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Il processo del ricordare viene definito come una monotona ripetizione, rispecchiata peraltro nella natura monologica che in larga misura caratterizza la narrazione di The Sense of an Ending, condensata nell’esplorazione, da parte del protagonista, del processo personale del ricordare e delle sue peculiarità psicologiche. Per descrivere il funzionamento della memoria, Tony usa una metafora che ricorre in più punti del testo: “[i]t’s a bit like the black box aeroplanes carry to record what

10 P. Jedlowski, Storie comuni, cit., pp. 113-14. 11 Ivi, pp. 122-24.

82 happens in a crash. If nothing goes wrong, the tape erases itself. So if you do crash, it’s obvious why you did; if you don’t, then the log of your journey is much less clear.” (105)

L’autore ricorre qui all’immagine del nastro magnetico contenuto nelle scatole nere, un nastro da far partire e riavvolgere a piacimento all’infinito. La primissima associazione che viene alla mente è quella con Krapp’s Last Tape di Beckett. Lo studio più approfondito sulla relazione tra fonografo e memoria risale al 1880, in particolare alle ricerche dello psicologo e filosofo francese Jean-Marie Guyan, il quale teorizzò che se la membrana del fonografo fosse consapevole di sé e delle cose, allora, nel momento in cui volessimo riprodurre una melodia, potremmo dire che la membrana “ricordi” la melodia stessa. Con le sue riflessioni, Guyan sperava di indagare non solo il funzionamento della memoria, ma anche il rapporto tra processi mnemonici e processi cerebrali. Egli accostò le vibrazioni della puntina sul nastro alle vibrazioni presenti nelle cellule cerebrali; le tracce ai percorsi associativi e i solchi sul foglio di stagnola ai circuiti neuronali latenti.12

Analogamente a quanto avviene in Krapp’s Last Tape, anche in The Sense of an Ending il nastro rappresenta lo scorrere del tempo, la memoria, nonché una tessera del complesso mosaico che è l’identità del protagonista.13

Come ha osservato Jeanette R. Malkin, nella pièce beckettiana Krapp cerca di trasformare la memoria in un oggetto ricorrendo a un “highly visual organ or remembrance, a static memory- machine”14. Sul palcoscenico, Krapp si avvale di un grosso registratore a due bobine, una scelta che

senza dubbio rispecchia una concezione della memoria come “meccanismo”. Analogamente, nel romanzo di Barnes, Tony si rende conto che “[…] my memory has increasingly become a mechanism which reiterates apparently truthful data with little variation.” (64, enfasi di chi scrive)

A questo proposito, Bernard Beckerman ha osservato che “[a]s we concentrate to make sense out of the alternating strands of memory, we face the question… Are we anything other than listeners to our own memories?”15

12 Per un’analisi circostanziata, si veda D. Draaisma, Metaphors of Memory. A History of Ideas about the

Mind, Cambridge, CUP, 2000.

13 Cfr. L. Gordon, ‘Krapp’s Last Tape: A New Reading’, in Journal of Dramatic Theory and Criticism, vol. IV, n. 2, spring 1990, pp. 97-110.

14 J.R. Malkin, ‘Matters of Memory in Krapp's Last Tape and Not I’, in Journal of Dramatic Theory and

Criticism, vol. XI, n. 2, spring 1997, p. 25.

83 In altre parole, il fatto che possiamo contare su dei ricordi dipende dall’aver trovato la bobina giusta, premuto i pulsanti giusti, individuato il punto giusto del nastro. A quel punto, ci poniamo in ascolto dei ricordi che il nastro riproduce. Come Krapp, anche Tony sembra manipolare fisicamente i propri ricordi azionando tutta una serie di pulsanti

[…] something […] happens to the memory over time. For years you survive with the same loops, the same facts and the same emotions. I press a button marked Adrian or Veronica, the tape runs, the usual stuff spools out. […] There seems no way of accessing anything else; the case is closed. Which is why you seek corroboration, even if it turns out to be contradiction. […] Then, not long afterwards, I began remembering forgotten things. I don’t know if there’s a scientific explanation for this – to do with new affective states reopening blocked-off neural pathways. (120)

L’idea secondo la quale non produciamo che ricordi manipolati è legata al concetto di fabulazione introdotto nel capitolo precedente. Se il processo del ricordare consiste, come sostiene Tony, nel costruire, nell’inventare e nel ricreare, allora tale processo può essere accostato a quello di “editing” o di montaggio di una sequenza audio registrata su nastro.

Che i ricordi siano il prodotto di una narrazione non è certo un concetto postmoderno. Già Sant’Agostino, nelle Confessioni, scriveva che nell’usare la memoria, di fatto richiamiamo le immagini che desideriamo, scegliendole come vogliamo. Anche i filosofi greci e i pensatori dell’antica Roma sostenevano che quello del ricordare fosse un processo attivo o una rievocazione cosciente che trovava compimento in due fasi, la prima di registrazione e la seconda di recupero. Quest’ultima, sottolinea Aristotele nel De memoria et reminiscentia, è del tutto intenzionale, una vera e propria ricerca che implica altresì una riflessione sullo scorrere del tempo e sulle cose ricordate attraverso precise associazioni di idee e immagini.16

Tornando alla metafora del nastro, Lois Gordon ha osservato che, grazie al registratore, Krapp può far avanzare e riavvolgere i suoi nastri un numero infinito di volte, analogamente a Tony, il quale “reiterates apparently truthful data with little variation”, di volta in volta recuperando o rifiutando alcuni eventi del proprio passato (per esempio, dimenticando di aver scritto una lettera piena di ferocia ad Adrian e a Veronica) grazie ai meccanismi della memoria volontaria. Si fa avanzare il nastro per non dover affrontare i brutti ricordi, quelli spiacevoli, quelli di cui ci si vergogna.

84 Il registratore di Krapp agisce sia da stimolo sia da risposta tanto per la memoria volontaria quanto per quella involontaria, e l’ascolto dei nastri innesca nel personaggio una serie di associazioni consce e inconsce.17 Lo stesso accade al protagonista di The Sense of an Ending, il quale, premendo

“a button marked Adrian or Veronica”, ottiene la riproduzione di ricordi che sono sempre gli stessi (“the usual stuff”), inevitabile prodotto della memoria volontaria. A un certo punto, però, il “closed circuit” della memoria involontaria comincia a sputar fuori una gran quantità di ricordi indesiderati. Al pari di Krapp, se inizialmente Tony si illude di poter esercitare una qualche forma di controllo sui ricordi che affiorano, nel corso del romanzo egli si rende conto che, al contrario, la memoria volontaria spesso soccombe a quella involontaria e improvvisamente lo scorrere del tempo prende una direzione opposta.

In Levels of Life Barnes ricorre a un’altra efficace metafora per descrivere la memoria, quella dell’archivio fotografico: “[m]emory – the mind’s photographic archive – is failing.”18

Si colloca negli anni tra il 1839 e il 1877 il cambiamento epocale nella concezione della memoria e nel modo di considerare i processi del ricordare e del dimenticare, anni in cui vennero inventati i due più importanti strumenti di memoria artificiale dai tempi della scrittura: la macchina fotografica e il fonografo. A partire dal 1839 la fotografia, definita da Draaisma “the chemical memory”19, non

solo conobbe uno straordinario sviluppo grazie alla messa a punto di tecniche sempre più sofisticate per l’archiviazione e la riproduzione delle informazioni ottiche, ma cominciò anche a essere associata metaforicamente alla memoria. Basti pensare che i primissimi articoli sulle nuove invenzioni descrivevano la lastra litografica come “uno specchio dotato di memoria”.20 Sempre a partire dal

1839, la memoria umana cominciò a essere definita a sua volta una “lastra litografica” capace di registrare e riprodurre le esperienze fatte attraverso i sensi, in particolare attraverso la vista.

Ma se Louis Daguerre vedeva nella fotografia la possibilità di restituire esattamente la realtà e dunque di rappresentare la verità, noi lettori postmoderni sappiamo che tutte le immagini, anche

17 L. Gordon, op. cit., pp. 98.

18 J. Barnes, Levels of Life, London, Jonathan Cape, 2013, p. 98. Per le successive citazioni dal testo si indicherà direttamente il numero della pagina fra parentesi, al termine della citazione stessa.

19 Cfr. D. Draaisma, op. cit., p. 110.

20 Ivi, p. 69. Al riguardo si veda anche il Dizionario della memoria e del ricordo: “La fotografia è stata spesso caratterizzata in analogia alla memoria, in particolare da O. Wendell Holmes come «specchio con memoria». N. Pethes, J. Ruchatz, op. cit., p. 212.

85 quelle mentali, possono essere “ritoccate” e modificate nel tempo in base ai diversi stati d’animo di chi ricorda, come ribadisce Barnes nel suo memoir luttuoso21

Less the memory of an event than the memory of a photograph of the event. and nowadays – having lost height, precision, focus – we are no longer sure we trust photography as we once did. Those old familiar snaps of happier times have come to seem less primal, less like photographs of life itself, more like photographs of photographs. (110, enfasi di chi scrive)

There is a man in Venice I remember as clearly as if I had photographed him; or, perhaps, more clearly because I didn’t. (111)

L’immagine mentale registrata nella memoria non necessariamente corrisponde all’immagine reale dell’uomo intravisto a Venezia: nell’atto stesso di ricordare, le immagini vengono in qualche modo distorte attraverso la lente dell’immaginazione22 che ricostruisce, modifica, elabora per

cristallizzare infine il tutto in un qualcosa di più vicino all’aneddoto che all’immagine reale originaria, quasi come la fotografia di una fotografia.

Anche il dottor Braithwaite di Flaubert’s Parrot sostiene che le fotografie di un dato momento non costituiscono affatto una prova valida di ciò che è stato: “[a] flushed and jolly character raises his glass among friends and family – how real, how reliable is that evidence? What would the photos of my twenty-fifth wedding anniversary have revealed? Certainly not the truth; […].” (103 la prima enfasi di Barnes, la seconda di chi scrive)

Tornando a Levels of Life, i ricordi vengono definiti ricorrendo alla descrizione di un fenomeno naturale che è a sua volta descritto come una gigantesca fotografia

Or, to put it another way, your memory of your life – your previous life – resembles that ordinary miracle witnessed by Fred Burnaby, Captain Colvile and Mr Lucy somewhere near the Thames estuary. They were above the cloud, beneath the sun […] The sun was projecting on to the bank of fleecy cloud below the image of their craft: the gasbag, the cradle and, clearly outlined, silhouettes of the three aeronauts. Burnaby compared it to a ‘colossal photograph’. And so it is with our life: so clear, so sure, until, for one reason or another – the balloon moves, the cloud disperses, the sun changes angle – the image is lost for ever, available only to memory, turned into anecdote. (110)

21 Con una visione sorprendentemente vicina a quella del lettore postmoderno, nell’autunno del 1839 Nicolaas Beets pubblica una raccolta di schizzi in prosa di vita quotidiana intitolata Camera Obscura nella quale la camera oscura, appunto, viene associata metaforicamente alla mutevolezza e alla versatilità delle immagini nella memoria umana.

22 Sembra che per Barnes ricordare e immaginare siano operazioni intercambiabili, due verbi che rimandano allo stesso processo: “I can remember – or imagine – what she will say about something […]” (103).

86 L’immagine, tuttavia, va perduta, svanendo per sempre: ne resta soltanto il ricordo, cristallizzato in aneddoto.