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Se esista un legame tra la paura della morte e il suo destino di scrittore, Barnes preferisce non appurarlo. D’altra parte, ironizza in Nothing to be Frightened of, lo scrivere potrebbe rivelarsi niente altro che “a trivial response to mortality” (66), un modo per assicurarsi che qualche cosa di sé rimanga nel mondo anche dopo la morte: “You make up stories so that your name, and some

49 Ivi, p. 154.

50 B. Kucala, ‘The Erosion of Victorian Discourses in Julian Barnes’s Arthur and George’, in American, British

and Canadian Studies, vol. 13 ‘Worlds within Words: Twenty-first Century Visions on

the Work of Julian Barnes’, dicembre 2009, Sibiu, Lucian Blaga University Press, p. 72, www.ceeol.com (sito visitato il 9/05/2015)

51 “If you knew someone who had died, then you could think about them in one of two ways: as being dead, extinguished utterly, with the death of the body the test and proof that their self, their essence, their individuality, no longer existed; or you could believe that somewhere, somehow, according to whatever religion you held, […] they were still alive […].” p. 340.

119 indefinable percentage of your individuality, will continue after your physical death, and the

anticipation of this brings you some kind of consolation.” (66) L’autore si interroga del resto sul perché scrittori e artisti producano le proprie opere se non per sconfiggere, o quantomeno per sfidare, la morte52. Se durante l’adolescenza Barnes si illudeva che la scrittura, come qualunque altra

forma di creazione artistica, potesse assicurare all’autore vita eterna, ora, superati i sessant’anni, osserva con una punta di amarezza (o di cinismo?) che

[t]astes change; truths become clichés; whole art forms disappear. Even the greatest art’s triumph over death is risibly temporary. A novelist might hope for another generation of readers – two or three if lucky – which may feel like a scorning of death; but it’s really just scratching on the wall of the condemned cell. We do it to say: I was here too. (205)

Tuttavia, se raccontare storie non serve a esorcizzare la paura della morte, l’arte del narrare può quantomeno aiutarci a tenere a bada il sentimento del dubbio su che cosa sia stato, in effetti, il passato.

Questi pensieri sono collegati all’idea dell’esistenza di un ‘last reader’, l’ultimo lettore che i romanzi di Barnes, come quelli di qualsiasi altro autore, sono destinati ad avere prima di cadere nell’oblio

And at some point […] a writer will have a last reader. […] My last reader: there is a temptation to be sentimental over him or her […]. But then logic kicked in: your last reader is, by definition, someone who doesn’t recommend your books to anyone else. You bastard! Not good enough, eh? (225-26)

Nel momento in cui scompare l’ultimo lettore, scompare anche lo scrittore.

Dal punto di vista barthesiano53, se la scrittura è un luogo neutro, ricettacolo di istanze di varia

natura, luogo di passaggio, nel quale si incastra casualmente l’immagine riflessa di uno scrivente privo di importanza ai fini della ricezione del testo, allora non solo lo scrittore non può sperare di sopravvivere alla morte grazie alle proprie opere, ma non può neppure illudersi di esistere fintanto che è in vita. Secondo Barthes, infatti, è soltanto con l’affermarsi dei saperi paratestuali e con la

52 Il narratore di Flaubert’s Parrot è scettico al proposito: “For the religious, death destroys the body and liberates the spirit; for the artist, death destroys the personality and liberates the work. That’s the theory, anyway.” (86)

120 nascita della critica letteraria54 che si è assistito a un curioso capovolgimento: il testo è divenuto

progressivamente meno importante dell’autore che lo ha generato, almeno sino alla rivoluzione condotta dalle avanguardie e alla loro battaglia per il ridimensionamento del suo ruolo. Ecco quindi l’importanza del lettore, vero nucleo di interesse nella prospettiva post-strutturalista di Barthes (e, a nostro modo di vedere, anche in quella barnesiana55), che, lo ricordiamo, riflette un momento storico

in cui l’autore come principio di autorità interpretativa del testo viene soppiantato in senso democratico dalla pluralità dei lettori. Un’ottica analoga si riscontra in Flaubert’s Parrot, romanzo incentrato appunto sull’impossibilità di giungere alla conoscenza autentica di uno scrittore e di ritrovarne la voce originaria in base agli indizi che di essa ci restano. Al pari di Flaubert, Barnes non solo ritiene superfluo rintracciare nelle opere dettagli personali della vita del loro autore, ma considera anche del tutto inutile ricorrere alla biografia di uno scrittore per comprenderne l’opera56.

Braithwaite si spinge oltre e giunge addirittura a trasformare Flaubert da autore (reale) in personaggio, come ha evidenziato Laura Giovannelli:

Nel racconto-biografia Flaubert sembra infatti perdere in certa misura la propria individualità “storica”, per divenire una sorta di personaggio-eroe, “riscritto” e

54 Gli attacchi più impietosi ai critici letterari vengono sferrati da Braithwaite in Flaubert’s Parrot. Si veda, al riguardo, l’intero capitolo intitolato Emma Bovary’s Eyes (che comincia, senza giri di parole, “Let me tell you why I hate critics […]” e nel corso del quale il narratore giunge a invertire i termini del rapporto critico-autore insistendo sulla grossolanità di alcuni errori di giudizio da parte di una studiosa emerita come Enid Starkie); e, nel capitolo intitolato Cross Channel, le pagine 97-100. In A History of the World in 10½ Chapters, nel capitolo intitolato “The Dream” l’autore inserisce una critica più velata alla categoria: il protagonista chiede alla guida quali sono le categorie che riescono a restare in paradiso più a lungo prima di prendere la decisione di “morire per sempre” e la risposta (piena di sarcasmo) che ottiene è questa: “‘[…]Nowadays… lawyers last quite well. […] And scholarly people, they tend to last as long as anyone. They like sitting around reading all the books there are. And then they love arguing about them. Some of those arguments’ – she cast an eye to the heavens – ‘go on for millennium after millennium. […]’”. (306) Qualche pagina più avanti, il protagonista confessa di aver tentato la strada della critica letteraria per cercare di allungare ancora la propria permanenza in paradiso, ma di essersi dovuto arrendere: “I remembered what Margaret said and tried – oh, for a few centuries or so – arguing about books with other people who’d read the same books. But it seemed a pretty

arid life, at least compared to life itself, and not one worth prolonging.” (308, enfasi di chi scrive)

55 Significativamente, Barnes ha espresso il proprio fastidio di fronte ai tentativi di rintracciare a tutti i costi le idee o elementi della personalità dell’autore nelle sue opere, mettendo in bocca a Braithwaite le parole “Why does the writing make us chase the writer? Why can’t we leave well alone? Why aren’t the books enough?” (12). Non a caso è Braithwaite a lanciarsi in questa breve invettiva: come sappiamo, egli stesso è alla ricerca di Gustave Flaubert e del pappagallo che lo scrittore utilizzò per la stesura di Un cœur simple. Barnes ha dichiarato in più occasioni di non aver davvero mai letto dei saggi di critica letteraria e ha ribadito più volte che “in my case there is no continuing dialogue between writing fiction and literary theory. I’m deliberately unaware of literary theory. Novels come out of life, not out of theories about either life or literature, it seems to me […]”. Si veda R. Freiburg, “Novels Come out of Life, Not out of Theories”, cit. in V. Guignery e R. Roberts (a cura di), op. cit., p. 37.

56 Nel corso di un’intervista, Barnes ha ribadito che “the work should stand by itself and I can’t think of any biography that I’ve read that has actually made me understand the work better.” V. Guignery e R. Roberts, ‘Julian Barnes: The Final Interview’, in Id, op. cit., p. 181.

121 ricostruito da Braithwaite mescolando aderenza ai fatti e immaginazione, oggettività e

finzione.57

In questo senso, la trasformazione di Flaubert da (vero) autore a (mero) personaggio potrebbe essere interpretata come una sorta di morte. A ulteriore conferma di ciò, anziché portare al ritrovamento dell’identità autoriale, la quest di Braithwaite si conclude sullo sfondo cupo di una stazione ferroviaria abbandonata, metafora della morte dell’autore e della con-testuale nascita del lettore come solo garante dell’unità del testo.58

Come in Flaubert’s Parrot Barnes conduce una riflessione molto profonda sul ruolo dell’arte e dell’artista nel tempo, così in Nothing to be Frightened of le riflessioni sull’autore e sulla scrittura sono strettamente collegate alle considerazioni sul ruolo della letteratura, che, da sempre, ci racconta nel miglior modo possibile com’è fatto il mondo ricorrendo a una serie di bugie perfette che racchiudono in sé la verità delle cose.