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La vicenda umana.

requisiti e scriminanti della condotta del medico.

6. Il paziente capace e consenziente: Caso Welby.

6.1 La vicenda umana.

Eʼ necessario ricordare brevemente i tratti principali della vicenda.

A Piergiorgio Welby, nel 1963, allʼetà di 18 anni, era stata diagnosticata una grave malattia, uno stato morboso degenerativo, la distrofia fascio- scapolo-omerale, che dalla letteratura medica viene definita «malattia degenerativa dei muscoli scheletrici, progressiva ed ereditaria; lentamente progressiva che interessa, in particolare, i muscoli della faccia e delle spalle. Le funzioni intellettive sono normali. Lʼinsufficienza respiratoria è presente nella maggior parte delle forme distrofiche. Non vi sono terapie specifiche: il medico è costretto ad assistere impotente alla progressione inesorabile della perdita di forze e della atrofia»191.

Nelle perizie svolte nel procedimento penale emerse che questa tipologia di morbo è caratterizzata da un progredire lento intervallato da periodi di stazionarietà, ed in rari casi è da segnalarsi una evoluzione rapida.

190 Ibidem.

La particolarità di questo caso risiede nella situazione di estremo handicap fisico che giunge fino alla paralisi completa, da cui deriva lʼimpossibilità di alimentarsi e respirare autonomamente e la perdita della parola, restando, però, le facoltà intellettive perfettamente intatte. Ad oggi, le terapie ed i trattamenti sanitari praticabili non sono in grado di arrestare lʼevolversi della malattia ma possono solo prolungare questa condizione patologica, sostenendo artificialmente le funzioni essenziali e rimandando, così, lʼesito infausto certo.

Piergiorgio Welby dallʼinsorgere della malattia era consapevole delle caratteristiche della malattia e del suo esito. Non solo, il paziente ha sempre ricercato autonomamente e ricevuto dai medici informazioni precise e puntuali, talvolta tecniche e scientifiche in ordine sia ai diversi stadi della sua malattia sia alle differenti tipologie e finalità dei trattamenti ricevuti o possibili 192.

Dice Welby nel suo libro: "La mia storia è simile a tanti altri distrofici. Non è facile ricordare come tutto sia cominciato: forse fu una caduta immotivata o un bicchiere troppo spesso sfuggito di mano. Ma quello che non si può dimenticare è il giorno in cui il medico, dopo la biopsia muscolare e lʼelettromiografia, ti comunica la diagnosi: distrofia muscolare progressiva. È una delle patologie più crudeli perché, mentre lascia intatte le facoltà intellettive, costringe il malato a confrontarsi con tutti gli handicap conosciuti, da claudicante a paraplegico, da paraplegico a tetraplegico, poi arriva lʼinsufficienza respiratoria e la

tracheotomia. Il cuore di solito non viene colpito e quello che i medici chiamano esito infausto si ha per i decubiti o una polmonite. Per me la diagnosi arriva nel 1963. Il solito pellegrinaggio alla ricerca di una cura approda alla sentenza di un luminare: «non supererà i ventʼanni». Lascio gli studi e tra il 1969 ed il 1971 giro lʼEuropa. Non muoio, ma la malattia si aggrava … negli anni ottanta vi è un ulteriore aggravamento: non posso più camminare. Incontro Mina, nativa dellʼAlto Adige, durante un viaggio parrocchiale ed è colpo di fulmine. Mi sposo ed aspetto la fine. Non arriva. Ma con lʼaggravarsi della malattia facciamo un patto: se avrò una crisi respiratoria non voglio che chiami soccorso e mi faccia ricoverare. Non voglio accettare la tracheotomia, un atto chirurgico cruento che mi renderebbe schiavo di un ventilatore polmonare.

Il 14 luglio 1997 altro aggravamento: insufficienza respiratoria, lʼultimo stadio della distrofia. Perdo i sensi, vado in coma. Mi risveglio nella rianimazione del Santo Spirito. Mina non è riuscita ad accettare di perdermi, lʼambulanza ha trovato tutti i semafori verdi, nessuna fila al pronto soccorso, ho subito lʼintervento. Sono tracheostomizzato.

Oggi respiro con lʼausilio di un ventilatore polmonare, mi nutro di un alimento artificiale (Pulmocare) e altri elementi semiliquidi, parlo con lʼausilio di un computer e di un software. La notte alle volte non riesco a creare quel vuoto mentale che mi permetta di ignorare il rumore del ventilatore polmonare e allora quellʼansare rauco da bestia ferita a morte mi invade il cervello, mi paralizza i neuroni, ne blocca la sinapsi, tramuta tutte le percezioni in terrore. Non è paura di morire, sono già

morto una volta ed è stato come spegnere la luce, non è quindi il dover morire che mi tormenta in quei momenti ma è il dover vivere! Sono gli stessi i tetti e le antenne che vedo incorniciati dalla finestra, sono gli stessi i dolori e le disperazioni, gli attimi di smarrimento e i momenti, sempre più rari, in cui una lettura mi rasserena e mi fa scordare quest'orrore quotidiano, queste giornate fotocopia, questo nulla che si ripete con costanza diabolica spalmando le ore, i giorni, i mesi, gli anni sulla traccia di una esistenza più inutile di un buco di una scarpa"193.

Riportare testualmente le parole di Welby è utile per comprendere la posizione assunta dal paziente, che viene trasfusa appunto in un libro, e confermata da tutte le persona che intervengono nel procedimento penale come testimoni. Per prima la moglie, che nella sua audizione afferma che nel luglio 1997 Piergiorgio, manifestando un attacco fortissimo di insufficienza respiratoria, vista la necessità di assistenza ospedaliera le disse di non volersi ricoverare. Nonostante tale posizione Welby veniva intubato e tracheotomizzato. Eʼ lʼunico momento in cui Piergiorgio Welby acconsente al trattamento che gli permetteva di respirare. Dopo qualche mese riesce a respirare autonomamente, ma nel 2001 ha un nuovo peggioramento, tanto che non riusciva più ad alimentarsi senza lʼaiuto artificiale. Ripresosi anche da tale crisi, ma segnato da un ulteriore calo della muscolatura e non più in grado di staccarsi dal macchinario per la respirazione, nel 2002 riesce a farsi coraggio grazie alla scrittura e lʼutilizzo della rete internet, scrive infatti

sulla tastiera con la residua mobilità delle braccia, tramite un bastoncino che teneva con la destra e veniva mosso dalla sinistra. Le sue condizioni però peggiorano progressivamente fino a causare la completa immobilità ed essere sottoposto contemporaneamente a tracheostomia, per permettergli di respirare, a gastrostomia, per poterlo alimentare ed a catetere vescicolare, per consentirgli di urinare194.

Il paziente, consapevole di averne ormai imboccato la fase irreversibilmente terminale della sua malattia, concretizza lʼattenzione che egli aveva dedicato al tema dellʼeutanasia nellʼambito del suo impegno politico presso lʼassociazione radicale “Luca Coscioni”195, in

una precisa scelta personale al fine di poter mettere termine alle sue sofferenze, prive della speranza di sfociare in una soluzione positiva, ed al fine di poter evitare la terribile morte per soffocamento, che egli stesso si preannunciava e sentiva vicina, come si evince dalle sue stesse riflessioni. Ne parla con moglie, parenti, amici e soci dellʼassociazione Coscioni arrivando a scrivere, infine, la nota lettera al P r e s i d e n t e d e l l a R e p u b b l i c a c h e r i s p o n d e d i c h i a r a n d o s i «profondamente toccato come persona e come Presidente» inoltre afferma che « lʼappello può rappresentare un'occasione di non frettolosa riflessione su situazioni e temi di particolare complessità sul

194 GUP Roma, sentenza 23 Luglio 2007, n° 2049.

195 LʼAssociazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica, è unʼassociazione no profit di promozione sociale e soggetto costituente il Partito Radicale. Luca

Coscioni, leader Radicale e docente universitario, malato di sclerosi laterale amiotrofica, nel 2002 ne è il fondatore; lo scopo dellʼassociazione è promuovere la libertà di cura e di ricerca scientifica, l'assistenza personale autogestita e affermare i diritti umani, civili e politici delle persone malate e disabili anche nelle scelte di fine vita. www.associazionelucacoscioni.

piano etico, che richiedono un confronto sensibile ed approfondito» ed auspica «che un tale confronto ci sia nelle sedi più idonee, perché il solo atteggiamento ingiustificabile sarebbe il silenzio, la sospensione o delusione di ogni responsabile chiarimento».

Nonostante il clamore mediatico e il grande dibattito sociale non vi fu una significativa presa in considerazione del problema e la richiesta di Welby rimase inascoltata.

Così Welby, il 24 Novembre 2006, dichiarò che non consentiva a proseguire il trattamento di ventilazione polmonare chiedendone quindi il distacco, ma sotto sedazione. Ma il giorno seguente, il 25 Novembre 2006, sia il medico curante, sia la struttura ospedaliera rifiutarono la richiesta, in parte per motivi di obiezione di coscienza, ma soprattutto perché essi ritenevano che col sopraggiungere dello stato di incoscienza196, una volta avvenuto il distacco dal ventilatore polmonare,

si sarebbe presentata una situazione di obbligatorietà dellʼintervento giustificata dallo stato di necessità 197.

196 Quindi al malato è riconosciuto il diritto di rifiutare le cure ma nel momento in cui dovesse perdere conoscenza, non saremo più in grado di stabilire se il dissenso, non più confermabile, è ancora valido o meno. Sembrerebbe che il medico riacquisti, in quel caso, quantomeno la facoltà di intervenire e ristabilire la terapia, specialmente se è a rischio la vita del paziente.

Sarebbe, in ogni caso, beffardo un ordinamento che consentisse di rifiutare

determinate cure e poi lasciasse al medico, sopravvenuta lʼincoscienza, lʼopportunità di agire liberamente.

Si prenda in esempio un intervento chirurgico in anestesia, siamo davvero disposti ad ammettere che tutte le volontà mediche espresse dal paziente prima dellʼinizio dellʼintervento perdano significato durante ? Che sia dunque il medico lʼunico arbitro dellʼinteresse del malato? E allora a cosa sarebbero serviti anni di giurisprudenza volti ad accrescere il valore del consenso informato in ambito medico e il dover firmare miriadi di moduli? A.VALLINI, A proposito del “caso Welby”, in Problemi

dellʼinformazione, 2007, pag.29 e ss.

Piergiorgio Welby presentò allora un ricorso ex artt 669198 ter e 700199

c.p.c. ma, visti gli esiti negativi dei ricorsi presentati davanti alla Giustizia civile, si rivolse direttamente allo pneumologo, il Dottor Sciarra, resosi disponibile a staccare la macchina, ma dichiaratosi non in grado a somministrare la sedazione, riservata allʼanestesista. Dopo un primo rifiuto da parte del Dottor Casale, a porre in essere la suddetta sedazione, tramite lʼassociazione Luca Coscioni, fu offerta a Welby la possibilità di un ulteriore contatto con un altro anestesista200, il dottor

Mario Riccio, che, sensibile alle problematiche dei malati terminali, si era attivata presso la predetta associazione.

Dopo un lungo colloquio con il paziente tenutosi il 18 Dicembre 2006, il Dottor Riccio, su richiesta di Piergiorgio Welby, staccò il respiratore ed

198 Art.669 ter cpc; “Prima dell'inizio della causa di merito la domanda si propone al giudice competente a conoscere del merito.

Se competente per la causa di merito è il giudice di pace, la domanda si propone al tribunale.

Se il giudice italiano non è competente a conoscere la causa di merito, la domanda si propone al giudice, che sarebbe competente per materia o valore, del luogo in cui deve essere eseguito il provvedimento cautelare.

A seguito della presentazione del ricorso il cancelliere forma il fascicolo d'ufficio e lo presenta senza ritardo al presidente del Tribunale il quale designa il magistrato cui è affidata la trattazione del procedimento.”

199 Art.700 c.p.c. ; “Fuori dei casi regolati nelle precedenti sezioni di questo capo, chi ha fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile, può chiedere con ricorso al giudice i provvedimenti d'urgenza, che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito.”

200 Il fatto di aver dato comunicato il proprio consenso, anzi rifiuto, e il lasciar materialmente eseguire la procedura ad un medico che non era lʼabituale medico curante di Welby fu uno dei punti di attacco del GIP di Roma, subito smontati dal GUP che stabilisce che chiunque può stabilire un rapporto privatistico, anche occasionale, con il professionista che preferisce il quale, solo per questo, diventa il suo medico, in sostituzione o aggiunta al precedente. A.VALLINI, Lasciar morire chi

rifiuta le cure non è reato. Il caso Welby nella visuale del penalista, in Dialoghi, 2008,

inserì la sedazione alle 21:30 circa del 20 Dicembre 2006. Dopo poco, alle 23:40, Piergiorgio Welby morì201.

La Chiesa cattolica, considerandolo un gesto suicida, negò i funerali.