase in iure, svolta alla presenza del magistrato (dal 367 a.C. il pretore) e la seconda fase apud centumviros, finalizzata alla produzione della sententia222. La struttura della legis actio sacramenti in rem permette al giudice di dichiarare iustum il sacramentum del soggetto che rivendica il titolo di erede oppure iustum il sacramentum del controvindicans, senza mai staccare lo sguardo dalla res de qua controversia est223. Perché si
218 Cfr. C. SANFILIPPO, Istituzioni di diritto romano, Soveria Mannelli, 2002, 117
ss.
219 Cfr. L. GAGLIARDI, Decemviri, 128 ss. V. anche S. PULIATTI, De cuius hereditate agitur. Il regime romano delle successioni, Torino, 2016. Cfr. L.
GAGLIARDI, Decemviri, cit., 292 ss, grazie al quale si può ritenere che questa concessione (cioè ammettere alternativamente alla legis actio sacramenti in rem l’agere per sponsionem) permette di risolvere il problema della legittimazione attiva alla querela dei cognati, possessori dei beni ereditari, convenuti in giudizio dagli eredi testamentari.
220 Cfr. L. GAGLIARDI, Decemviri, cit., 133; Gai 4.30-31 – [30] Itaque per legem Aebutiam et duas Iulias sublatae sunt istae legis actiones, effectumque est, ut per concepta verba, id est per formulas, litigaremus. [31] Tantum ex duabus causis permissum est lege agere, damni infecti et si centumvirale iudicium futurum est; sane cum ad centumviros itur, ante lege agitur sacramento apud praetorem urbanum vel peregrinum; damni vero infecti nemo vult lege agere, sed potius stipulatione, quae in edicto proposita est, obligat adversarium suum, idque et commodius ius et plenius est.
221 Cfr. A. PETRUCCI, ibid. ; V. anche M. MARRONE, ibid. nonché G.
FRANCIOSI, ibid. V. contra P. VOCI, ibid.
222 Cfr. A. PETRUCCI, Lezioni, cit., 108. V anche C. SANFILIPPO, Istituzioni,
cit., 118, il quale puntualizza il significato di sententia. Quest’ultima sarebbe da cogliere sotto il profilo etimologico come opinione personale del giudice privato, per questo non vincolante per la parte soccombente ma fonte solo di indiretta responsabilità dei garanti.
223
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ricorra alle legis actiones nel processo centumvirale e perché si adotti la forma della legis actio sacramenti in rem, potrebbe essere, a ragione, legato al fatto che il giudice possa arrivare a condannare in ipsam rem, in contrapposizione alla condanna ‘meramente’ pecuniaria del processo formulare224.
Gai 4.48 –Omnium autem formularum,quae condamnationem habent, ad pecuniariam aestimationem condemnatio concepta est. Itaque et si corpus aliquod petamus, velut fundum hominem vestem <aurum> argentum, iudex non ipsam rem condemnat eum,cum quo actum est, sicut olim fieri solebat, <sed> aestimata re pecuniam eum condemnat.
Questa argomentazione, tuttavia, non sarebbe completa se non si considerasse la qualifica di tale res litigiosa. Non si tratta di una semplice res di cui si rivendica la proprietà ma si è di fronte a un complesso di beni, che, non esaurendo il proprio peso nel valore economico, porta con sé soprattutto quello simbolico e affettivo dei sacra familiaria225. Questa conclusione parrebbe ulteriormente confermata dalla non sporadica pratica dell’accettazione di una hereditas damnosa da parte di chi abbia il solo obiettivo di conservare l’onore del premorto226. In quest’ottica una condanna pecuniaria a poco servirebbe e comunque potrebbe non essere sufficiente al soddisfacimento del vero interesse della parte attrice227. Per queste ragioni, non appare del tutto pretenzioso estendere queste considerazioni anche alla materia della q.i.t.228, tanto più considerando quanto un testamentum inofficiosum possa configurare un’accusa tanto grave da dover essere necessariamente ‘mascherata’
224 Cfr. L. GAGLIARDI, Decemviri, cit., 137. 225
Cfr. L. GAGLIARDI, ibid.
226 Cfr. L. GAGLIARDI, Decemviri, cit., 163. 227 Cfr. L. GAGLIARDI, ibid.
228
V. contra L. GAGLIARDI, Decemviri, cit., 288 ss; v. contra P. VOCI, Diritto, II, 708.
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da una fictio di insania dell’ereditando229. L’esclusione dell’applicabilità di una legis actio in personam alla querela troverebbe sostegno, inoltre, in una delle caratteristiche propria dell’actio: la tipicità.
D.44.7.51 – Nihil aliud est actio quam ius quod sibi debeatur, iudicio persequendi.
Questa definizione («riferibile letteralmente solo alle actiones in personam»230) descrive un modello giudiziario che si collega indissolubilmente alla situazione giuridica soggettiva rispetto alla quale è concepita, non suscettibile di estensione diversa231.
Meno contrasti in dottrina suscita l’evoluzione232
della forma processuale della querela in cognitio extra ordinem, che porta con sé il tramonto dello stesso collegio centumvirale233. Tra il I e il II secolo d.C. questa nuova forma processuale si affianca per poi soppiantare totalmente la forma arcaica, sotto la duplice spinta arrecata da esigenze di economia processuale nonché dal timore degli imperatori
229
Cfr. P. VOCI, Diritto, II, cit., 680
230 Così M. TALAMANCA, Elementi, cit., 146 231 Cfr. M. TALAMANCA, ibid.
232 La descrizione del regime giuridico della querela non può dirsi completa se non
si accenna anche alla riforma di Giustiniano. Cfr. A. PETRUCCI, ibid., il quale ricorda che alternativamente alla q.i.t., procedura che rimane a disposizione del figlio, ascendente o fratello diseredati completamente, la normativa giustinianea mette al servizio di questi, che abbiano ricevuto meno della quota di loro spettanza (portio legitima), un’azione di reintegra: l’actio ad impendam legitimam. La Novella 115 del 542 precisa ulteriormente tale regime giuridico, stabilendo l’impossibilità di diseredazione di figli o genitori se non in presenza di un numerus
clausus di cause. Al di fuori di queste si giustifica l’esperimento della querela. Cfr.
A. TULLIO, La successione necessaria, Torino, 2012, XIV, il quale inquadra la
ratio dell’azione di reintegra nell’iniquità del rimedio della q.i.t. (l’erede
testamentario sarebbe privato dell’intero lascito) di fronte a una seppur minima lesione dei diritti dell’erede necessario. Se le disposizioni testamentarie non riconoscono a quest’ultimo una pars bonorum, ammontante almeno a un quarto (dal 536 con la Novella 18 elevata a un terzo se i necessari non sono più di quattro, altrimenti alla metà dell’asse) si concretizza il presupposto processuale per accedere allo strumento giustinianeo.
233
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di vedere offuscata la propria autorità dalle ambiziose sentenze centumvirali234.
1.8 Conclusioni
Facendo un bilancio dei primi frutti raccolti in questa sede, si può tentare una mappatura dei punti di principale interesse. Inquadrabile come uno dei tasselli della progressiva limitazione alla libertà di testare del de cuius e al tempo stesso come il superamento della rigidità di un principio troppo arcaico (i.e. la successione necessaria formale), la querela è un’efficace reazione dell’ordinamento di fronte ad intollerabili attività dell’ereditando, lesive dell’officium pietatis. Dall’effetto anche parzialmente rescissorio, che potrebbe conseguire all’esperimento vittorioso dell’azione, si deduce una vistosa deroga al principio «nemo pro parte testatus pro parte intestatus decedere potest». Rigettate l’origine pretoria, quella puramente centumvirale nonché giurisprudenziale dell’istituto, il fatto di ricondurre l’inizio del processo di formazione dell’azione di inofficiosità al I secolo a.C. (secolo del floruit della retorica latina235), permetterebbe di non frapporre ostacoli cronologici all’idea di un’origine retorica dell’istituto. Il trait d’union tra retorica e diritto verrebbe, così, rappresentato dalle declamazioni, strumenti utili ai retori per forgiare le armi dialettiche dei proprie allievi ma, soprattutto, terreno di coltura per ciò che poi avrà riscontro pratico nella realtà della fattispecie; viene creata artificialmente l’impalcatura che sosterrà l’istituto della querela. Non si è, però, insistito abbastanza su uno dei presupposti che ci permette di perorare la nostra causa: la composizione del tribunale centumvirale. Questo collegio, istituito
234
Cfr. A. PETRUCCI, ibid.; v. anche L. GAGLIARDI, Decemviri, 518.
235
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dopo il 241 a.C., è un affollato236 ritrovo di membri delle tribù territoriali, che deve essere persuaso in misura superiore alla metà per poter arrivare a sententia favorevole al querelante. L’uso dell’eloquenza, in questo contesto, «come accade sotto ogni forma di governo ove sono in uso le concioni e le assemblee popolari dispensiere di carichi e dignità»237, è di comprovata e fondamentale importanza. In quest’ottica si ipotizza una soluzione di compresso sull’origine della querela, indubbiamente retorica ma al tempo stesso debitrice, per la sua decisiva affermazione, della matrice centumvirale. Sulla base di tali considerazioni, al di fuori del polverone sollevato dalle dispute dottrinali, si cercherà di indagare in che modo lo studio della retorica giudiziaria possa favorire una comprensione logica dell’articolazione strutturale dell’istituto.
236 Cfr. G. FRANCIOSI, ibid., il quale sulla base di una testimonianza di Festo
asserisce che i centumviri, in realtà, sono 105, estratti in numero di tre da ognuna delle tribù territoriali (portate proprio nel 241 a. C. a 35). V. anche G. F. PUCHTA,
Corso delle istituzioni, Napoli, 1854, 252, che non manca di precisare come non ci
sia sicurezza in ordine al numero dei componenti di questi collegio, potendosi anche ritenere, in ossequio al suo nome, che sia composto da venticinque membri per ognuno dei quattro consilia. V. anche G. A. KENNEDY, The art of rhetoric in
the roman world, Princeton, New Jersey, 1972, 10. 237
Così T. BOLLICI, La giurisprudenza e la vita di Plinio il giovane, Roma, 1970, 48.
48 CAPITOLO II