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Una presunta incompatibilità fra i diritti costituzionali.

requisiti e scriminanti della condotta del medico.

5.2 Una presunta incompatibilità fra i diritti costituzionali.

Il ragionamento giuridico deve necessariamente partire dal nostro ordinamento ed in particolare, rispettando la gerarchia delle fonti, dai principi costituzionali già sopra menzionati dellʼart 13 Costituzione “La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dallʼautorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge...” , e del suo naturale corollario, ossia lʼart. 32 comma 2° Costituzione “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizioni di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana” . Avendo, il principio contenuto nellʼart. 32 Cost., disegnato i confini di un diritto soggettivo perfetto, inteso come derivazione naturale del diritto di

autodeterminazione dellʼindividuo, diviene conseguenza logica e giuridica ritenere che lʼattività medica dovrebbe arrestarsi laddove il paziente esprima in piena libertà il proprio rifiuto delle cure, rimanendo chiaramente fermo lʼobbligo per il medico di informare il paziente di tutte le conseguenze a cui andrebbe incontro sia nel caso di accettazione e sia nel caso di rifiuto dei trattamenti sanitari, in modo tale da consentire al paziente il formarsi di un convincimento sulla scorta di una rappresentazione rigorosa di tutte le implicazioni della terapia, dei rischi e dei benefici.

Quello che viene sancito è dunque un vero e proprio diritto generale di rifiutare le cure, che nella recente giurisprudenza costituzionale è stato, dunque, interpretato come una particolare espressione del diritto alla libertà personale ex art. 13 Cost 156.

Tale considerazione, che costituisce un snodo essenziale nella sentenza del GUP di Roma di cui sopra, diviene il nucleo del tema che stiamo trattando: ossia la determinazione della volontà del paziente e del suo consenso informato ad un trattamento sanitario.

Questo è andato progressivamente delineandosi sulla base dei pronunciamenti giurisprudenziali, divenendo infine paradigma determinante per offrire una risposta giuridica anche ai casi più eclatanti, come quelli di Welby ed Englaro, che ponevano questioni

156 A.VALLINI, Il valore dei rifiuto di cure non confermabile dal paziente alla luce della

Convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biomedicina, in Diritto Pubblico,2003, pag.

giuridiche di alto profilo, in quanto coinvolgevano la vita dei pazienti, massima espressione dei diritti costituzionalmente garantiti.

Lʼesame delle questioni sul tavolo evoca il contenuto dellʼart. 50 c.p.157,

che delinea la scriminante del consenso dellʼavente diritto.

Lʼart. 50 c.p. offre allʼinterprete una norma che necessita di un riempimento sostanziale, in quanto essa non determina in cosa consista il consenso, soprattutto in ambito medico, e se lo stesso debba acriticamente mutuarsi dal diritto civile o invece assuma connotati diversi, dovendosi necessariamente confrontare con le norme penali. Dal profilo strettamene penalistico deve necessariamente confrontarsi con la disponibilità del diritto, che assume caratteri differenziali rispetto al diritto civile. I beni giuridici protetti dalle norme del codice penale possono essere ritenuti essenzialmente indisponibili in quanto coinvolgono interessi collettivi: lʼamministrazione della cosa pubblica, lʼamministrazione della giustizia, la tutela dellʼambiente, la fede, la salute e lʼincolumità pubblica, lʼordine la sicurezza dei cittadini, che costituiscono lʼinsieme dei beni giuridici tutelati in via esclusiva dal codice penale, non potranno mai essere destinatari della scriminante di cui allʼart. 50 c.p., non fosse altro perché sarebbe impossibile identificare un soggetto che possa disporre di un diritto collettivo, che per sua natura è patrimonio dei consociati e non dei singoli.

I beni giuridici che invece attengono allʼindividuo, e di cui lo stesso è titolare, sono disponibili e quindi il soggetto potrebbe teoricamente

157 Art 50 c.p. “ Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della

disporne. In ogni caso la salute, lʼintegrità fisica, lʼonore ed il decoro, la proprietà, pur essendo diritti teoricamente nella disponibilità della persona, incontrano i limiti soprattutto perché si accompagnano a profili di interesse pubblico oppure perché richiedono precise circostanze e determinati confini temporali158. Limitandoci ad una analisi meramente

tecnica, alcune condotte, per quanto odiose, se autorizzate dal consenso della parte offesa, non dovrebbero assumere rilevanza penale in quanto rientrerebbero a pieno titolo di nellʼarea di non punibilità dellʼart. 50 c.p.

Ma questa tesi si scontra frontalmente con gli articoli 2159 e 4160 della

Costituzione, aprendo lʼimponente questione del relativismo culturale. Vengono infatti alla luce sia gli obblighi costituzionali di adempiere ai propri doveri inderogabili di solidarietà sociale161 sia il valore,

costituzionalmente protetto, della dignità della vita della persona, inteso

158 Un esempio potrebbe essere quello dei maltrattamenti in famiglia, una serie di condotte reiterate nel tempo e lesive dellʼintegrità personale, dellʼonore e del decoro e dellʼautodeterminazione, come lʼingiuria e la minaccia che in particolari contesti potrebbero essere teoricamente scriminate dallʼart. 50 c.p. Si pensi ad una moglie che per scelta personale tollera e sopporta il comportamento violento del marito,

acconsentendo a rimanere nello stato di soggezione e di sudditanza psicologica. 159 Art 2 Cost. “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia

come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”

160 Art 4 Cost. “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove

le condizioni che rendano effettivo questo diritto.

Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.”

161 A.VALLINI, Lasciar morire, lasciarsi morire: Delitto del medico o diritto del malato in

Studium Iuris, 5/2007, pag. 542: “la sostanziale antigiuridicità di scelte autolesioniste del paziente: lasciandosi morire, o ammalare, egli difatti, si sottrarrebbe ai propri doveri di solidarietà sociale”

come sovra-ordinato, seppur giuridicamente equipollente a livello di gerarchia delle fonti, ai principi di libertà e autodeterminazione162.

E come se fosse sancito un “dovere di vivere”, oltre ad un “diritto di vivere”, come limite per poter esercitare un proprio, altro, diritto costituzionale di rifiuto dei trattamenti, che per altro potrebbe dirsi in contrasto con lʼarticolo 5 c.c., rubricato “atti di disposizione del proprio corpo” e con gli artt 579 e 580 c.p., rispettivamente, “omicidio del consenziente” ed “istigazione o aiuto a suicidio”163.

Ma, considerato che, oltre ai trattamenti sanitari obbligatori previsti dalla legge, non è prevista nessuna altra eccezione allʼarticolo 32.2 Cost. e in nessun dove, tantomeno in Costituzione, appare essere esplicitato un “dovere di vivere”; non sembra proprio possibile individuare nel rischio della morte un limite al criterio della volontarietà dei trattamenti sanitari. Infatti nessuna legge, costituzionale o ordinaria, prevede un trattamento sanitario obbligatorio nel caso in cui il rifiuto implichi la rinuncia alla propria vita164.

E quindi i diversi principi costituzionali, che si equivalgono sul piano gerarchico, non sono incompatibile, lʼuno non deve escludere lʼaltro ma

162 A.VALLINI, Il valore dei rifiuto di cure non confermabile dal paziente alla luce della

Convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biomedicina, in Diritto Pubblico,2003, pag.

187.

163 A.VALLINI, op.cit. pag 194. 164 AVALLINI op.cit, pag. 190.

anzi devono fra loro armonizzarsi, superando dʼidea di un principio supremo di “inviolabilità”165 della vita.

A maggior ragione, non sono nemmeno meritevoli di molta considerazione, a guisa dellʼargomento, i citati artt. 5 c.c. e 579 e 580 c.p., né le possibili obiezioni, frutto di un sovvertimento di gerarchia, che tentano, attraverso quelle norme codicistiche, di dedurre un generale principio di “indisponibilità”166 del bene vita atto a negare la

configurabilità di un dovere, peraltro affermato dallʼarticolo 32 Cost, di rispettare la volontà del paziente anche qualora questa conduca al decesso167.

Parimenti non è mai stata accetta lʼidea di chi sostiene che se la Costituzione avesse voluto sovvertire il “principio di indisponibilità della salute” avrebbe dovuto farlo expressis verbis168; o di chi ritiene che la

Costituzione avrebbe dovuto preoccuparsi della norma attuativa dei suo principi, in quanto è noto a tutti che, i diritti costituzionali posti a tutela della persona, sono immediatamente precettivi ed efficaci nellʼambito del nostro ordinamento.

165 Inviolabiltà vista come un limite esterno, verso terzi, come difesa che lʼordinamento pone allʼaggressione del diritto che possa provenire da persone diverse dal titolare del bene stesso.

166 Indisponibilità vista come un limite interno, verso il titolare del bene, come difesa che lʼordinamento pone anche verso il titolare stesso del bene protetto.

167 AVALLINI op.cit, pag. 190. 168 Ibidem.