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Il verbale unico di accertamento e notificazione

L’obbligatorietà del verbale di primo accesso ispettivo va direttamente relazionata con la successiva e conclusiva fase dell’accertamento ispettivo, che si chiude, in caso di irregolarità accertate, con il verbale unico di accertamento e notificazione, oggi disciplinato dall’art.13 del D. Lgs. n.124/2004, come novellato dal c.d. Collegato lavoro.

All’esito delle verifiche effettuate, infatti, il personale ispettivo potrà riscontrare o meno irregolarità nei confronti dell’azienda ispezionata.

Nel caso in cui riscontri irregolarità procederà a contestarle al trasgressore e all’obbligato in solido, nel caso, invece, in cui gli accertamenti diano esito negativo, la circolare n.41/2010 del Ministero del Lavoro, in continuità logica con quanto previsto dalla direttiva 18 settembre 2008, prevede l’obbligo per l’ispettore di informare il soggetto ispezionato mediante una “comunicazione di regolare definizione degli

accertamenti”, la quale dovrà contenere l’indicazione

che, da quanto raccolto agli atti dell’accertamento, non

96 C. Santoro, Il collegato…, cit. pag.63 e ss. Contra L. Scarano,

sono emersi elementi idonei a comprovare la sussistenza di fattispecie di illecito o inosservanze.

Nel caso, assai più frequente, in cui l’ispettore constati, invece, l’inosservanza di norme di legge o del contratto collettivo di lavoro ovvero nel caso in cui si rilevino inadempimenti da cui derivi l’applicazione di sanzioni amministrative si procederà con il verbale unico di accertamento e notificazione.

L’accertamento ispettivo, quindi, si chiude sempre e comunque con un atto espresso, nell’ottica di dare certezza giuridica alla verifica amministrativa e al datore di lavoro che ne è il destinatario.

Il verbale unico di accertamento e notificazione rappresenta la vera novità del Collegato lavoro, e si atteggia come strumento in grado di procedimentalizzare fortemente l’attività ispettiva.

Il Legislatore del Collegato ha voluto, infatti, limitare fortemente la discrezionalità dell’ispettore introducendo termini stringenti entro cui la procedura deve svolgersi.

Ciò, se da un lato rafforza la tutela del datore di lavoro a fronte di possibili abusi del corpo ispettivo, dall’altro, vedremo, lo penalizza nel caso in cui, in buona fede, non regolarizzi la propria posizione nei termini precisi dettati dal verbale di accertamento.

In ogni caso, il personale ispettivo, all’esito dell’accertamento, è tenuto in base al comma 4 del citato art.13 a contestare eventuali sanzioni amministrative “esclusivamente con la notifica di un

verbale unico di accertamento e notificazione” che dovrà

contenere “… a) gli esiti dettagliati dell’accertamento,

con indicazione puntuale delle fonti di prova degli illeciti rilevati; b) la diffida a regolarizzare gli inadempimenti sanabili ai sensi del comma 2; c) la possibilità di estinguere gli illeciti non diffidabili ottemperando alla diffida e provvedendo al pagamento della somma di cui al comma 3 ovvero pagando la medesima somma nei casi di illeciti già oggetto di regolarizzazione; d) la possibilità di estinguere gli illeciti non diffidabili, ovvero quelli oggetto di diffida nei casi di cui al comma 5, attraverso il pagamento della sanzione in misura ridotta ai sensi dell’art.16 della legge 24 novembre 1981 n.689; e) l’indicazione degli strumenti di difesa e degli organi ai quali proporre ricorso, con specificazione dei termini di impugnazione …”.

Come per il verbale di primo accesso ispettivo, il legislatore ha scelto di normativizzare dettagliatamente

il contenuto del verbale di accertamento e notificazione.

Sotto questo profilo, elemento di novità è costituito dall’obbligo per gli ispettori di indicare puntualmente le fonti di prova.

Detto obbligo si mette in relazione con il generale obbligo di motivare i provvedimenti amministrativi previsto dall’art.3 della legge n.241/1990, e si collega con l’obbligo, previsto nel codice di comportamento degli ispettori, di motivare adeguatamente le conclusioni finali a cui l’ispettore è pervenuto, anche al fine di prevenire il contenzioso amministrativo, nonché con la previsione che “il processo verbale deve

contenere ogni elemento utile a garantire e ad assicurare la possibilità di difesa del presunto trasgressore” (art.15 e 16 codice di comportamento

degli ispettori).

Fino al Collegato lavoro, tuttavia, l’ispettore poteva motivare genericamente il verbale conclusivo, indicando in maniera sommaria le fonti di prova97.

Adesso, invece, il legislatore impone che l’ispettore indichi puntualmente le fonti di prova degli illeciti amministrativi, in conformità al principio di ragionevolezza e trasparenza dell’azione amministrativa98.

In dottrina si è osservato come la disposizione è volta “a riconoscere all’ispezionato (e al professionista o

all’associazione di categoria che lo assistono) il pieno diritto a conoscere dell’impianto accusatorio in maniera certa e dettagliata, in uno con l’apparato probatorio raccolto, palesando un chiaro intento di trasparenza dell’azione amministrativa di vigilanza”.99

A parere di chi scrive, tuttavia, se da un lato, la previsione salvaguarda la posizione del datore di lavoro che avrà la possibilità di articolare meglio la propria

97 La dizione estremamente generica era la seguente: “… dalle

informazioni raccolte nel corso dell’accertamento …”.

98 Nel caso in cui dall’accertamento ispettivo emergano prove

relative ad eventuali reati, le relative fonti continueranno a dover essere comunicate al Pubblico Ministero ex art.347 c.p.p.. L’obbligo di indicare puntualmente le fonti di prova riguarda, infatti, i soli illeciti amministrativi. Ciò è confermato dalla circolare n.41/2010 che precisa: “… non devono essere, tuttavia, indicate le

fonti di prova che attengono ad attività investigative di natura penale per le quali, in quanto atti intimamente connessi ad attività istruttoria penale, risulta applicabile l’art.329 c.p.p.”.

difesa; dall’altro, sicuramente ne rimane penalizzato il lavoratore o i lavoratori che, con le loro dichiarazioni, hanno suffragato l’accertamento ispettivo e li espone a possibili ripercussioni da parte datoriale.100

La necessità di indicare le dichiarazioni dei lavoratori quali fonti di prova è confermata dalla circolare n.41/2010 del Ministero del Lavoro, la quale attribuisce grande importanza alle c.d. dichiarazioni incrociate dei lavoratori operanti nell’azienda ispezionata, cui va dato atto nella motivazione del provvedimento, con l’accortezza di non indicare le generalità di che le ha rilasciate.101

Sia consentito di obiettare al Ministero, tuttavia, che in una piccola azienda ove operano una manciata di dipendenti è di poco conto la circostanza che la dichiarazione resti nell’anonimato; una volta conosciutone il contenuto, il rapporto di lavoro con gli occupati è inesorabilmente compromesso.

100 La nuova formulazione dell’art.13 D.Lgs. n.124/2004 richiede,

infatti, che si indichino le dichiarazioni dei lavoratori quali fonti di prova, se l’accertamento si basa, come nella maggior parte dei casi, su fatti riferiti da altri lavoratori.

101 Si legge nella circolare n.41/2010: “… A seguito della

notificazione del verbale unico conclusivo degli accertamenti, infatti, i destinatari dello stesso acquisiscono la certezza della completezza delle verifiche effettuate, attraverso la dettagliata indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che hanno determinato le decisioni dei verbalizzanti. In altri termini la contestazione delle violazioni deve trovare il proprio fondamento in una specifica e circostanziata indicazione delle fonti di prova. Si ricorda, peraltro, che la dichiarazione del lavoratore al quale si riferiscono gli esiti dell’accertamento non costituisce prova per sé sola, ma elemento indiziario, liberamente valutabile dall’Autorità giudiziaria e amministrativa chiamata a decidere in sede di contenzioso. Al fine di poter assurgere ad elemento dotato di specifica valenza è comunque necessario, con specifico riferimento alla data di effettivo inizio del rapporto di lavoro, che il contenuto della dichiarazione resa dal singolo lavoratore sia confermato da altri elementi documentali (ad es. agenda del datore di lavoro o altra documentazione formale e informale acquisita nel corso del sopralluogo) o dal confronto con quanto risulta da ulteriori e diverse dichiarazioni rilasciate da altri lavoratori o da terzi. Si sottolinea, dunque, l’importanza di ciò che emerge dalle c.d. dichiarazioni incrociate, di cui va dato atto nell’ambito del profilo motivatorio del provvedimento. Si ricorda che l’indicazione, anche virgolettata, dei contenuti delle suddette dichiarazioni spontanee non deve implicare anche il riferimento alle generalità di coloro che le hanno rilasciate, che pertanto devono restare anonime, né deve rendere riconoscibile in alcun modo il dichiarante, né, infine, deve in alcun modo rendere acquisibili dati sensibili”.

Sul piano degli strumenti di tutela, l’art.13 lettera e) del D. Lgs. n.124/2004 impone agli ispettori di indicare nel verbale conclusivo di accertamento gli strumenti di difesa e gli organi cui il datore di lavoro può ricorrere, con l’indicazione ulteriore dei termini di impugnazione.

Il verbale di accertamento e notificazione può, infatti, essere fronteggiato con due distinti strumenti difensivi, dei quali ci occuperemo più diffusamente nel proseguo della trattazione: gli scritti difensivi al Direttore della Direzione territoriale del lavoro ex art.18 legge n.689/1981, oppure il ricorso al Comitato regionale per i rapporti di lavoro ex art. 17 D.Lgs. n.124/2004, ove oggetto del ricorso sia la sussistenza o la qualificazione dei rapporti di lavoro.

Naturalmente, per poter accedere agli strumenti difensivi sarà necessario che siano scaduti i termini per la regolarizzazione ed per il conseguente pagamento del minimo della sanzione.

Solo da quel momento, infatti, inizieranno a decorrere i termini di legge per presentare memorie difensive o ricorso al Comitato.

3. Il nuovo potere di diffida alla luce del