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Le due sorelle: memoria/narrazione e immaginazione

Thomasin von Zerclaere, autore di un galateo cortigiano del 1215, raffigurava imaginatio e memoria come due sorelle che incarnavano diversi aspetti della memoria: la prima, la capacità

164 A. Erll, op. cit., p. 77.

165 Ivi, p. 78.

166 A. Erll, A. Rigney, ‘Literature and the production of cultural memory: Introduction’, European Journal of

English Studies, 10:2, 2006, p. 113.

46 sensoriale che si mette in moto nell’esperienza vissuta del ricordo e viene in aiuto nel momento della rievocazione; la seconda, la pura e semplice capacità di registrazione.168

Già nel 2000 Jedlowski aveva osservato che, nello sforzo di interpretare la realtà, l’apparato psichico elabora uno schema che dà ordine tanto a ciò che vediamo quanto a ciò che facciamo o immaginiamo di fare169. Si tratta di uno schema in gran parte inconscio, ma capace di ricondurre a

sé e di organizzare ricordi e informazioni consci (così come di cancellare ciò che non vi trova posto). Per certi aspetti lo schema può essere visto come un “copione”: una sorta di traccia che determina il modo in cui il soggetto legge le situazioni in cui è immerso e vi adatta il proprio comportamento. Tutto ciò è sorprendentemente affine a quanto sostengono gli attuali studi neuro scientifici sulla memoria.

Le ricerche condotte dal neuro scienziato Gerald Edelman, in particolare, descrivono la memoria come una continua riorganizzazione o ricategorizzazione di materiali. Ciò implica che la memoria operi secondo delle relazioni, e non attraverso il recupero di singoli dati isolati. Alimentate dall’immaginazione, queste relazioni interagiscono tra loro per produrre scenari in continuo cambiamento e non ricordi statici. Secondo tale approccio, la memoria appare come un testo letterario d’invenzione incessantemente rivisto. Per Edelman, quindi, la memoria non è tanto il recupero di fatti definiti, quanto l’abilità di riorganizzare le informazioni170.

Senza entrare nel dettaglio neurologico molecolare e cercando di mantenere il discorso il più possibile vicino alla materia letteraria di cui ci occupiamo, le teorizzazioni di Edelman sono utili in quanto suggeriscono che il contesto e la storia risultano decisivi per le funzioni cerebrali collegate alla memoria. I gruppi, o le mappe, neuronali operano per aiutarci ad affrontare il nostro ambiente, e il loro scopo è di organizzare le percezioni in modo da permettere all’organismo di agire in modo adeguato. Man mano che l’ambiente in cui ci troviamo cambia, si modificano anche le mappature affinché possiamo adattarci al nuovo contesto (tra l’altro, come avviene nel caso del lutto). La mappe cerebrali categorizzano dunque le diverse informazioni sensoriali secondo i bisogni di adattamento. Edelman sostiene appunto che il “ricordare” avviene quando le mappe cerebrali rispondono a uno

168 Cfr. Assmann, op. cit., p. 112.

169 P. Jedlowski, Storie comuni, cit., p. 132. 170 Ivi, pp. 67 e ss.

47 stimolo in un modo (inevitabilmente) diverso da quello del primo incontro, producendo quindi una ricategorizzazione. Non solo, l’atto stesso della percezione è una selezione implicita di un certo percorso neuronale e, quindi, di una categorizzazione ad hoc del materiale percepito. Per dirla con Rosenfield, citato da Gray, i ricordi assumono ora un significato nuovo, e pertanto non sono più “soltanto” gli eventi passati in sé, richiamati alla memoria con vividezza. Il “passato”, ciò che noi consideriamo una raccolta di ricordi, è in realtà una nuova creazione rafforzata dal contesto attuale che provoca una “ricategorizzazione” del momento ricordato. Poiché il contesto, come necessariamente accade, cambia di continuo, non si può dare il caso di una memoria statica o assoluta. Il presente condiziona il ricordo: ne consegue che la memoria, intesa come elaborazione e rielaborazione del materiale creato dalla percezione e rivisto dall’immaginazione, richiama il processo infinito e continuo dell’invenzione e della riscrittura171, cioè della narrazione.

Anche Gottschall, nel saggio già ricordato, si appoggia alle attuali ricerche della biologia e delle neuroscienze per spiegare la dipendenza della nostra specie dalla narrazione. La natura ci avrebbe progettati per amare le storie affinché possiamo fruire del vantaggio derivante dal fare pratica, attraverso la finzione narrativa, delle problematiche umane172. In effetti, le storie si

focalizzano universalmente sulle grandi difficoltà della condizione umana. Sul piano più strettamente scientifico, la costante attivazione dei neuroni in risposta a stimoli derivanti dal consumo di finzione narrativa rafforzerebbe le vie neuronali che consentono una navigazione competente nei problemi dell’esistenza173.

Come ha avuto modo di ricordare anche Paul Ricoeur, una lunga tradizione filosofica fa della memoria “una provincia dell’immaginazione”174. Memoria e immaginazione hanno, come tratto

comune, la presenza di ciò che è assente e, come tratto differenziale, da un lato, la posizione di un

171 Ivi, pp. 7o e ss.

172 J. Gottschall, op. cit., p. 75.

173 Ivi, p. 84. Si veda anche pagina 85: “[…] la vita umana, specialmente la vita sociale, è profondamente complessa e le poste in gioco molto alte. La finzione consente al nostro cervello di fare pratica con le reazioni a quei generi di sfide che sono, e sono sempre state, le più cruciali per il nostro successo come specie.” 174 P. Ricoeur, op. cit., p. 15. A proposito delle problematiche insite nell’opposizione tra memoria e immaginazione, la filosofia socratica ci ha lasciato in retaggio due topoi opposti e complementari. Quello platonico, incentrato sull’eikon, parla di rappresentazione presente di una cosa assente, facendo quindi rientrare implicitamente la problematica della memoria in quella dell’immaginazione. Quello aristotelico, incentrato sul tema della rappresentazione di una cosa precedentemente vissuta o appresa, difende invece l’inclusione della problematica dell’immagine in quella del ricordo. Si veda anche Ricoeur, op. cit., p. 18.

48 reale precedente; dall’altro, la sospensione di qualsiasi posizione di realtà e la visione di un irreale.175

È proprio la potenziale confusione che sempre permane fra rimemorazione e immaginazione, per citare ancora Ricoeur, a intaccare l’ambizione di fedeltà nella quale si riassume la funzione veritativa delle memoria.176 Se, per Ricoeur, il principio enunciato da Aristotele assicura la distinzione fra

memoria e immaginazione, in quanto la nozione di distanza temporale è inerente all’essenza della memoria, per Barnes questa distanza parrebbe piuttosto implicare un’assenza della memoria, o quantomeno una sua carenza: il tempo, sembra dirci il protagonista di The Sense of an Ending, non può che snaturare i ricordi.

175 Ivi, p. 67.

49 CAPITOLO 2“THE GREASY PIGLET” E IL VIAGGIO ALL’INDIETRO NEL TEMPO

Partiamo dalla definizione di memoria culturale come codificazione simbolica e culturale in cui si rispecchia un'intera civiltà. E assumiamo il punto di vista di Jan Assmann, secondo il quale la memoria culturale è in primo luogo trasmissione del senso, e ogni cultura sviluppa una sua struttura connettiva che agisce a più livelli: istituendo collegamenti; creando uno spazio comune di esperienze che lega lo ieri all’oggi; modellando e mantenendo attuali le esperienze e i ricordi; includendo le storie di un altro tempo entro l’orizzonte del presente1. Alla luce di queste premesse, diventa evidente

il ruolo della letteratura nella costruzione di tale memoria, un ruolo fondante, che opera attraverso la creazione di modelli culturali, universi simbolici, immaginari collettivi, senso di appartenenza e di identità. In altre parole, la dimensione narrativa, o del racconto, è cruciale ai fini della perpetuazione dell’identità e dell’immagine mentale che ogni società crea di sé, e che sta alla base dello sviluppo di una cultura del ricordo2.

Per la nostra analisi dell’opera barnesiana, cominceremo dunque da un romanzo che nella letteratura (in particolare, nell’opera di uno scrittore) trova il suo spunto iniziale, e nella memoria culturale, in qualche misura, la propria forza propulsiva: Flaubert’s Parrot.