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La vicenda giudiziaria.

requisiti e scriminanti della condotta del medico.

6. Il paziente capace e consenziente: Caso Welby.

6.2 La vicenda giudiziaria.

Nei confronti del Dottor Mario riccio venne ipotizzato il reato di omicidio del consenziente e, mentre il PM formulò una richiesta di archiviazione, il Giudice per le indagini preliminari la respinse imponendo inoltre al PM di formulare lʼimputazione coatta202.

Il procedimento penale a carico del Dottror Riccio, conclusosi il 23 Luglio 2007 quando il giudice dellʼudienza preliminare, con sentenza di non luogo a procedere lo ha prosciolto dallʼaccusa203, è stata

lʼoccasione affinché la magistratura affrontasse il tema del rifiuto consapevole e voluto di un paziente, Piergiorgio Welby, del supporto del macchinario che gli consentiva di ventilare e di rimanere in vita. La sentenza del GUP presso il Tribunale di Roma, in tema di consenso informato, si inserisce nellʼorientamento che vede la volontà inequivocabilmente negativa manifestata dal paziente prevalere sullʼinviolabilità del diritto alla vita e vincolo per il medico ad effettuare il trattamento strumentale allʼinterruzione della cura.

201 GUP Roma, sentenza 23 Luglio 2007, n° 2049.

202 Il GIP Renato A.T. Laviola, esaminata la richiesta di archiviazione formulata da PM in data 5 Maggio 2007 e, con udienza camerale del 28 Maggio 2007, emette un ordinanza con cui impone alla Procura della Repubblica di formulare la richiesta di rinvio a giudizio del Dottor Mario Riccio ex art. 409,5° c.p.p. e dunque lʼimputazione coatta per il reato di omicidio del consenziente.

Lʼautodeterminazione intesa dunque, non come “bene alternativo” (alla salute o alla vita...) ma come metafora di un confine , confine che delimita lo spazio entro il quale il soggetto è libero di determinare le sue scelte, in base alle più disparate convinzioni etiche, religiose, filosofiche o esistenziali. In questo modo il diritto costituzionale di rifiutare le cure è organicamente ed armonicamente associato a tutte le altre libertà che contraddistinguono il nostro ordinamento laico e liberale204.

Lʼampiezza delle motivazioni del GUP consente di trattare le questioni connesse al rifiuto delle cure ed affrontare, sotto il profilo strettamente tecnico-giuridico, il tema dellʼeutanasia. Il provvedimento è certamente apprezzabile per la nettezza con cui affronta le questioni e perché adottato in controtendenza rispetto al collega dellʼUfficio del Giudice per le indagini preliminari del capoluogo laziale, che alcuni mesi prima aveva appunto ordinato lʼimputazione coatta del Dottor Mario Riccio. Lʼampia istruttoria svolta dal GUP, sia attraverso le prove orali sia tramite la consulenza tecnica medico legale consente di pervenire ad alcuni punti fermi del caso, da cui poi trarre alcune deduzioni giuridiche: - primo semplice e tragico elemento del caso: la distrofia che affligge

Piergiorgio Welby avrà esito infausto e letale e le terapie somministrabili hanno la funzione meramente riabilitativa e di contenimento dei sintomi, non esiste, quindi, alcuna possibilità di guarigione;

204 A.VALLINI, Lasciar morire chi rifiuta le cure non è reato. Il caso Welby nella visuale

- la volontà del paziente, Piergiorgio Welby, era consapevolmente, autenticamente e personalmente rivolta ad esprimere un consenso informato orientato in modo univoco al rifiuto del trattamento sanitario che lo teneva in vita205.

Questi due presupposti sono essenziali per il GUP che per fondare la propria decisione spende gran parte delle motivazioni per illustrare il suo convincimento in ordine agli stessi, sulla scorta di un materiale probatorio imponente e di segno univoco. Stante questi due elementi, la sentenza conferma lʼinterpretazione del combinato disposto dellʼart. 13 e 32 Costituzione come inviolabile diritto allʼautodeterminazione del malato.

Ecco in proposito uno dei passaggi più significativi: “ lʼaffermazione della Carta costituzionale del principio che sancisce lʼesclusione della coazione in tema di trattamenti sanitari (e quindi della necessità del consenso del malato) ha come necessaria consecuzione il riconoscimento anche della facoltà di rifiutare le cure o di interromperle, che, a sua volta, non può voler significare lʼimplicito riconoscimento di un diritto al suicidio, bensì soltanto lʼinesistenza di un obbligo a curarsi a carico del soggetto. Infatti la salute dei cittadini non può essere oggetto di imposizione da parte dello Stato, tranne nei casi in cui lʼimposizione del trattamento sanitario è determinato per legge, come sostiene anche la dottrina, in conseguenza della coincidenza tra la

salvaguardia della salute collettiva e della salute individuale, come avviene, ad esempio, nel caso delle vaccinazioni obbligatorie 206” .

Il diritto al rifiuto dei trattamenti sanitari, nella nostra legislazione, è infatti sancito dallʼarticolo 32 che viene giustamente ricondotto fra i diritti inviolabili della persona, di cui all'art. 2 Costituzione, e si ricollega implicitamente anche al principio di libertà di autodeterminarsi riconosciuto allʼindividuo dallʼart. 13 Costituzione.

Di ciò troviamo conferma anche a livello internazionale grazie alla già citata Convenzione di Oviedo sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina207,

precisamente allʼarticolo 5208.

Il GUP sostiene convintamente la posizione espressa dalla Convenzione in tale articolo209.

Inoltre, pone a fondamento della sua trattazione e argomentazione sullʼefficacia del diritto al rifiuto dei trattamenti, i numerosi interventi chiarificatori dati dalla Corte Costituzionale.

In particolare essa:

206 GUP Roma, sentenza 23 Luglio 2007, n° 2049.

207 Convezione ratificata dallʼItalia con la legge n° 145 del 28 Marzo 2001. 208 Art. 5 Convenzione di Oviedo “Un intervento nel campo della salute non può

essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato.

Questa persona riceve innanzitutto una informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dellʼintervento e sulle sue conseguenze e i suoi rischi.

La persona interessata può, in qualsiasi momento, liberamente ritirare il proprio consenso.”

209 Testualmente “seppure non sia ancora in vigore nel nostro ordinamento per non

essere stata perfezionata la relativa procedura internazionale di notificazione della ratifica, non può non tenersi conto, anche oggi, almeno come criterio di

interpretazione per il Giudice. Ciò per due ordini di motivi: il primo, perché è stata sottoscritta dall'Italia ed anche ratificata con legge dello Stato; il secondo, perché essa enuncia principi conformi alla nostra Costituzione, rappresentando una chiara

- ha affermato che «i principi fondamentali di libertà (tra cui rientra a pieno titolo quello sancito dall'art. 32, comma 2, Cost.) debbono essere immediatamente immessi nellʼordinamento giuridico con efficacia erga omnes»210;

- ha ritenuto che lʼintervento chirurgico di disposizione del proprio corpo, se effettuato in conformità al diritto alla salute, intesa come equilibrio tra gli aspetti fisici e psichici della persona, è consentito, prevalendo quindi lʼart 32 Cost. sul divieto di cui all'art. 5 c.c.211;

- riconosce esplicitamente che la possibilità di disporre del proprio corpo costituisce un necessario postulato “della libertà personale inviolabile”, di cui parla la Costituzione allʼart. 13 212;

- ha escluso che una persona possa essere costretta a subire un intervento sanitario non voluto, in assenza di una norma che esplicitamente lo imponga, affermando che esso costituisce “diritto inviolabile rientrante tra i valori supremi, quale indefettibile nucleo essenziale dell'individuo, non diversamente dal contiguo e connesso diritto alla vita ed alla integrità fisica, con il quale concorre a creare la matrice prima di ogni altro diritto costituzionalmente protetto della persona” 213.

Eʼ quindi la Corte Costituzionale stessa che risponde a tutti gli interrogativi che potrebbe porsi lʼinterprete e che per primo il Tribunale

210 Corte Costituzionale sentenza n° 45/65. 211 Corte Costituzionale sentenza n° 161/85. 212 Corte Costituzionale sentenza n° 471/90. 213 Corte Costituzionale sentenza n° 238/96.

di Roma, nellʼordinanza del 16 dicembre 2006 si era posto, in quanto chiarisce che il diritto al rifiuto di trattamenti terapeutici è un diritto inviolabile della persona, immediatamente precettivo ed efficace nellʼambito del nostro ordinamento, non limitato dalla previsione dellʼart. 5 c.c., e soprattutto rientrante “ tra i valori supremi” che lʼordinamento giuridico tutela a favore dellʼindividuo, non diversamente dal diritto alla vita con il quale concorre “a costituire la matrice prima di ogni altro diritto” della persona. Di conseguenza la Corte ha anche chiarito la scala di priorità per armonizzazione di un tale diritto con altri diritti, tra cui anche quello alla vita, nei confronti del quale non ha e non deve avere, nell'interpretazione del Giudice, una posizione subordinata 214.

In conclusione il quadro normativo delineato dalla Corte Costituzionale è chiarissimo e non lascia possibilità di dubbi: un soggetto ha il diritto di esprime la sua volontà consapevole in ordine al rifiuto dei trattamenti e ha il diritto di vedere rispettata questa sua volontà al quale il medico dovrà quindi attenersi.

Forte di questa impostazione, obiettivamente ormai metabolizzata dalla giurisprudenza in tema di trattamento sanitario arbitrario, il GUP contesta le posizioni assunte sia dalla giustizia civile, sia dal GIP del Tribunale di Roma, che prima di lei aveva giudicato il caso disponendo imputazione coatta a carico dellʼanestesista.

In primo luogo, premesso che il diritto al rifiuto delle cure affonda le sue radici nel terreno più profondo ed inviolabile della carta costituzionale,

esso deve considerarsi un diritto soggettivo perfetto, immediatamente applicabile al caso concreto, anche in mancanza di una norma di ordine secondario che ne definisca i contorni e gli elementi necessari per renderlo attuale 215.

In secondo luogo, se disattendessimo lʼapplicazione di una norma costituzionale per lʼesistenza di una norma inferiore che con essa contrasta incorreremmo nella violazione dei principi della disciplina della gerarchia delle fonti216. Questa comparazione tra norma

costituzionale e legge ordinaria risulta poi ancora più complessa se vengono inseriti nella trattazione anche gli articoli del codice di

215 Testualmente “Quando si riconosce lʼesistenza di un diritto di rango costituzionale,

quale quello «autodeterminazione individuale e consapevole» in materia di trattamento sanitario, non è, poi, consentito lasciarlo senza tutela, rilevandone, in assenza di una normativa secondaria di specifico riconoscimento, la sua concreta inattuabilità sulla scorta dellʼesistenza di disposizioni normative di fonte gerarchica inferiore a contenuto contrario, quali «gli artt. 5 c.c., che vieta gli atti di disposizione del proprio corpo tali da determinare un danno permanente, e 575, 576, 577, n. 3, 579 e 580, c.p., che puniscono, in particolare, lʼomicidio del consenziente e lʼaiuto al suicidio», nonché quali gli artt. 35 e 37 del codice di deontologia medica”.

216 Testualmente “o si privilegia lʼinterpretazione che faccia salvo il principio costituzionale con immediata applicazione di questʼultimo, disattendendo

lʼinterpretazione contraria della norma, (sul punto la Corte costituzionale si è più volte pronunciata negando la fondatezza della questione di costituzionalità eventualmente sollevata nel caso specifico, perché il Giudice tra interpretazioni diverse avrebbe dovuto privilegiare quella conforme alla norma costituzionale immediatamente applicabile, potendo autonomamente disattendere interpretazioni di segno diverso a questʼultima; vedi al riguardo ad esempio: Sent. 6.7.01, n. 224; ord. 4.7.02, n. 315) oppure, in caso di insuperabile conflitto, si deve sollevare questione di legittimità costituzionale, ma certamente non si può lasciare inattuato un principio costituzionale e senza tutela giuridica il diritto soggettivo il diritto soggettivo che da esso discende”.

deontologia medica, significativi per il caso di specie lʼarticolo 35217 e

lʼarticolo 37218.

Ciò che vuole quindi sottolineare il GUP è che tra questi diritti non vi è una incompatibilità sostanziale e devono perciò essere, fra loro, armonizzati ed è proprio la Corte stessa ha chiarito quale sia la scala di priorità per poter armonizzare tale diritto del consenso-rifiuto, con gli altri diritti, tra cui anche quello alla vita nei confronti del quale, dunque, nellʼinterpretazione del giudice, non ha e non deve avere, una posizione subordinata219.

Il GUP, fa un approfondimento, rivolgendo lʼattenzione alla questione dellʼaccanimento terapeutico che nel dibattito politico veniva spesso utilizzato come condizione perché il paziente fosse abilitato al rifiuto del trattamento, qualora le sue condizioni fossero state comunque irrimediabilmente compromesse e senza la possibilità di guarigione. Le motivazioni sgombrano il campo da equivoci: lʼaccanimento terapeutico è una categoria lessicale che sfugge ad una definizione condivisibile nel sentire comune delle società in questo particolare momento storico, e che per questo non può entrare ad essere elemento essenziale di una

217 Art 35 codice deontologia medico “Allorché sussistano condizioni di urgenza e in

caso di pericolo per la vita di una persona, che non possa esprimere, al momento, volontà contraria, il medico deve prestare l'assistenza e le cure indispensabili ”.

218 Art 37 codice deontologia medico “In caso di malattie a prognosi sicuramente

infausta o pervenute alla fase terminale, il medico deve limitare la sua opera all'assistenza morale e alla terapia atta a risparmiare inutili sofferenze, fornendo al malato i trattamenti appropriati a tutela, per quanto possibile, della qualità di vita. In caso di compromissione dello stato di coscienza, il medico deve proseguire nella terapia di sostegno vitale finché ritenuta ragionevolmente utile”

norma di diritto ed ancora meglio di una norma di diritto penale. Lʼefficacia della norma costituzionale non potrebbe mai essere condizionata nella sua delicata fase applicativa dal sussistere o meno di un concetto che, come lʼaccanimento terapeutico, che sfugge a qualsiasi definizione di diritto positivo e che anche lessicalmente non esisteva al momento della promulgazione della carta costituzionale. Nel caso di Piergiorgio Welby, oltretutto, il respiratore artificiale, unitamente alla terapia farmacologia assunta, non potevano essere classificate come accanimento terapeutico, come chiaramente illustra lʼordine dei medici di Cremona220.

Il GUP si sofferma poi sulla posizione assunta dal GIP di Roma, che aveva ritenuto prevalente il diritto alla vita rispetto al diritto del rifiuto della terapia, sul presupposto che il diritto alla vita è sostanzialmente matrice imprescindibile degli altri diritti costituzionalmente garantiti e connotato da sacralità: “la difesa approntata dallʼordinamento allʼinviolabilità della vita deve cedere di fronte alla condotta del medico che possa metterla a rischio o addirittura pregiudicarla, se tale condotta sia stata posta in essere in ossequio alla volontà liberamente e

220 Eʼ presente, in merito, una espressa conferma del Consiglio Superiore di Sanità che dà il suo parere il 20 Dicembre 2006. Esprime parere “a larga maggioranza che

nel caso specifico del Signor Piergiorgio Welby, il trattamento sostitutivo della funzione ventilatoria mediante ventilazione meccanica non configuri, allo stato attuale, il profilo dellʼaccanimento terapeutico” Ritiene opportuno “che si proceda in tempi rapidi allʼemanazione di specifiche linee guida di riferimento per ricondurre lʼaccanimento terapeutico ad una sfera di principi e valori definiti e condivisi, delineandone gli estremi di liceità entro i quali deve necessariamente muoversi la cura del paziente”.

consapevolmente espressa, sulle terapie cui sottoporsi o non sottoporsi, dallo stesso titolare del bene protetto 221”.

Nelle motivazioni dellʼordinanza deve in proposito rintracciarsi una pesantissima critica sul punto incentrata sul fatto che il Giudice non è legittimato a mutuare un concetto di sacralità che ha provenienza filosofica e religiosa, ma deve attenersi alle categorie di diritto positivo: il diritto alla vita pertanto può ritenersi inviolabile ed indisponibile, ma non sacro e posto al medesimo livello degli altri diritti nella gerarchia delle fonti 222.

Lʼultimo aspetto che merita specifica trattazione delle sentenza del GUP di Roma consiste nella sottolineatura che il diritto al rifiuto delle cure non coincide con il concetto di eutanasia, non solo perché questʼultimo ricomprende una serie di comportamenti molto eterogenei di cui si è parlato nella presente trattazione (eutanasia attiva, passiva, consensuale, pura, pietosa)223, che rappresentano astrazioni di

condotte che andrebbero esaminate singolarmente, ma anche e soprattutto perché la valutazione del diritto al rifiuto del malato deve necessariamente avvenire allʼinterno del rapporto medico/paziente e solo in quello, dove tutti gli elementi sopra indicati possano trovare giusto equilibrio. Lʼoperatività viene quindi limitata strictu sensu al rapporto sanitario, per negare la legittimazione alla sospensione di cure

221 GUP Roma, sentenza 23 Luglio 2007, n° 2049 222 GUP Roma, sentenza 23 Luglio 2007, n° 2049. 223 Vedi §4.

da parte di soggetti terzi, non medici. Ma se un trattamento imposto contra voluntatem è considerato oggettivamente illecito, in linea di principio, proprio per la manifesta illiceità dovrebbe poter essere impedito da chiunque, sempre, però, in presenza di determinati presupposti e requisiti224. Sarebbe dunque auspicabile una disciplina

legislativa che facesse chiarezza anche su questo punto.

Comunque, la giurisprudenza, con lʼassoluzione del Dott. Mario Riccio e con lʼarchiviazione del sig. Beppino Englaro su cui si dirà a breve, ha riconosciuto lʼesistenza di un diritto costituzionale libero ed incondizionato, la cui attuazione concreta presuppone sempre la posizione di garanzia del medico. Al di fuori di tale rapporto, la condotta del soggetto terzo che, anche mosso dai più alti ideali ed in piena collaborazione con il malato ad interrompere le cure, deve ritenersi penalmente rilevante. Il consenso informato non rappresenta quindi solo il presupposto per la liceità della posizione del medico, ma ne costituisce anche un limite, in quanto la richiesta del paziente di non essere più sottoposto alle cure, farebbe venire meno anche lʼobbligo giuridico di cura 225.

Penalmente questo si traduce nel venire meno del fatto tipico, dal momento che mancherebbe unʼomissione penalmente rilevante ed la condotta sarebbe lecita ed anzi doverosa nel rispetto della volontà del

224 A.VALLINI, Lasciar morire chi rifiuta le cure non è reato. Il caso Welby nella visuale

del penalista, in Dialoghi, 2008, pag.67.

225 S.CANESTRARI, Le diverse tipologie di eutanasia in Reati contro la vita e lʼincolumità individuale, Volume I, I reati contro la persona, A.CADOPPI, S.CANESTRARI, M.PAPA, Utet Giuridica, 2006, pag.130.

paziente. Lʼaccordo preventivo che si instaura tra medico e paziente, che presuppone una posizione di garanzia del primo per lʼassistenza del secondo, la quale, nel caso che questi decidesse di interrompere una cura, ben consapevole degli esiti letali di tale interruzione, si modificherebbe dovendo assecondare la volontà del malato. Non sarebbe mai ammissibile, infatti, ad eccezione dei trattamenti sanitari per legge, una coazione terapeutica avente ad oggetto una terapia salvavita.

Tale posizione trova immediato riscontro nel già citato articolo 35 e nellʼarticolo 53226 del codice di deontologia medica del 2006.