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IL LEGITTIMO AFFIDAMENTO NEL DIRITTO TRIBUTARIO INGLESE ED ITALIANO: VALUTAZIONI COMPARATE

3.10 La tutela del contribuente e le impugnative dei provvedimenti nei confronti della HMRC L’applicazione del principio dell’affidamento in merito alle maggior

3.10.1 Alcune considerazioni comparatistiche

Nell’ordinamento tributario comunitario ed in quello italiano, l’Amministrazione ha senza dubbio l’obbligo di portare a conoscenza dei contribuenti con tutti i mezzi idonei in suo possesso, ossia attraverso, tutte le circolari, e le risoluzioni emanate dall’Agenzia, le interpretazioni rese e diffuse nei propri provvedimenti.

Se il problema della tutela dell’affidamento, per la delicatezza che lo caratterizza, non è marginalizzabile al solo diritto tributario di cui travalica i confini perché immanente ai rapporti tra Pubblica Amministrazione e privato, esso riveste, tuttavia, una particolare importanza, per la nota endemica incertezza normativa italiana dovuta a tecniche legislative, spesso approssimative o ipertrofiche, che hanno finito per moltiplicare fonti cognitive - interne, internazionali, comunitarie - che disorientano, non solo il contribuente, ma la stessa giurisprudenza di merito e di legittimità.

Nell’ordinamento italiano a differenza di quello inglese, vi è la predominanza di una legislazione volatile continuamente modificata, secondo le necessità del legislatore, tanto da assumere effetti distorsivi all’interno del principio di legalità.

Si pensi, ad esempio, a quanto verrà detto nel prosieguo a proposito dell’emanazione delle norme di interpretazione autentica che attribuiscono significato ad una certa disposizione, e che creano con la loro emanazione un dise-allinemento del sistema, lì dove invece il comportamento tenuto dal contribuente sia stato del tutto in buona fede, tanto da aver seguito l’interpretazione precedente l’emanazione della circolare interpretativa, ed abbia confidato in una uniforme giurisprudenza a lui favorevole. Sotto questo aspetto la giurisprudenza inglese è estremamente garantista, e sanziona questi comportamenti come unfair conduct fino a valutarli come vere e proprie forme di eccesso di potere.

Sotto questo aspetto e senza voler trarre delle conclusioni affrettate, mi sembra di potere sostenere come il principio di motivazione di un provvedimento amministrativo, oggi stia superando la sua dimensione topica per divenire qualcosa di più concreto, di giustiziabile, molto più continentale rispetto a qualche anno fa.

Riprendendo alcune valutazioni poste dalla giurisprudenza mi sembra che la tendenza a motivare gli atti dei pubblici poteri possa trovare quali presupposti, da una parte, il processo di convergenza tra diritti amministrativi tra i quali è necessario considerarare quelli posti dall’Unione Europea, e dall’altro il Judicial Review, “ the very nature of

judicial review requires reason giving230.

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Ulteriormente, non può sottacersi l’eventualità che il legislatore, nell’intento di eludere i limiti della retroattività in materia tributaria o per esigenze “politiche”contingenti, ricorra all’interpretazione finalizzata all’introduzione surrettizia di disposizioni innovative e di fatto retroattive dalle quali il contribuente può essere vulnerato.

Riconoscere tutela all’affidamento, dunque, comporta, innanzitutto, che l’Amministrazione sia facultata a mutare l’orientamento interpretativo solo per il futuro, mantenendo l’indirizzo assunto nel passato e diffuso con i propri provvedimenti, ma applicando i criteri riferiti dalla Corte di Giustizia, ossia quelli di concedere congruo tempo al contribuente per uniformarsi.

L’encomiabile presa d’atto della questione nella sua problematicità ha condotto alla canonizzazione ex art. 10, comma 1 dello Statuto del contribuente, in nome del riconoscimento del principio di buona fede, della conclusione che il giudice debba procedere all’annullamento dell’atto impositivo ove accerti che la pretesa fiscale che lo ha legittimato è di contenuto diverso rispetto a quella determinata sulla base dell’interpretazione derivante da un provvedimento cui il contribuente si è adeguato. Nel diritto tributario inglese ed in particolare nella Charter payer tax231 del Contribuente manca un corrispondente all’art.10 dello Statuto dei contribuenti italiano, ed anche i precedenti finora esaminati sono orientati verso la specifica canonizzazione di principi che danno luogo ad affidamento del contribuente.

Al contrario nel diritto italiano manca una tipizzazione del principio dell’affidamento così spinta come nel diritto inglese, ma al contrario può accadere che negli atti ufficiali dell’Amministrazione, si rinvengano più interpretazioni in relazione ad una fattispecie esaminata.

Ne consegue che, in tal caso, l’esternazione ufficiale, per quanto autorevole, non può precostituire un vincolo per l’Ufficio e nello stesso tempo, specularmente, una violazione, se smentita successivamente, alla buona fede di chi in essa ha riposto la propria fiducia.

Da tale considerazione scaturisce la consapevolezza da parte del legislatore dello Statuto di rendere la giusta tutela all’affidamento con la previsione del comma 2 dell’art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente il quale prevede, infatti, che “non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente qualora egli si sia

http://www.ncl.ac.uk/~nlawwww/1996/issue1/thomas1.html; per la giurisprudenza ivi riportata R.vHighter Educational Funding ex parte Institute of Dental Surgery [1994], 1 All E.R. 651; R.v Bristol County Council ex parte Bailey,[1995],27 HLR 307; In R v LB of Tower Hamlets ex parte Mohab Ali (1993) 25 HLR 218, 228;

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conformato a indicazioni contenute in atti dell’Amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate dall’Amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni o errori dell’Amministrazione stessa”.

In pratica, derubricando la norma, si coglie la volontà di assolvere il contribuente in buona fede, sia nel caso di affidamento prestato ad un atto dell’Amministrazione dal contenuto inequivocabile che nel caso in cui l’atto contenga solo un’indicazione preferenziale, dal momento che, nella prima ipotesi, nessuna imposta potrà essere pretesa e, nella seconda, non potranno essere pretesi interessi né potranno essere irrogate sanzioni.

Il riconoscimento esplicito della reciproca collaborazione tra fisco e cittadino contribuente, che costituisce il fondamento della meritevolezza della tutela, sia della buona fede che dell’affidamento da parte di quest’ultimo nei confronti dell’Amministrazione, titolare della pretesa fiscale, viene ulteriormente specificato e integrato dal successivo art. 11 il quale, nei due commi nei quali si struttura, pone a disposizione del soggetto passivo d’imposta uno strumento (interpello) di immediato dialogo deflativo dell’inveterato contenzioso tributario, imponendo precisi limiti alla potenziale discrezionalità connessa all’esercizio dell’attività istituzionale.

Le disposizioni appena citate, senz’altro innovative nella loro incisività, s’inseriscono in un tessuto socio-culturale orientato al superamento della fisiologica conflittualità relazionale tra cittadino e Pubblica Amministrazione che, nel contesto tributario. La portata della norma, tuttavia, è notevole non tanto per la positivizzazione del principio, già peraltro immanente nell’ordinamento tributario, ma in quanto ascrivibile al più ampio “genus” dei principi generali del diritto e dell’azione amministrativa che debbono orientare e costituire, nel contempo, il punto di riferimento esegetico della correttezza e della legittimità dell’operato degli organi ed uffici in cui si articola il complesso apparato finanziario, quanto per averlo esplicitato concretamente prevedendo precisi limiti a carico dell’Amministrazione con l’imposizione dell’annullamento e della revoca degli atti che abbiano generato la situazione cui l’affidamento si ricollega. D’altra parte l’affidamento rappresenta, insieme alla collaborazione e alla buona fede, un canone riconosciuto e tutelato dall’ordinamento giuridico che voglia attribuire un ruolo efficace al legislatore chiamato, in un contesto di politica democratica, ad affermare la certezza del diritto, negli ambiti pubblico e privato di parcellizzazione del medesimo, in funzione non autopoietica quanto piuttosto dialettica.

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Infatti, l’esigenza di affermare e sostenere la certezza del diritto costiusce una esigenza primaria ed essenziale nei rapporti fra tutti i soggetti presenti in ogni ordinamento giuridico, trovando la propria ragione d’essere nella fides, in un’idea di giustizia, intesa come conformità al diritto, come giusto adepimento dell’obbligazione tributaria sancita dalla costituzione, come preminenza nte preminente rispetto all’esigenza di tutela dell’interesse pubblico perseguito, potendo quest’ultimo conciliarsi ma non prescindere dalla medesima. La specialità soggettiva di cui è portatrice l’Amministrazione non determina una presunzione di superiorità di cui vantarsi nei rapporti con il cittadino, ma impone, piuttosto, un rispetto del quale le norme che ne disciplinano l’azione debbono rendersi interpreti nella finalità di esaltare la funzionalizzazione dell’attività in un’ottica di efficiente ottimizzazione dei risultati verso la quale il sistema pubblico è da pochi anni orientato.

Il pur espresso riconoscimento contenuto negli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione, che denunciano una volontà normativa già preesistente nel nostro ordinamento giuridico sembrava, antecedentemente allo Statuto, ritrovare vitalità e rigore solo nei richiami contenuti nei repertori giurisprudenziali amministrativi tributari e, comunitari tesi a ribadire, in nome della legalità dell’obbligazione tributaria la necessaria sottrazione alla disponibilità delle parti e la conseguente negazione di qualsivoglia margine di discrezionalità nella determinazione dell’an e del quantum del tributo.

Nelle vecchie pronunzie giurisprudenziali non si rinviene alcun cenno espresso ai principi di correttezza dell’azione amministrativa e di tutela del legittimo affidamento del contribuente e tanto più all’esimente delle obiettive condizioni di incertezza della norma tributaria, introdotta nel sistema normativo già nel 1929 (art. 2 RD n. 360 del 1929) e ciò in contrasto con il nuovo orientamento a proposito della correttezza dell’azione amministrativa232

.

Al contrario la giurisprudenza inglese ha sancito la sussistenza dell’abuse of power lì dove il soggetto pubblico agisca senza considerare adeguatamente tutti gli aspetti del caso, ossia senza svolgere una istruttoria completa, tanto da utilizzare in modo assolutamente scorretto il potere che la legge ha conferito provocando la violazione di

232L’azione amministrativa, così come prevista dall’articolo 1 della legge 241/90, legge modificata ed integrata dalla

legge 15/05, è improntata non solo ai canoni della trasparenza, pubblicità e ai principi del diritto comunitario, ma ai principi di derivazione civilistica, posto che la regola generale è che i poteri pubblici ed il cittadino si muovono sullo stesso piano, con ciò rinunciando definitivamente all’agire pubblico come espressione del potere autoritativo. La pubblica amministrazione, nella cura degli interessi pubblici, deve considerare l’interesse privato del cittadino,nell’ambito del procedimento posto in essere per il provvedimento finale, come una occasione per curare al meglio gli interessi pubblici di cui essa è depositaria per volontà normativa. L’individuazione da parte del legislatore della disciplina codicistica e l’accostamento alle norme sul procedimento amministrativo aprono il dibattito sulla applicabilità dell’agire pubblico di istituti come quello della buona fede oggettiva e soggettiva.

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una norma o l’emissione di un atto amministrativo effettuato in eccesso di potere. Ma oltre a questo parametro ben definito, deve sottolinearsi il concetto di proporzionalità introdotto dalla giurisprudenza della CEDU, parametro questo necessario a mettere alla prova la ragionevolezza dell’azione amministrativa.

Le Corti inglesi all’interno del sistema della Common law con la Human Right Act 1998 hanno incominciato ad applicare il sindacato sulla proporzionalità dell’azione amministrativa, nonostante la tendenza di parte della dottrina233 a ridurre le conseguenze dell’affermazione del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa ai principi posti dal Wednesbury principle.

Con la conseguenza e necessaria applicazione del bilanciamento degli interessi pubblici e privati tra ordinamento e contribuente all’insegna della necessaria pariteticità all’interno del procedimento amministrativo inglese234

.

Il concetto di pariteticità all’interno dell’ordinamento italiano non può sussistere per via della diversa organizzazione amministrativa dello Stato e del differente concetto posto nel princpio di legalità.

Le ragioni di tale diversità devono, inoltre ravvisarsi nella particolare disciplina pubblicistica, alla quale in virtù della regolamentazione legale della prestazione tributaria rispetto al diritto pubblico è caratterizzata dai poteri dispositivi ed interessi sussistenti tra Amministrazione finanziaria e contribuente, ed è proprio nella posizione parititetica ruotano poteri pubblicistici ai quali si accompagna il dovere di contrappeso ed il dovere di imparzialità e correttezza dell’amministrazione finanziaria, ma ciò non determina la pariteticità tra quest’ultima e contribuente.

3.11 Il concetto della unreasonabless applicato alla legitimate expectation le

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