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amministrativi 5.1. Il ricorso alla Direzione regionale del lavoro 5.2 Il ricorso al Comitato regionale per i rapporti di lavoro 6. Il ricorso giudiziario: il giudizio di opposizione ad ordinanza di ingiunzione. Cenni

1. L’interpello

A conclusione dell’analisi relativa al funzionamento dei servizi ispettivi italiani, per esigenze di completezza, ho pensato di inserire una breve disamina sugli strumenti di tutela dall’ispezione.

Questi possono distinguersi in strumenti di tutela preventiva ovvero strumenti di tutela successiva all’ispezione. Tra quest’ultimi è possibile, a sua volta, distinguere a seconda della fase procedimentale in cui divengono azionabili: a seguito del verbale di primo accesso ispettivo, della notifica del verbale unico di accertamento e notificazione ovvero a seguito dell’emissione dell’ordinanza ingiunzione.

Gli strumenti di tutela preventiva del datore di lavoro, invece, esplicano la loro efficacia nella fase precedente all’accertamento ispettivo, allo scopo di garantire entrambe le parti del rapporto lavoristico, e sono principalmente l’interpello e la certificazione del contratto.

Interpello e certificazione del contratto rispondono all’esigenza di assicurare effettività ai diritti di entrambe le parti del rapporto di lavoro.

Parlando di effettività mi sono spinta a dire che, pur essendo il nostro sistema ispettivo ancora fortemente ancorato al principio di legalità, e quindi a strumenti di

hard law, è possibile intravedere nelle pieghe dei vari

interventi legislativi, effetti di soft law.

La soft law si è detto si concentra sugli effetti finali: i principi espressi da organismi internazionali di riconosciuta autorevolezza, le raccomandazioni stilate dalla Commissione europea pongono gli Stati, ovvero i (grandi) operatori economici, innanzi ad una situazione per cui la loro immagine verrebbe lesa ed appannata nel non rendere effettivi i principi e valori perseguiti, così che senza coercibilità e senza necessità di sistema rigido, gli obiettivi posti vengono comunque raggiunti.

Ecco allora come questi stessi effetti di soft law sia possibile tentare di perseguirli attraverso l’introduzione di istituti che prevengono l’intervento punitivo e sanzionatorio dello Stato.

Nascono, così, l’interpello e la certificazione del contratto di lavoro.

L’interpello può definirsi, in via generale, un’istanza che un soggetto rivolge ad un’Amministrazione, affinché questa dia una valutazione preventiva circa un’operazione o una determinata attività che l’istante si accinge a svolgere.

E’ uno strumento che affonda le proprie radici nel diritto tributario: introdotto dall’art.21 della legge 30 dicembre 1991 n.413, è stato esteso a tutta la materia tributaria dallo Statuto del contribuente.194

In ambito lavoristico e previdenziale è una procedura che consente di risolvere dubbi, rispondendo ad una funzione di prevenzione dell’illegalità195.

Attraverso l’interpello, infatti, è possibile prevenire comportamenti scorretti e discordanti dalla corretta interpretazione della normativa e, di conseguenza, evitare l’applicazione di illeciti e sanzioni.

L’esigenza di assicurare la certezza ed uniforme applicazione del diritto, allo scopo di assicurarne l’effettività, hanno spinto, infatti, il legislatore ad introdurre, con la Riforma dei servizi ispettivi, l’art.9 del D. Lgs. n.124/2004, successivamente modificato dal decreto legge 3 ottobre 2006 n.262196, in base al quale gli organismi associativi a rilevanza nazionale degli enti territoriali e gli enti pubblici nazionali, nonché, di propria iniziativa o su segnalazione dei propri iscritti, le organizzazioni sindacali e dei datori di

194 G. Falcone, Interpello in materia tributaria, in Enciclopedia

giuridica 2003, voce interpello.

195 Sul punto si veda M. Parisi, “Natura, effetti e prassi

dell’istituto dell’interpello in materia di lavoro”, in Diritto delle

Relazioni Industriali, n 3, Milano, Giuffrè, 2008.

L. Degan, S. Scagliarini, “Prevenzione, promozione e diritto

d’interpello”, in “La riforma dei servizi ispettivi in materia di lavoro e previdenza sociale – Commentario al decreto legislativo 23 aprile 2004, n.124”, Milano, Giuffrè, 2004.

196 Pubblicato in G.U. n.230 del 3 ottobre 2006, convertito con

modificazioni in legge 24 novembre 2006 n.286. Per un approfondimento D. Papa, “Diritto di interpello: cambiano le

lavoro maggiormente rappresentative e i consigli nazionali degli ordini professionali, possono inoltrare alla Direzione generale quesiti di ordine generale sull’applicazione delle normative di competenza del Ministero del lavoro e della previdenza sociale.

Il mezzo attraverso cui inoltrare il quesito è in via esclusiva la posta elettronica.

L’adeguamento da parte dell’istante alle indicazioni fornite nelle risposte ai quesiti esclude l’applicazione di eventuali sanzioni penali, amministrative e civili.

Siamo evidentemente in presenza di un mezzo di tutela preventiva, utilizzabile da parte datoriale per blindare la propria posizione o determinate scelte imprenditoriali; essa è, inoltre, una procedura che, oltre a favorire il passaggio dalla vecchia impostazione repressiva - sanzionatoria alla nuova visione aperta e collaborativa del servizio ispettivo, risponde ad esigenze di effettività dell’azione ispettiva.

I lavoratori, infatti, hanno la garanzia di essere salvaguardati dalle decisioni dell’Amministrazione; d’altro canto, parte datoriale potrà contare sulla certezza giuridica delle risposte ai quesiti formulati.

Infatti, anche a seguito delle modifiche introdotte dal decreto legge 3 ottobre 2006 n.262, il secondo comma dell’art.9 prevede che l’adeguamento alle indicazioni fornite dall’Amministrazione comporta il venir meno dell’applicazione delle sanzioni penali, amministrative e civili.

Sotto il profilo effettuale, non esiste un obbligo del datore di lavoro di conformarsi a quanto statuito nell’interpello, potendo il medesimo decidere di discostarsene. In questo caso, non scatta immediatamente la sanzione civile, penale o amministrativa, essendo necessario un procedimento ispettivo che accerti le eventuali violazioni da parte datoriale.

Sotto il profilo degli effetti per l’amministrazione, invece, le risposte ai quesiti fornite dalla Direzione generale interpellata devono considerarsi orientamenti ministeriali, cui le Direzioni territoriali sono tenute ad attenersi, onde garantire quell’uniformità nell’applicazione del diritto che con l’istituto si mira a perseguire.

Senza velleità di approfondimento di un istituto complesso ed affascinante come la certificazione dei contratti di lavoro e di appalto, in questa sede, possiamo limitarci a dire che lo stesso è un istituto poliedrico, caratterizzato da una varietà e molteplicità di funzioni: se, infatti, da un lato, può essere ricondotta nel novero degli strumenti di tutela preventiva del datore di lavoro; dall’altro, la stessa è in grado di assicurare effettività e certezza ad entrambe le parti del rapporto giuridico, in quanto i propri effetti sono in grado di spiegarsi nei confronti delle parti e dei terzi197.

Introdotta dalla Riforma Biagi del 2003 con l’obiettivo di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei contratti, la certificazione è una procedura su base volontaria attraverso cui le parti possono chiedere ed ottenere da soggetti, particolarmente qualificati, un accertamento sulla qualificazione del contratto di lavoro.

Detto procedimento può essere attivato sia al momento della stipula del contratto, che nella fase relativa allo svolgimento dello stesso, e mira ad assicurare una maggior certezza sulla natura e sulle caratteristiche del modello contrattuale adottato.

È sempre più frequente, infatti, trovarsi nella necessità di ricondurre la concreta esecuzione di una determinata prestazione all’interno di una determinata tipologia contrattuale tipica o atipica.

L’uso della certificazione riduce il rischio legato ad una scorretta qualificazione del contratto di lavoro.

197 Per un approfondimento sulla materia di rinvia a V. Speziale,

“La certificazione dei rapporti di lavoro nella legge delega sul mercato del lavoro”, in Rivista Giuridica del Lavoro e della

Previdenza sociale, n.1, Milano, Italia Oggi, 2003; E. Ghera, “La

certificazione dei contratti di lavoro”, in R. De Luca Tamajo, M.

Rusciano, L. Zoppoli (a cura di), “Mercato del lavoro: riforme e

vincoli di sistema”, Napoli, Editoriale Scientifica, 2004; M.G.

Garofalo, “La certificazione dei rapporti di lavoro”, in P. Curzio (a cura di), Lavoro e diritti, Bari, Cacucci, 2008; A. Vallebona (a cura di), La certificazione dei contratti di lavoro, Torino, 2004; M. Tremolada, La certificazione dei contratti di lavoro tra autonomia

privata, attività amministrativa e giurisdizione, in Riv. it. dir. lav.,

n.1/2007, pag.307 e ss.; V. D’Oronzo, La certificazione nella

riforma del diritto del lavoro: finalità, natura ed effetti, in Lav. Giur.

2005, pag.312; L. Nogler, La certificazione dei contratti di lavoro, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 2004, pag.203 e ss..

Attraverso la certificazione è possibile perseguire, così, quegli effetti di soft law di cui si è parlato in premessa, e si è in grado di garantire l’effettività del diritto del lavoro non soltanto in termini strettamente giuridici, ma altresì economici, nella misura in cui si demanda a soggetti qualificati il compito di “controllare” il contratto di lavoro o di appalto, garantendo, così, un ragionevole livello di certezza dei rapporti giuridici.

Allo scopo di incentivare l’uso dello strumento certificativo, il Collegato lavoro di cui alla legge n.183/2010 ha introdotto alcune novità finalizzate all’ampliamento dei compiti delle Commissioni di certificazione198.

Il novellato art. 75 del D. Lgs. n.276/2003 prevede, infatti, che “Al fine di ridurre il contenzioso in materia

di lavoro, le parti possono ottenere la certificazione dei contratti in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro secondo la procedura volontaria stabilita nel presente titolo”.

Il nuovo testo amplia l’ambito applicativo dell’istituto asserendo che il potere certificativo delle Commissioni riguarda tutti i contratti nei quali, direttamente o indirettamente, sia dedotta una prestazione di lavoro.

Le Commissioni di certificazione, in quanto soggetti altamente qualificati, sono individuate dall’art.76 del D. Lgs. n.276/2003 ed assistono le parti nella redazione del contratto, verificando e convalidando la regolarità formale e sostanziale del medesimo.

“Gli effetti dell’accertamento dell’organo preposto alla certificazione del contratto di lavoro permangono, -

infatti - anche verso i terzi, fino al momento in cui sia

stato accolto, con sentenza di merito, uno dei ricorsi giurisdizionali” promossi davanti al Giudice del lavoro

o al TAR (art. 79 del D. Lgs. n.276 del 2003).

Si realizza, pertanto, per i contratti certificati l’inversione dell’onere della prova, in quanto lo stesso organo ispettivo, cui spetta contestare la regolarità del contratto, dovrà dimostrare in giudizio l’invalidità del testo certificato.

198 Per un approfondimento si veda V. Lippolis, Certificazione dei

contratti di lavoro: le novità contenute nel Collegato lavoro, in Il

giurista del lavoro n.3/2010. Di recente S. Ciucciovino, La

certificazione dei contratti di lavoro: problemi e questioni aperte,

Ed infatti, in base al successivo art.80, è possibile esperire avverso l’atto di certificazione ricorso al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro nei casi di: erronea qualificazione del contratto, difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione e vizi del consenso.

Oltre al ricorso avanti al Giudice ordinario, avverso la certificazione è ammesso anche ricorso al TAR territorialmente competente nelle ipotesi di violazione del procedimento o di eccesso di potere da parte della Commissione di certificazione.

È evidente, tuttavia, che l’eventuale impugnazione in questa sede riguarda il solo atto amministrativo, restando estraneo a tale ambito il negozio giuridico sottostante al provvedimento amministrativo impugnato.

Infine, merita sottolineare come l’art.30, comma 2; del Collegato lavoro abbia introdotto un’importante novità sul piano dei poteri giudiziali in materia di certificazione, stabilendo che “nella qualificazione del

contratto di lavoro e nell’interpretazione delle relative clausole il giudice non può discostarsi dalle valutazioni delle parti, espresse in sede di certificazione dei contratti di lavoro…, salvo il caso di erronea qualificazione del contratto, di vizi del consenso o di difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione”.

Ciò comporta che l’A.G. non potrà effettuare valutazioni di merito sulla qualificazione del contratto o nell’interpretazione delle clausole relative, dovendo attenersi a quanto precedentemente certificato dalla Commissione, residuando, pertanto, la possibilità di una valutazione nei soli casi di erronea valutazione, vizio del consenso o difformità tra negozio certificato e sua attuazione.