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Il processo del ricordare cui si fa rifermento sin dalla primissima riga di The Sense of an Ending risulta disseminato di trappole e trabocchetti: esso non lascia affiorare altro che memorie frammentarie, incerte e imprecise, che solo il lento lavorio del tempo può trasformare in certezze, tramutando i ricordi in aneddoti.

Was this their exact exchange? Almost certainly not. Still, it is my best memory of their exchange. (19, enfasi di chi scrive)

This last isn’t something I actually saw, but what you end up remembering isn’t always the same as what you have witnessed. (3)

I need to return […] to some approximate memories which time has deformed into certainty. If I can’t be sure of the actual events any more, I can at least be true to the impressions those facts left. That’s the best I can manage. (4, enfasi di chi scrive)

6 S. Albertazzi, Belli e perdenti, cit., p. 168. 7 Ivi, pp. 165-66.

79 In modo analogo, in England, England i ricordi vengono descritti inizialmente come file di ingannevoli specchi che riflettono immagini composite: gli spazi fra uno specchio e l’altro corrispondono ai vuoti del sistema mnemonico, che i processi di fabulazione e di ricategorizzazione tendono a riempire: “[…] a memory wasn’t a thing but a memory of a memory of a memory, mirrors set in parallel, […].” (6) Più avanti nel corso del romanzo, tuttavia, i ricordi di Martha appariranno sempre meno inaffidabili e più “autentici”, poichè l’azione del tempo cristallizza le reminiscenze in “fatti” inoppugnabili: “[…] she had reached the age where memories harden into facts – her mother was cooking and not singing, that was a fact, Martha had finished her jigsaw, that was a fact, […] her father was not in the background, that was a fact […].” (14-15)

Se la certezza non è mai una qualità intrinseca dei ricordi, allora come esseri umani dobbiamo arrenderci all’evidenza di avere a che fare soltanto con aneddoti, ossia con ciò che risulta dalla narrativizzazione dei ricordi stessi. È quel che constata Tony, ricordando insieme a Colin e ad Alex alcuni episodi significativi del passato condiviso con Adrian: “[w]e were already turning our past into anecdote.” (53, enfasi di chi scrive)

Quel che continuamente facciamo è manipolare i ricordi, in modo da renderli più consoni ai nostri bisogni, al nostro modo di essere e di pensare attuale, per lenire il dolore e attutire il senso di colpa (come nel caso di Tony in The Sense of an Ending, nella prima delle due citazioni che seguono) o per consolidare le nostre convinzioni (come nel caso di Martha in England, England, nella seconda):

Veronica kissed me nearer the corner of my lips than the centre, and then left. In my mind, this was the beginning of the end of our relationship. Or have I just remembered it this way to make it seem so, and to apportion blame? (35)

“A continuing self-deception as well. Because even if you recognize all this, grasped the impurity and corruption of the memory system, you still, part of you, believe in that innocent, authentic thing – yes thing – you called a memory” (7)

Quel “qualcosa” in cui scegliamo di credere non è un vero ricordo, bensì un complesso di percezioni corrotte dalla memoria, che l’individuo stesso ha costruito nell’illusione dell’autenticità. La storia della nostra vita che scegliamo di raccontare altro non è che una delle versioni possibili, (ri)costruita attraverso un processo di narrativizzazione, o di fabulazione, basato sull’invenzione,

80 sulla manipolazione e, in ultima analisi, sulla menzogna. In quest’ottica, le parole di Tony sono emblematiche:

How often do we tell our own life story? How often do we adjust, embellish, make sly cuts? And the longer life goes on, the fewer are those around to challenge our account, to remind us that our life is not our life, merely the story we have told about our life. Told to others, but – mainly – to ourselves. (95, enfasi di chi scrive)

I told her the story of my life. The version I tell myself, the account that stands up. (116, enfasi di chi scrive)

At least, that’s how I remember it now. Though if you were to put me in a court of law, I doubt I’d stand up to cross-examination very well. ‘And yet you claim this memory was suppressed for forty years?’ ‘Yes.’ ‘And only surfaced just recently?’ ‘Yes.’ ‘Are you able to account for why it surfaced?’ ‘Not really.’ ‘Then let me put it to you, Mr Webster, that this supposed incident is an entire figment of your imagination, constructed to justify some romantic attachment […] (119, enfasi di chi scrive)

Tutto ciò risulta essere in linea con l’attuale modo di intendere l’identità “as a fluid entity which is constructed and negotiated through the life span”8, in base al quale le life narratives avrebbero la

funzione di dare significato e senso di continuità al percorso di una vita. In ‘Identity Construction in the Third Age: The Role of Self-Narratives’, Gerben J. Westerhof ha analizzato l’importanza della self-narrative nella costruzione dell’identità negli individui di età compresa tra i sessanta e i settantacinque anni, giungendo alla conclusione che, quando scegliamo di raccontare una certa versione della storia della nostra vita, intendiamo conferire “unity and purpose in the manifold experiences occurring across the course of one’s life and thereby to find meaning in life”9.

Q

uale

punto di vista adottiamo nel narrarci ciò che abbiamo vissuto? Come sostiene Halbwachs ne La memoria collettiva, “non siamo mai soli”, e men che meno lo siamo quando ricordiamo o raccontiamo di noi. Anche cercando di rivolgerci a noi stessi soltanto per raccontare la nostra vita, possiamo comunque finire per imbatterci in qualcos’altro. Ai ricordi già organizzati possono aggiungersene altri che parlano di altre possibilità. Può inoltre accadere che faccia la sua comparsa la mémoire involontaire, come accade quando Tony comincia a ricordare, in maniera appunto involontaria, frammenti e dettagli, collegando il presente al passato in forme inattese, scompaginando l’ordine secondo il quale era incline a rappresentarsi:

8 Cfr. M.O. Piqueras, ‘Memory Revisited in Julian Barnes's The Sense of an Ending’, in Coolabah, No.13, 2014, Observatori: Centre d’Estudis Australians, Australian Studies Centre, Universitat de Barcelona, p. 89.

81 But we also learn something else: that the brain doesn’t like being typecast. Just when

you think everything is a matter of decrease, of subtraction and division, your brain, your memory, may surprise you. As if it’s saying: Don’t imagine you can rely on some comforting process of gradual decline – life’s much more complicated than that. And so the brain will throw you scraps from time to time, even disengage those familiar memory-loops. That’s what, to my consternation, I found happening to me now. I began to remember, with no particular order or sense of significance, long-buried details of that distant weekend with the Ford family. (111-112, enfasi di chi scrive)

Un qualcosa di analogo accade pure alla protagonista di England, England: quando abbassa la guardia, anche Martha viene assalita dai ricordi sgradevoli: “[h]er mind still worked with clarity, she thought, but in its resting moments all sort of litter from the past blew about.” (257)

Per dirla con Jedlowski, la caratteristica più interessante della memoria è quella di essere sovversiva, cioè di conservare le tracce anche di ciò che nell’identità attuale e nelle storie che raccontiamo a partire da essa non trova posto, di ciò che credevamo di aver dimenticato, o lasciato da parte per sempre.10

Jedlowski descrive anche situazioni nelle quali la narrazione altrui ci coinvolge in quanto responsabili di ciò che all’altro è accaduto: è il caso di Tony nei confronti di Veronica. Degli effetti delle nostre azioni di cui possiamo o vogliamo essere inconsapevoli (pensiamo ancora a Tony), altri (Veronica) possono chiedere conto, dal momento che ne serbano traccia, e a volte è una traccia indelebile (il figlio di Adrian). In The Sense of an Ending, è sempre qualcun altro a rendere Tony consapevole di un significato del proprio agire che gli era oscuro, e la cui possibilità di comprensione risiede in larga misura nell’altro (in Veronica o, prima della sua morte, in Adrian), in quanto costituito dagli effetti che tale agire ha avuto sulla ragazza o sull’amico.11