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Album di famiglia, tra memoria e scrittura

L'angoscia che Barnes denuncia non ha tuttavia un effetto paralizzante, non lo fa sprofondare in uno stato di penosa apatia. Scrive romanzi, lavora a un memoir, sfoglia un vecchio album di famiglia, riporta in vita – attraverso la scrittura – i genitori65 e i nonni

In a shallow drawer, a few yards from where I am writing, sits the entire corpus of documentation […]. This shallow drawer is also big enough to contain the family’s photographic archive. […] Here too is Grandpa’s photographic record, a red cloth-bound album titled ‘Scenes from Highways & Byways’ […]. (27-28)

L’autore inglese dischiude per il lettore la porta del suo studio e apre il cassetto in cui sono riposti cimeli, documenti, certificati nonché parecchie fotografie di famiglia. Una, in particolare, colpisce la sua immaginazione in quanto sia il volto della persona ritratta sia parte dell’iscrizione che ne

63 Si veda la recensione di Nothing to be Frightened of di Michiel Heyns http://www.michielheyns.co.za/documents/Nothing%20to%20be%20Frightened%20of.pdf (sito visitato il 10/05/2015)

64 Emblematico è, a questo proposito, il componimento intitolato ‘Aubade’, in cui Larkin esprime la propria angoscia dinnanzi all’annullamento di sé che la morte comporta: “[…] Waking at four to soundless dark, I stare. / In time the curtain-edges will grow light. / Till then I see what's really always there: / Unresting death, a whole day nearer now, / Making all thought impossible but how / And where and when I shall myself die. / Arid interrogation: yet the dread / Of dying, and being dead, / Flashes afresh to hold and horrify. / The mind blanks at the glare. Not in remorse / - The good not done, the love not given, time / Torn off unused - nor wretchedly because / An only life can take so long to climb / Clear of its wrong beginnings, and may never; / But at the total emptiness for ever, / The sure extinction that we travel to / And shall be lost in always. Not to be here, / Not to be anywhere, / And soon; nothing more terrible, nothing more true. / […] That this is what we fear - no sight, no sound, / No touch or taste or smell, nothing to think with, / Nothing to love or link with, / The anaesthetic from which none come round. […]”. P. Larkin, op. cit., pp. 190-191.

65 “In this meditation on death, [Barnes] brings to life, in short sure strokes, his parents Albert and Kathleen.” G. Keillor, cit.

125 accompagna la data sono stati rimossi: la donna dai capelli ispidi, o meglio, la fotografia rovinata del

suo volto, divengono per l’autore metafora dell’azione devastante della morte

An obliteration which seems to me a much better symbol of death than the ubiquitous skull. […] for the action of death itself, try just such a torn, gouged photograph: it looks both personal and instantly, utterly destructive, a ripping away of the light from the eye and the life from the cheek. (235)

Come ha osservato Silvia Albertazzi, si coglie nella fotografia “la morte al lavoro”66: “[…] Barnes

[…] vede letteralmente la morte nell’assenza di sguardo del soggetto fotografato.”67 Sul legame tra

fotografia e morte, è interessante ricordare la posizione di Roland Barthes in merito alla “rivoluzione antropologica” prodotta dalla fotografia attraverso l’istituzione di una coscienza non più dell’esserci, ma dell’“esserci stato” (e dunque del “non più”).68

Tornando a Barnes, si può arrivare a interpretare la foto in questione come imago mortis, in primo luogo perché essa non è integra (“La ricchezza ermeneutica dell’istantanea sta anche e soprattutto nel suo essere una “cattiva” foto, una foto rovinata, che avrebbe dovuto essere esclusa dall’album di famiglia […].”69) e in secondo luogo perché, al di là della fotografia, non c’è che carta

fotografica ingiallita: in altre parole, oltre l’istantanea c’è il nulla.

In questo senso è allora da leggersi il titolo del memoir, come ci suggerisce lo stesso Barnes I find this in my diary, written twenty and more years ago:

People say of death, ‘There’s nothing to be frightened of.’ They say it quickly, casually. Now let’s say it again, slowly, with re-emphasis. ‘There’s NOTHING to be frightened of.’ (99)

Non più ‘Non c’è nulla di cui aver paura’, bensì ‘C’è IL NULLA, di cui aver paura’: il dramma deriva dalla convinzione che al di là della porta spalancata non ci sia più niente70.

Stimolando la curiosità dell’autore, inoltre, il ritratto sfregiato – l’assenza e l’enigma che esso rappresenta71 – costituisce anche un punto di partenza per la scrittura

66 S. Albertazzi, Il nulla, quasi. Foto di famiglia e istantanee amatoriali nella letteratura contemporanea, Firenze, Le Lettere, 2010, p. 33.

67 Ivi, p. 178.

68 Si veda N. Pethes, J. Ruchatz, op. cit., p. 212. 69 S. Albertazzi, Il nulla, quasi, cit., p. 34.

70 “I know where this obsession comes from: it comes from not wanting to be dead and not liking the idea of being dead, and being frightened by the idea of not existing anymore for eternity.” V. Guignery e R. Roberts (a cura di), op. cit., p. 161.

71 Per dirla con Annette Kuhn, “[t]he photograph and the inscriptions point to […] ‘something else’ only in what they leave out.” A. Khun, Family Secrets. Acts of Memory and Imagination, London-New York, Verso,

126 Why was this photograph defaced, and its edges ripped as if by raging fingernails? And

further, why was it not either removed from the album entirely, or at least pasted over with another photograph? […] This is where we work, in the interstices of ignorance, the land of contradiction and silence, planning to convince you with the seemingly known, to resolve – or make usefully vivid – the contradiction, and to make the silence eloquent. (239-240)

Partendo dalle tracce del passato – un passato di cui la fotografia conserva memoria – attraverso la narrazione è possibile approdare a una (ri)costruzione, quando non a un simulacro, del passato stesso.

Sia in The Sense of an Ending sia in Nothing to be Frigthened of il pensiero della finitudine e l’incontro con la morte (dell’altro) innescano il processo del ricordare; processo che, nel mondo narrativo di Barnes, contribuisce ad arginare il nulla e l’oblio che la fine inevitabilmente comporta.72

La memoria, al pari della morte, ci permette di dare un senso alla nostra esistenza, come ha di recente puntualizzato Charles Fernyhough in un avvincente saggio sulla memoria autobiografica

[…] these are precisely the qualities of autobiographical memory that appeal to me most. I am interested in it for some of the same reasons that a novelist might be: because it gives the richest illustration of the complex ways in which human beings make sense of their own existence.73

Mentre ci si avvicina alla morte, guardando indietro a quel che si è vissuto (in una parola, ricordando), possiamo dare un significato alla nostra vita

I suspect we are doing little more than confabulating: processing strange, incomprehensible, contradictory input into some kind, any kind, of believable story – but believable mainly to ourselves. […] I would expect a dying person to be an unreliable narrator, because what is useful to us generally conflicts with what is true, and what is useful at that time is a sense of having lived to some purpose, and according to some comprehensible plot. (189-190)

Secondo Barnes, tuttavia, un individuo in punto di morte non può che essere un “narratore inaffidabile”, proprio come Tony in The Sense of an Ending: cercare di attribuire un senso al passato attraverso il lavorio della memoria si riduce a un mero esercizio affabulatorio. Ciascuno, infatti, ricorda gli eventi del passato a modo proprio, come sostiene il fratello filosofo nel corso di uno scambio di email con l’autore. Mentre Jonathan non crede alla verità intrinseca dei ricordi, Julian

1995, p. 13. Analogamente Barnes: “[b]ecause what you can’t find out, and where that leaves you, is one of the places where the novelist starts.” (238).

72 Cfr. S. Gholami, ‘Resistance to the Discourse of Death in Nothing to be Frightened of by Julian Barnes in the light of Michel Foucault’, in Studies in Literature and Language, vol. 3, n. 2, 2011, p. 127.

127 ammette l’esistenza di più colori, ovvero di più verità, della memoria. Come un’istantanea può essere

ritoccata utilizzando una scatola di colori a buon mercato, così i ricordi possono essere “colorati” e, di fatto, modificati nel momento in cui vengono ripescati nella memoria

My brother distrusts the essential truth of memories; I distrust the way we colour them in. We each have our own cheap mail-order paintbox, and our favourite hues. […] My memories of all this [a family outing to Lundy Island] are faded sepia, my brother’s still lurid.’ (29)

Barnes ricorre ancora una volta alla metafora della fotografia: sebbene non sempre rispecchino il reale e sebbene siano soggette a interpretazione, le fotografie rappresentano dopotutto “una prova” che qualcosa è stato74.

L’idea secondo la quale la memoria, e dunque anche il passato, non avrebbero un unico colore risultava peraltro già accennata in Flaubert’s Parrot (1984), dove il narratore Braithwaite, parlando dei propri ricordi, usa proprio la stessa espressione che Barnes utilizzerà più di vent’anni dopo in Nothing to be Frightened of: “I didn’t find much to colour in the monochrome memories.” (13, enfasi di chi scrive)

Il lavorio della memoria cambia con il passare degli anni: durante l’infanzia, i ricordi appaiono come nitidi simulacri degli eventi; con l’età adulta sopraggiungono invece approssimazione, fluidità e dubbio. Ci si racconta una storia della propria vita creata ad hoc e ci si convince che la memoria è una sorta di deposito bagagli in cui è possibile recuperare i ricordi quando lo riteniamo opportuno.

Memory in childhood – at least, as I remember it – is rarely a problem […] because of the nature of memories then: they appear to the young brain as exact simulacra, rather than processed and coloured-in versions, of what has happened. Adulthood brings approximation, fluidity and doubt; and we keep the doubt at bay by retelling that familiar story, with pauses and periods of a calculated effect, pretending that the solidity of narrative is a proof of truth. […] it seems logical to think of our memories as stored in some left-luggage office, available for retrieval when we produce the necessary ticket […]. (37)

Niente di più lontano dalla realtà. Le neuroscienze hanno dimostrato come il ricordare non implichi una semplice fotografia o codifica delle esperienze: la memoria, infatti, viene modulata anche da un insieme di altri importantissimi fattori, in primo luogo l'emozione, che contribuiscono a rafforzare o attenuare i processi di consolidamento. Così Fernyhough spiega l’inconsistenza dell’idea secondo la quale la memoria sarebbe una specie di deposito o archivio

74 Cfr. A. Kuhn, op. cit., pp. 11-20.

128 Metaphors of memory are overwhelmingly physical: we talk of filing cabinets, labyrinths

and photographic plates, and we use verbs such as impress, burn and imprint to describe the processes by which memories are formed. This view of memories as physical things is guaranteed to mislead. The truth is that autobiographical memories […] are mental constructions, created in the present moment, according to the demands of the present.75

Se per Renard (e per Barnes) ‘[d]eath is not an artist’ (52), senza dubbio la memoria lo è. Alla luce delle più recenti scoperte neuro scientifiche76, è infatti plausibile sostenere che essa prenda

forma soltanto come invenzione e funzioni in modo sorprendentemente simile alla scrittura creativa o d’invenzione (fiction), configurandosi come un meccanismo nel quale l’immaginazione ha un ruolo molto più significativo di quanto si pensi. Il processo attraverso il quale ciascuno di noi ricorda frammenti della propria vita è, in altre parole, del tutto analogo a quello che porta alla creazione e all’incessante riscrittura di un testo letterario: inventiamo, saccheggiamo, ricostruiamo in modo arbitrario per "confezionare” una storia adeguata al nostro presente.

A proposito di immaginazione, ripensando alla propria infanzia e adolescenza, Barnes ironizza: se Nothing to be Frightened of fosse un romanzo, dice, racconterebbe del pouf imbottito con centinaia di frammenti delle lettere d’amore che i suoi genitori si scrissero durante il fidanzamento e i primi anni di matrimonio, e di come da quel pouf potrebbe saltare fuori qualche segreto di famiglia che gli sconvolgerebbe l’esistenza.

“Segreti di famiglia” è anche il titolo di una bella raccolta di saggi di Annette Kuhn77, la quale,

proprio come Barnes, parte dalle fotografie per esplorare i processi di ricomposizione delle tracce del passato. La Kuhn osserva che i memory texts, vale a dire le produzioni letterarie basate sul lavoro di scavo nella memoria, cui Nothing to be Frightened of può essere senz’altro assimilato, “are in effect secondary revisions of the source materials of memory […] [and] are characterized by the fragmentary, non-linear quality of moments recalled out of time. Visual flashes, vignettes, a certain anecdotal quality […].”78

Scandagliare il passato, scavare nella memoria, è più facile quando si può contare su un album di famiglia. Ma, se per la Kuhn “[a]s the veils of forgetfulness are drawn aside, layer upon layer of

75 C. Fernyhough, op. cit, p. 6 (enfasi dell’originale). 76 Cfr. M.E. Gray, op. cit., pp. 67-94.

77 A. Kuhn, op. cit. 78 Ivi, pp. 4-5.

129 meaning and association peel away, revealing not ultimate truth, but greater knowledge”79, Julian

Barnes “si arrende” davanti alla carta fotografica ingiallita che appare sotto la fotografia rovinata, davanti agli “interstices of ignorance” e ai silenzi che seguono domande (“Why was this photograph defaced, and its edges ripped as if by raging fingernails? And further, why was it not either removed from the album entirely, or at least pasted over with another photograph?" 239) alle quali non è possibile dare risposta se non ricorrendo all’immaginazione e alla finzione letteraria. È l’autore stesso a riconoscerlo nel racconto palesemente autobiografico ‘Tunnel’, parte della raccolta Cross Channel (1996), mostrandosi ancora una volta scettico riguardo al potere della memoria con un esplicito riferimento al più illustre esempio letterario di rievocazione di un episodio del passato:

[…] no plump little French cake dipped in tea would release those distant truths. They could only be sought by a different technique, the one in which this man’s grandson still specialised. He, after all, was meant to thrive on knowing and not knowing, on the fruitful misprision, the partial discovery and the resonant fragment. That was the point de départ of his trade.80