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Come ha osservato Silvia Albertazzi, tanto le tre versioni della cronologia flaubertiana che aprono Flaubert’s Parrot, quanto i pennuti impagliati sporchi di insetticida che lo chiudono, prelu- dono ai temi che costituiscono la base di un altro romanzo di Barnes, England, England, tra le pagine del quale ritroviamo la difficoltà di discernere il falso dal vero, arrivando all’apoteosi del simulacro e al primato della copia sull’originale55. Mentre A History of the World in 10½ Chapters esplora la

53 S. Albertazzi, Belli e perdenti. Antieroi e post-eroi nella narrativa contemporanea di lingua inglese, Roma, Armando Editore, 2012, p. 166.

54 R. Bertinetti, Dai Beatles a Blair: la cultura inglese contemporanea, Roma, Carocci editore, 2001, p. 43. 55 S. Albertazzi, ‘Una ossessione letteraria più concreta della vita vera’, cit.

68 relazione tra la Storia e la sua icona, rappresentazione o racconto, England, England è incentrato appunto sulla dicotomia originale/copia, pur non presentando la marcata componente metanarrativa che emerge tanto nella History quanto in Flaubert’s Parrot. Come ha rilevato Nunning, l’opera “[…] is revisionist in that it questions and revises conventional notions of Englishness and of cultural memory.”56 Tralasceremo la riflessione sulla Englishness, che esula dalla

nostra trattazione, per concentrarci invece sulle tematiche relative alla memoria culturale, riprendendo gli spunti teorici ricordati in apertura, e sulla dicotomia falso/autentico.

In estrema sintesi, il testo si articola in tre parti: la prima, intitolata “England”, introduce la protagonista, Martha Cochrane (che, come Geoffrey Braithwaite, ha qui la funzione di legare le diverse parti di cui si compone il romanzo), alle prese con i ricordi d’infanzia; la seconda, “England, England”, è ambientata nei primi anni Duemila e descrive la realizzazione, da parte del magnate Sir Jack Pitman, di un parco denominato appunto “England, England” sull’isola di Wight, nel quale dovrebbero essere riprodotti fedelmente i cliché per cui l’Inghilterra è famosa, dai monumenti agli elementi naturali (Buckingham Palace o le bianche scogliere di Dover) ai più celebri personaggi storici e non (Samuel Johnson e la squadra del Manchester United); la terza, intitolata “Anglia”, rappresenta la “vecchia Inghilterra”, regredita, a causa del successo ottenuto dal parco di Sir Jack, a paese pre-industrializzato nel quale la protagonista ormai anziana fa ritorno per trascorrere gli ultimi anni della sua vita.

Alla luce della definizione di memoria culturale come codificazione simbolica e culturale in cui si rispecchia un’intera civiltà, appare particolarmente interessante un’affermazione che Barnes ha fatto nel corso della già citata intervista rilasciata a Vanessa Guignery:

[…] England, England is more about the creation of false truths about a country, and these coarse icons that are made to stand in for real things. After I had written it, I came across a wonderful quotation from Renan: “Getting its history wrong is part of being a nation.” It would have made a perfect epigraph for the book. Getting its history wrong is also part of creating a nation.57

Come ha osservato Albertazzi, “[…] apprestandosi a dare corpo al proprio progetto, Pitman si trova a doversi confrontare con […] l’idea di una storia nazionale nella cui rappresentazione tutta

56 V. Nunning, ‘The Invention of Cultural Traditions: the Construction and Deconstruction of Englishness and Authenticity in Julian Barnes’s England, England’, in Anglia - Zeitschrift für englische Philologie, Vol. 119, num. 1, dicembre 2007, p. 60.

69 una comunità possa riconoscere tracce del proprio passato, […] stereotipi che costituiscano, nell’immaginario collettivo, la quintessenza della Englishness […]”58 con l’obiettivo di recuperare

(quando non creare) un’“enciclopedia finzionale comune.”59

Il processo attraverso il quale una nazione costruisce la propria storia è del tutto analogo a quello che ciascuno di noi mette in atto per ricordare frammenti di vita: inventiamo, saccheggiamo, ricostruiamo in modo arbitrario per "confezionare” una storia che ci possa andar bene: “[m]ost people remembered history in the same conceited yet evanescent fashion as they recalled their own childhood.”60

Ogni nazione tende a riscrivere la propria storia eliminando gli aspetti sconvenienti del proprio passato, alterando quest’ultimo in favore del presente, allo stesso modo in cui un individuo può fabbricarsi un passato diverso che sia in accordo con il qui e ora.

Limitandosi a fornire numerose versioni del passato senza avvalorarne mai alcuna, anche lo storico francese assoldato da Sir Jack in qualità di consulente al progetto è, come Braithwaite o come il tarlo dell’Arca, consapevole dell’impossibilità di fornire un’unica verità storica: “‘[…] What, my dear Jeff, do you think History is? Some lucid, polyocular transcript of reality? Tut, tut, tut. […]’” (148)

Il Dr. Max (questo il nome del personaggio), tutto compreso nel suo ruolo, difende inoltre a spada tratta la categoria, rifiutando sdegnato la possibilità che uno storico possa “inventare” i fatti. Quando Martha gli domanda se la storia raccontata durante una riunione del comitato è frutto della sua fantasia, l’intellettuale risponde con stizza: “‘M–ake it up? I am an historian. The Official Historian, you forget.’” (130-131)

Nella terza sezione del romanzo, “Anglia”, i personaggi, ovvero gli abitanti del villaggio, cambiano il loro passato plasmandolo secondo le proprie necessità in un processo di rielaborazione deformante che arriva a coinvolgere anche il passato collettivo: non solo il racconto della Storia viene alterato, ma alcuni aspetti vengono addirittura cancellati perché sconvenienti oppure troppo atroci da ricordare.

58 S. Albertazzi, In questo mondo. Ovvero, quando i luoghi raccontano le storie, Roma, Meltemi, p. 205. 59 Ibidem.

60 J. Barnes, England, England, London, Jonathan Cape, 1998, p. 82 (a questa edizione si riferirà la numerazione delle pagine dopo ogni citazione).

70 Attraverso la riflessione di Martha sulla storia che Anglia si è reinventata, Barnes non risparmia l’ironia nei confronti della storiografia e degli storici, spesso in disaccordo tanto sulle questioni di datazione quanto sul senso dell’avvicendarsi della storia.

Venendo all’ossimoro posto a titolo del paragrafo, è evidente che in England, England Barnes decostruisce il concetto stesso di autenticità, mostrando come essa sia inestricabilmente mescolata con l’inautenticità, e ne sia dipendente.61

Riportiamo a questo proposito una lunga citazione in cui l’intellettuale francese spiega la filosofia che sta dietro al progetto del parco:

‘No, we are talking of something profoundly modern. It is well established – and indeed it has been incontrovertibly proved by many of those I have earlier cited – that nowadays we prefer the replica to the original. We prefer the reproduction of the work of art to the work of art itself […]. It is important to understand that in the modern world we prefer the replica to the original because it gives us the greater frisson. […]

‘Now, the question to be asked is, why is it that we prefer the replica to the original? […] To understand this, we must understand and confront our insecurity, our existential indecision, the profound atavistic fear we experience when we are face to face with the original. We have nowhere to hide when we are presented with an alternative reality to our own, a reality which appears more powerful and therefore threatens us. […] Once there was only the world, directly lived. Now there is the representation – let me fracture that word, the re-presentation – of the world. It is not a substitute for that plain and primitive world, but an enhancement and enrichment, an ironisation and summation of that world. This is where we live today. […]

‘In conclusion, […] it is our intellectual duty to submit to […] modernity, and to dismiss as sentimental and inherently fraudulent all yearnings for what is dubiously termed the “original”. We must demand the replica, since the reality, the truth, the authenticity of the replica is the one we can possess, colonise, reorder, find jouissance in, and, finally, if and when we decide, it is the reality which, since it is our destiny, we may meet, confront and destroy.’ (53-55)

Ritorna l’idea del frisson, del brivido di piacere o di eccitazione che ciascuno di noi proverebbe non di fronte all’originale, di cui abbiamo anzi paura, bensì in presenza di una copia, ovvero di una versione “addomesticata” e migliorata dell’originale di cui possiamo disporre a nostro piacimento. Il successo dell’isola, visitata da migliaia di turisti danarosi, confermerà la validità del progetto di Sir Jack e dunque delle teorie che lo sottendono. England, England si rivelerà infatti essere “una replica più vera del vero, al punto da sostituirsi all’originale, destinato a irreversibile declino […]: come si

61 Cfr. F.M. Holmes, op. cit., p. 93.

71 riesca a rappresentare un falso tanto autentico da rimpiazzare il vero”62 è appunto il tema su cui si

fonda il romanzo.

Sebbene Barnes si sia sempre dichiarato quasi del tutto digiuno di letture critiche e abbia addirittura affermato, nel corso di un’intervista che, sì, gran parte della sezione centrale di England, England può essere definita “satirica”, benché “not with the direct intention that someone like Baudrillard would mend [the French academic’s] ways”63, le riflessioni del filosofo francese possono

essere comunque utili per inquadrare dal punto di vista teorico le tematiche su cui si impernia il romanzo. Il concetto di simulacro, già ricordato in apertura di capitolo, si affacciò sulla scena delle scienze sociali negli anni ‘70 attraverso il pensiero di Baudrillard, che lo collocò all’interno della dialettica tra originale e copia, nella particolarissima accezione squisitamente moderna e successivamente postmoderna, della relazione tra artificiale e naturale, considerando l’artificiale come tentativo di simulazione del naturale attraverso, appunto, la creazione di suoi simulacri. Utile a questo proposito è anche il concetto di precessione dei simulacri, introdotto da Baudrillard per definire una sorta di evoluzione storico-sociale della relazione copia-originale, o artificiale-naturale, attraverso le varie tappe della società industriale e post industriale. In questa accezione i diversi ordini di simulacro sono il prodotto di successivi punti di equilibrio tra il naturale e l’originale da un lato e l’artificiale e la copia dall’altro, in un processo che, attraverso diverse tipologie di simulacro, vede l’artificiale prendere il sopravvento sul naturale, e la copia sull’originale. Gli automi settecenteschi, i cloni seriali della produzione di massa, le simulazioni di realtà prodotta dalle macchine elettroniche sono delle esemplificazioni di questi tre livelli successivi che marcano nella loro evoluzione la progressiva egemonia dell’artificiale sul naturale, e della copia sull’originale, sino alla creazione di una realtà artificiale che si stacca da ogni eventuale dipendenza dalla realtà reale, affermandosi essa stessa come realtà vera, la famosa iper-realtà tanto spesso citata da Baudrillard. Una realtà artificiale che però si impone come reale e non ha più alcun timore ancillare verso la realtà reale che, anzi, appare inferiore in quanto meno perfetta, meno prevedibile, meno elegante, meno razionale, sempre in bilico tra ordine e caos, una ipo-realtà rispetto alla iper-realtà del suo

62 Cfr. S. Albertazzi, In questo mondo, cit., pp. 203-204.

63 R. Freiburg, ‘“Novels Come out of Life, Not out of Theories”: an Interview with Julian Barnes’, in V. Guignery e R. Roberts (a cura di), op. cit., p. 50.

72 simulacro.64 Proprio come accade all’isola di Sir Jack, che a un certo punto prende il sopravvento

sulla vera England: “The world began to forget that ‘England’ had ever meant anything except England, England, a false memory which the Island worked to reinforce […].” (253)

La copia, o il simulacro, sono diventati autonomi e del tutto indipendenti dall’originale.

Di fatto, il parco creato da Sir Jack altro non è che un’accozzaglia di immagini superficiali e stereotipate, tratte da epoche passate e mischiate in modo indiscriminato. Il progetto che riduce la storia inglese a un “superficiale spettacolo postmodernista”65 fa completamente a meno

dell’autenticità, per diventare, nel gergo di Jean Baudrillard, iper-realtà: una raccolta di simulacri che hanno sostituito del tutto la realtà dell’Inghilterra e della sua storia66:

[…] agriculture would be represented by true-life dioramas clearly visible to passing traffic […]. Shepherds lolling beneath wind-angled trees would point their crooks and whistle falsetto to old English sheepdogs hustling their flocks; smocked rustics with wooden pitchforks would toss hay on to stacks sculpted like topiary; […]. The lolling shepherd must later be discovered in The Old Bull and Bush, where he would gaily accompany the pipe-playing gamekeeper in a selection of authentic country airs […]. (110, enfasi di chi scrive)

Lo stesso Sir Jack verrà rimpiazzato, dopo la sua morte, da una serie di “copie” niente affatto distinguibili dall’originale:

The auditions had their disconcerting moments, but they found a Pitman who, with a little coaching and research, was as good as new. […] The replacement Sir Jack swiftly became a popular figure. […] The Island had been on its third Sir Jack by the time Martha returned to Anglia after her decades of wandering. (250)

Anche la sagra organizzata nel villaggio in cui Martha si stabilisce nella terza parte del romanzo non fa che ricordare l’apparato scenico di England, England:

For the dressing-up competition Ray Stout, retaining his crimson slap but reorganizing his turban, came as Queen Victoria; also present were Lord Nelson, Snow White, Robin Hood, Boadicea and Edna Halley. Martha Cochrane, for what it mattered, had decided to give her vote to Jez Harris’s Edna Halley, despite her eerie kinship with Ray Stout’s Queen Victoria. But Mr Mulligan sought the farrier’s disqualification on the grounds that contestants had been required to dress as real people; so an ad hoc meeting of the parish council was called to discuss the question of whether or not Edna Halley was a real person. Jez Harris counterclaimed by challenging the real existence of Snow White and Robin Hood. (264)

64 Cfr. J. Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, Milano, Feltrinelli, 1979 e Simulacri e impostura, Bologna, Cappelli, 1980.

65 F.M. Holmes, op. cit., p. 70.

73 In effetti, la sagra è stata inventata per celebrare una finta ricorrenza67 ed Edna Halley altro

non è che un personaggio inventato da uno degli abitanti del villaggio (a sua volta, un avvocato americano che si spaccia per contadino) per costruire una tradizione locale (priva di legami con il passato reale) da riferire ai turisti: si tratta quindi di una figura mai esistita, proprio come Robin Hood o Biancaneve, ma emblematica di un ennesimo inganno. Analogamente a quanto è accaduto a England, England, la sagra contribuisce a dare agli abitanti del villaggio un seppur illusorio senso della propria tradizione e dunque della propria storia: “The Fête was established; already it seemed to have its history.” (266)

Molta dell’energia creativa che anima Flaubert’s Parrot, A History of the World in 10½ Chapters, e England, England, proviene dalla medesima tensione: quella tra desiderio di verità e paura che essa si riveli inaccessibile68.

Se il narratore di ‘Parenthesis’ è anche Barnes, l’autore sembra rivendicare non solo un ruolo rivelatore per la Storia, che sarebbe sempre in grado di smascherare gli umani tentativi di riscriverla, di insabbiarla o di annullarla:

There’s one thing I’ll say for history. It’s very good at finding things. We try to cover them up, but history doesn’t let go. It’s got time on its side, time and science. However ferociously we ink over our first thoughts, history finds a way of reading them. (242)

ma anche un ruolo attivo per noi esseri umani alle prese con il passato, collettivo e non. Nell’ultimo paragrafo di ‘Parenthesis’, l’autore arriva ad affermare che “Yes, that’s right, it can be done, we can face history down.” (246)

Forse, esiste per noi “interpreti della storia che soffriamo a causa di essa” (“we, the readers of history, the sufferers from history”, 242) la possibilità di tener testa alla Storia, la possibilità di affrontarla e uscire vincitori dal doloroso confronto/scontro con essa.

Come ha opportunamente rilevato Holmes, se la verità storica è inattingibile, questo non significa però che tutte le interpretazioni siano ugualmente plausibili e persuasive. In fondo, forse, Barnes tenta di rigettare la visione estremista del postmodernismo secondo la quale le narrazioni

67 Come ha osservato Albertazzi, “[d]alla falsificazione del passato si approda alla sua reinvenzione: se “England, England” è un falso codificato, Anglia è la caricatura di un mito. Entrambi ridotti a non luoghi, rappresentano la consapevolezza che il passato dell’Inghilterra è stato ricostruito, rimaneggiato.” Per un’analisi circostanziata, si veda S. Albertazzi, In questo mondo, cit., p. 209.

74 storiche sono finzioni senza reale capacità mimetica. Il suo narratore in ‘Parenthesis’ dice che o crediamo sia possibile ottenere una qualche porzione di verità obiettiva oppure cediamo a un relativismo seducente ma ingannevole, lasciando il campo ai bugiardi:69

This God-eyed version is a fake – a charming, impossible fake, like those medieval paintings which show all the stages of Christ’s Passion happening simultaneously in different parts of the picture. But while we know this, we must still believe that objective truth is obtainable; or we must believe that it is 99 per cent obtainable; or if we can’t believe this we must believe that 43 per cent objective truth is better than 41 per cent. We must do so, because if we don’t we’re lost, we fall into beguiling relativity, we value one liar’s version as much as another liar’s, we throw up our hands at the puzzle of it all, we admit that the victor has the right not just to the spoils but also to the truth. (245- 246)

In sostanza, gli ostacoli che affronta la memoria culturale sono gli stessi che si trova di fronte la memoria individuale, la cui importanza nella poetica bernesiana verrà approfondita con l’analisi di The Sense of an Ending.

Sebbene la verità si riveli inattingibile, per Barnes resta pur sempre l’approssimazione alla verità, e qualunque grado di approssimazione è meglio di una bugia vera e propria. In un’intervista rilasciata all’uscita di England, England in Italia, “indicando il tema di base del romanzo nella messa a confronto della falsità della vita pubblica con l’autenticità di quella privata”70, lo scrittore ha affermato che “[v]iviamo sempre più in un mondo di repliche,

riproduzioni e falsi. Sempre più cerchiamo autenticità nella vita privata, ovvero nell’amore”71.

In altre parole, forse, quando l’approssimazione diventa insopportabile, o quando il suo grado non è più giudicato sufficiente, si può trovare autenticità (e conforto) negli affetti.

Al termine delle sue estenuanti peregrinazioni all'indietro nel tempo, Barnes, così come i suoi personaggi – Braithwaite che rinuncia a definire quale sia “il” pappagallo, Martha che si rassegna a invecchiare ad Anglia – si rende dunque conto che è necessario mettere un “punto”, trovare un approdo, per evitare che nei marosi della storia naufraghi anche il presente, e che la fatica soverchiante e in definitiva vana di ricostruire il passato si risolva in una dissipazione di vita presente.

69 Ibidem.

70 Cfr. S. Albertazzi, In questo mondo, cit., p. 207.

75 CAPITOLO 3RIAVVOLGERE IL NASTRO: IL TEMPO ROVESCIATO E IL RECUPERO DELLA VITA TRA MEMORIA E NARRAZIONE

In The Art of Fiction (1884) Henry James scriveva che

Only a short time ago it might have been supposed that the English novel was not what the French call discutable. It had no air of having a theory, a conviction, a consciousness of itself behind it – of being the expression of an artistic faith, the result of choice and comparison. […] But within a year or two, for some reason or other, there have been signs of returning animation-the era of discussion would appear to have been to a certain extent opened. Art lives upon discussion, upon experiment, upon curiosity, upon variety of attempt, upon the exchange of views and the comparison of standpoints […]1

I romanzi di Barnes possono certamente essere descritti come discutable: si tratta di “romanzi di idee”, e The Sense of an Ending, l’opera che ha valso a Barnes il Man Booker Prize nel 2011, ne