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Nel definire un quadro teorico del lutto, è utile ricorrere all’opera di Freud, più volte citato da Barnes, sia direttamente sia indirettamente, in opere come The Sense of an Ending o Nothing to be Frightened of. In particolare, è illuminante il saggio del 1915 intitolato Lutto e melanconia40, nel

quale Freud si sofferma sul lavoro del lutto, inteso come reazione (o “ribellione”41) alla perdita di una

persona amata o di una astrazione (come la patria o un ideale): esso rappresenterebbe la possibilità di simbolizzare la perdita, di attraversare il dolore, ricostruendo l’attuabilità dell’esperienza libidica del mondo. Si tratta di un lavoro psichico che richiede memoria, dolore e tempo. Come non esiste lutto rapido, così non c’è lavoro del lutto che non implichi dolore:

[e]sso è infatti realizzato dettagliatamente con un grande dispendio di tempo e di energia d’investimento e nel frattempo l’esistenza dell’oggetto perduto è psichicamente prolungata. Ciascuno dei singoli ricordi e ognuna delle singole aspettative in cui la libido era legata all’oggetto viene evocato, sovrainvestito e su ciascuno di essi è compiuto il distacco della libido. Perché questa attività di compromesso […] sia così straordinariamente dolorosa, non è affatto facile da motivare da un punto di vista economico. È significativo che questo doloroso dispiacere ci appaia ovvio.42

40 S. Freud, op. cit., pp. 43-64. 41 Ivi, p. 45.

158 Chi è in lutto ha attraversato la superficie di uno specchio, e si è ritrovato in un mondo diverso,

in cui la normalità appartiene al passato remoto. Poiché l’esistenza perde ogni logica e ogni giustificazione, ci si sente assurdi.

Se in Nothing to be Frightened of Barnes insisteva sull’importanza di morire “in character”, in Levels of Life l’autore riconosce che anche la sofferenza va affrontata coerentemente al proprio modo di essere.

A questo proposito, certi passaggi di Barnes richiamano alla memoria una scena del film di Stephen Frears The Queen (2006), quando la protagonista Elisabetta II d’Inghilterra (impersonata da una bravissima Helen Mirren) si trova a ricordare al segretario particolare come ci si dovrebbe comportare di fronte a un lutto, puntualizzando con severità che gli unici atteggiamenti accettabili sono “un dolore misurato e un sobrio cordoglio privato, perché è così che da noi ci si comporta: con contegno e dignità”.

Barnes lo ammette con rabbia. All’inopportuna domanda di un conoscente (“Allora, come stai?”), lo scrittore avrebbe potuto cavarsela con un “[…] ‘A bit up and down.’ That would have been a proper, prim and English answer. Except that the griefstruck rarely feel either proper, prim, or even English.” (79)

In un’epoca di rimozione come la nostra, che tende a negare o dissimulare la presenza incombente della morte, anche il carico di dolore legato al lutto diventa qualcosa d'incomprensibile: “So grief in turn becomes unimaginable: not just its length and depth, but its tone and texture, its deceptions and false dawns, its recidivism.” (69)

Già nel 1965, Geoffrey Gorer aveva registrato l’attuale tendenza a cancellare questa dimensione: “[…] the most typical reaction of the majority in Britain today […] is the denial of mourning, in the period after the funeral. Certainly, social recognition of mourning has practically disappeared […].”43

Emblematico in questo senso è l’atteggiamento di Tony, il protagonista di The Sense of an Ending, a metà tra il serio e il faceto: si pensi al passaggio in cui descrive le forme di lutto del passato

43 G. Gorer, op. cit., p. 113.

159 a partire da una ricetta per il pollo, per poi concludere che oggi, di fronte alla morte, non si può più

contare su una ritualità condivisa:

Margaret told me of a French way of doing this which is even fancier. They put slices of black truffle under the skin – and do you know what they call it? chicken in Half- Mourning. I suppose the recipe dates from the time people used to wear nothing but black for a few months, grey for another few months, and only slowly return to the colours of life. Full-, Half-, Quarter-Mourning. I don’t know if those were the terms, but I know the gradations of dress were fully tabulated. Nowadays, how long do people wear mourning? half a day in most cases – just long enough for the funeral or cremation and the drinks afterwards. (109-110)

Gorer ipotizzava che proprio la mancata creazione di un rituale civile legato al lutto (parallela all’introduzione del matrimonio civile) avesse contribuito alla generalizzata negazione del lutto stesso osservata nella maggioranza delle persone che hanno deboli credenze religiose, oppure non ne hanno affatto44.

Negli anni Sessanta l’antropologo inglese (ma le sue osservazioni restano valide ancora oggi, come dimostrano pubblicazioni più recenti45) era giunto alla conclusione che

[…] the majority of British people are […] without adequate guidance as to how to treat death and bereavement and without social help in living through and coming to terms with the grief and mourning which are the inevitable responses in human beings to the death of someone whom they have loved. […] It has also been demonstrated that only a minority of the British are active in the practice of their religion […] consequently, the fact that the only social techniques available for coming to terms with death and dealing with grief are phrased exclusively in religious terms means that the majority of contemporary Britons with either residual or non-existent religious beliefs have in effect neither help nor guidance in the crises of misery and loneliness which are likely to occur in every person’s life. (110)

Il lutto è subdolo perché trova modi sempre nuovi e inaspettati per tormentare chi soffre: nel caso di Barnes, tale imprevedibilità si materializza nel postino ignaro che, trasferito in un’altra zona della città prima che la Kavanagh morisse, incontra per caso lo scrittore ormai vedovo da tre anni e gli domanda come stia sua moglie; nel tassista che, chiacchierando, lascia cadere un commento scherzoso (“‘Your wife, be asleep, will she?’ After a silent choke, I gave the only reply I could find. ‘I hope so.’” 106)

44 Cfr. Ivi, p. 116.

45 Per un approfondimento, si vedano Grief, Mourning and Death Ritual a cura di J. Hockey, J. Katz e N. Small, Maidenhead, Open University Press, 2001 e The Unknown Country: Death in Australia, Britain and

160 In altre parole, il lutto è un terreno disseminato di trappole che il tempo non sempre aiuta a

individuare e neutralizzare: “Self-pity, isolationism, world-scorn, an egotistical exceptionalism: all aspects of vanity. Look how much I suffer, how much others fail to understand: does this not prove how much I loved?” (113-114) Di qui a che diventi competitivo, il passo è breve: “There is the temptation to feel, if not to say: I fell from a greater height than you – examine my ruptured organs.” (114)

Se è vero che si soffre nell’esatta misura di quanto vale la perdita, si finisce anche per affezionarsi al dolore. È una preoccupazione che accomuna lo scrittore al dottor Braithwaite, il narratore in Flaubert’s Parrot (“And will we know when we start hugging our grief and vainly enjoying it?” 161) Nel corso di un’intervista, Barnes ha spiegato la cosa in questi termini: essendo “the negative image of love”, il dolore non può affievolirsi: se lo facesse, significherebbe che anche l’amore sta venendo meno. Senza dimenticare che soffrire è una modalità del ricordare46: “Pain

shows that you have not forgotten; pain enhances the flavour of memory; pain is a proof of love.” (113)

Durante la stessa intervista, Barnes ha aggiunto che, con il passare del tempo, le cose si fanno via via meno difficili, che gestire la sofferenza diventa “più semplice”. Parlando delle strategie da lui sperimentate, il dottor Braithwaite accenna a due modalità opposte: “And still you think about her every day. Sometimes, weary of loving her dead, you imagine her back to life again, for conversation, for approval. […] Or else you try to sidestep her image.” (161) O si cerca di sfuggire l’immagine della persona amata; oppure si continua, come fa Barnes, a conversare con la persona scomparsa e a voler condividere tutto con lei, tanto che ogni traguardo successivo alla morte diventa meno significativo proprio perché non può essere condiviso. Anche Didion non riesce a sopprimere il bisogno di continuare il suo dialogo con il marito: “I could not count the times during the average day when something would come up that I needed to tell him. This impulse did not end with his death. What ended was the possibility of response.” (194)

Per Loewenthal il bisogno di condividere ancora il quotidiano con la persona che non c’è più non si manifesta soltanto attraverso l’impulso a raccontare un episodio o a chiedere un’opinione, ma

46 Intervista a Julian Barnes al Robert Peston Interview Show (with Eddie Mair) in onda su BBC Radio 4 l’8 giugno 2015.

161 assume anche la forma di un’“emulazione a posteriori” (69) nello scrivere su dei foglietti le cose da

fare e ricordare, un’abitudine del marito, quasi a garantire “una strana forma di continuità” (69). Questa volontà di non interrompere il dialogo con i morti si fonda per Barnes sulla convinzione che “[…] the fact that someone is dead may mean that they are not alive, but doesn’t mean that they do not exist.” (102) Esiste nel ricordo, per esempio. Esiste nei sogni. Esiste nella volontà di commentare per la moglie quel che fa o quel che vede mentre viaggia in auto; di tenere in vita il loro “lessico famigliare” o di risolvere ancora “insieme” piccole questioni domestiche come la necessità di cambiare il tappetino in bagno: “Outsiders might find this an eccentric, or ‘morbid’, or self-deceiving, habit; but outsiders are by definition those who have not known grief.” (103)

Barnes si domanda che cosa significhi “elaborare” il lutto, partendo dalla constatazione che non si è mai pronti per fare questo genere di percorso rigoroso e difficilissimo per il quale non esiste né apprendistato possibile né modo di valutare i propri progressi47

Grief-work. It sounds such a clear and solid concept, with its confident two-part name. But it is fluid, slippery, metamorphic. Sometimes it is passive, a waiting for time and pain to disappear; sometimes active, a conscious attention to death and loss and the loved one; sometimes necessarily distractive […]. (104-105)

Si esce mai, dal lutto? Con amarezza Barnes confessa che “[…] you do come out of it, that’s true. But you don’t come out of it like a train coming out of a tunnel, bursting through the Downs into sunshine and that swift, rattling descent to the Channel; you come out if it as a gull comes out of an oil slick; you are tarred and feathered for life.” (114-115) E si chiede che cosa significhi “farcela” quando si parla di lutto: “[…] what is ‘success’ in mourning? Does it lie in remembering or in forgetting? A staying still or a moving on? Or some combination of both?” (116) Si tagliano piccoli “traguardi” (suona strano definirli tali), per esempio quando le lacrime, “daily, unavoidable tears” (116), cessano; o quando si recupera la concentrazione e si riesce a leggere un libro come prima; o ancora, quando svanisce il terrore del foyer. In una parola, si raggiunge prima o poi il momento in cui “life turns back from opera into realist fiction” (117) e la vita, piano piano, riprende.

47 Tornando sull’isola, il protagonista di ‘Marriage Lines’ crede di poter mitigare il dolore della perdita, o quantomeno di “accelerare” un poco il processo di guarigione. Lasciando quel luogo (forse per l’ultima volta) egli si rende invece conto di non avere alcun potere sulla sofferenza: “He had thought that grief might be assuaged, or if not assuaged, at least speeded up, hurried on its way a little, by going back to a place where they had been happy. But he was not in charge of grief. Grief was in charge of him. And in the months and years ahead, he expected grief to teach him many other things as well. This was just the first of them.” (127)

162 Eppure Loewenthal spiega che, anche quando non dà più segni esteriori, “[…] il lutto sta lì,

annidato dentro, come in una dimensione parallela dell’esistenza. La vita scorre, va avanti, anche in modo brillante e spensierato. Il lutto le sta al fianco, scorre lento interferendo sempre di meno via via che il tempo passa. Ma è lì, presente. Piantato dentro, mentre la vita sta fuori.” (68)