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L’accesso agli atti del procedimento rappresenta uno strumento di tutela dall’ispezione che s’inserisce nella fase successiva al primo accesso in azienda.

È indubbio, infatti, che conoscere gli atti e le dichiarazioni rese nel corso del procedimento ispettivo rappresenta il nucleo centrale della difesa del datore di lavoro, poiché è proprio attraverso la ricostruzione del percorso ispettivo seguito dall’organo accertatore che il datore di lavoro potrà arrivare a confutare le

conclusioni dell’accertamento e muovere censure alle risultanze del procedimento ispettivo.

Gli atti ispettivi accessibili, in conformità alle prescrizione della legge n.241/1990, sono quelli formati nel corso dell’accertamento ispettivo (verbali, dichiarazioni, annotazioni, etc..).

La ratio dell’istituto dell’accesso, quale fattore di trasparenza ed imparzialità della pubblica amministrazione, va, tuttavia, coniugato con gli interessi contrapposti dei soggetti che dall’accesso vedono compromesso il loro diritto alla riservatezza.

Sul piano normativo, infatti, l’art.22 della legge 241/1990 riconosce il diritto di accesso ai documenti amministrativi “… attese le sue rilevanti finalità di

pubblico interesse” quale “principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza”, salvo poi al

successivo art.24, lett. d), fissare dei limiti con riferimento a “documenti che riguardino la vita privata o

la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all’Amministrazione dagli stessi soggetti a cui si riferiscono”.

Con il D.M. 4.11.1994 n.757, il Ministero del Lavoro ha elencato analiticamente ed espressamente quali siano i documenti formati o stabilmente detenuti dal Ministero stesso sottratti al diritto di accesso. Tra questi troviamo “i documenti contenenti notizie acquisite

nel corso delle attività ispettive, quando dalla loro divulgazione possano derivare azioni discriminatorie o indebite pressioni o pregiudizi a carico di lavoratori o di terzi”, nonché i “documenti contenenti le richieste di intervento” (art.2 lett. c) e b)).

Nel conflitto tra i due contrapposti interessi all’accesso da parte del datore di lavoro ed alla riservatezza del lavoratore, la giurisprudenza, nella sentenza del Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, del 4 febbraio 1997 n.5199, ha fissato il principio secondo

199 In www.giustizia-amministrativa.it.

In passato la giurisprudenza ammnistrativa si era pronunciata sul punto confermando la sottrazione al diritto di accesso ai documenti acquisiti nel corso dell’accertamento ispettivo: si

cui “l’accesso, qualora venga in rilievo per la cura o la

difesa di propri interessi giuridici, deve prevalere rispetto all’esigenza di riservatezza del terzo”.

In tempi recenti, il Consiglio di Stato, con sentenza n.4035/2013,200 ha ripercorso l’iter argomentativo seguito dalla giurisprudenza negli ultimi anni affermando come l’art.20 della legge n.241/1990, che garantisce il diritto di accesso, specifica con chiarezza come non bastino esigenze di difesa genericamente enunciate per assicurarne l’esercizio “dovendo

quest’ultimo corrispondere ad una effettiva necessità di tutela di interessi che si assumano lesi ed ammettendosi solo nei limiti in cui sia “strettamente indispensabile” la conoscenza di documenti contenenti “dati sensibili e giudiziari”.

Ferma restando, dunque, una possibilità di valutazione caso per caso, - continua il Consiglio di

Stato – che potrebbe talvolta consentire di ritenere

prevalenti le esigenze difensive in questione … non può però affermarsi in modo aprioristico una generalizzata recessività dell’interesse pubblico all’acquisizione di ogni possibile informazione, per finalità di controllo della regolare gestione dei rapporti di lavoro … rispetto al diritto di difesa delle società o imprese sottoposte ad ispezione: il primo di tali interessi, infatti, non potrebbe non risultare compromesso dalla comprensibile reticenza dei lavoratori, cui non si accordasse la tutela di cui si discute, mentre il secondo risulta comunque garantito dall’obbligo di motivazione per eventuali contestazioni, dalla documentazione che ogni datore di lavoro è tenuto a possedere, nonché dalla possibilità di ottenere accertamenti istruttori in sede giudiziaria”.

Sulla scorta della decisione del Supremo Organo di Giustizia Amministrativa, è immediatamente intervenuta la circolare n.43 del 8.11.2013 del Ministero del Lavoro201 nella quale è stato riaffermato il principio della previa valutazione motivata, caso per caso, del diniego all’accesso, da parte delle Direzioni territoriali del lavoro, delle dichiarazioni rese dai lavoratori durante l’accesso ispettivo.

vedano Cons. Stato, sez. VI, n.65 del 27.1.1999, Cons. Stato n.1842 del 22.4.2008, Cons. Stato n.1604 del 19.1.1996.

200 In www.dplmodena.it, commentata da P. Rausei, Stop alla

discovery delle dichiarazioni rese dai lavoratori agli ispettori del lavoro, in www.bollettinoadapt.it.

Ulteriore aspetto che occorre sottolineare riguardo il verbale unico di accertamento ispettivo. Se, infatti, l’accesso agli atti della procedura ispettiva può essere inibito nel corso dell’accertamento sulla scorta di quanto detto in precedenza, nel verbale conclusivo, l’ispettore non può limitarsi ad indicare in maniera sommaria le fonti di prova.

A seguito dell’entrata in vigore del Collegato lavoro, infatti, l’organo accertatore è tenuto ad indicare puntualmente le fonti di prova degli illeciti amministrativi, in conformità al principio di ragionevolezza e trasparenza dell’azione amministrativa.

In dottrina si è osservato come la disposizione sia volta “a riconoscere all’ispezionato (e al professionista o

all’associazione di categoria che lo assistono) il pieno diritto a conoscere dell’impianto accusatorio in maniera certa e dettagliata, in uno con l’apparato probatorio raccolto, palesando un chiaro intento di trasparenza dell’azione amministrativa di vigilanza”.202

Il problema si ripropone per le dichiarazioni dei lavoratori acquisite durante l’accesso ispettivo. È evidente, infatti, che le stesse rappresentano fonti di prova privilegiata, in quanto spesso sostengono l’impianto accusatorio dell’intera ispezione.

Delle stesse, così come delle c.d. dichiarazioni incrociate dei lavoratori operanti nell’azienda ispezionata, dovrà darsi atto nella motivazione del procedimento con l’accortezza di non indicare le generalità di che le ha rilasciate.203

202 P. Rausei, Collegato…, cit., pag.89.

203 Nella circolare n.41/2010 MLPS si legge: “… A seguito della

notificazione del verbale unico conclusivo degli accertamenti, infatti, i destinatari dello stesso acquisiscono la certezza della completezza delle verifiche effettuate, attraverso la dettagliata indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che hanno determinato le decisioni dei verbalizzanti. In altri termini la contestazione delle violazioni deve trovare il proprio fondamento in una specifica e circostanziata indicazione delle fonti di prova. Si ricorda, peraltro, che la dichiarazione del lavoratore al quale si riferiscono gli esiti dell’accertamento non costituisce prova per sé sola, ma elemento indiziario, liberamente valutabile dall’Autorità giudiziaria e amministrativa chiamata a decidere in sede di contenzioso. Al fine di poter assurgere ad elemento dotato di specifica valenza è comunque necessario, con specifico riferimento alla data di effettivo inizio del rapporto di lavoro, che il contenuto della dichiarazione resa dal singolo lavoratore sia confermato da altri elementi documentali (ad es. agenda del datore di lavoro o altra

Laddove ciò non sia possibile varranno i principi sopra esposti.

4. Gli scritti difensivi e l’audizione personale