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Il legittimo affidamento generato dalla Pubblica Amministrazione dell’ordinamento italiano e le principali differenze rispetto al sistema inglese

IL LEGITTIMO AFFIDAMENTO ED IL PRINCIPIO DI BUONA FEDE NEL DIRITTO ITALIANO

4.1 Il legittimo affidamento generato dalla Pubblica Amministrazione dell’ordinamento italiano e le principali differenze rispetto al sistema inglese

Una delle maggiori differenze dell’ordinamento italiano rispetto al quello inglese è che nell’ambito della protezione del contribuente certamente il principio dell’affidamento assume una rilevanza notevole, in quanto nel sistema inglese costituisce un elemento cardine della tutela del contribuente e offre il pregio di difendere meglio il contribuente inglese perché la libertà individuale è maggiormente rispettata sulla base del principio di uguaglianza.

Allo stesso tempo è bene anche considerare come il sistema amministrativo-tributario inglese possa presentare un eccesso di legalismo, che ad avviso di chi scrive deriva dal principio della responsabilità personale dei funzionari ai quali è demandata una vera e propria delega di funzioni. Da ciò certamente comporta degli effetti di responsabilità che nell’ordinamento italiano sono abbastanza mitigati proprio per il rapporto organico in essere con l’Amministrazione dello Stato.

Come si è visto nell’Ordinamento inglese vi è invece una vera e propria effettiva uguaglianza davanti le Corti tra il contribuente e lo Stato nella persona del suo funzionario.

Ciò comporta degli effetti davvero diversi, in quanto la responsabilità personale dei funzionari pubblici e la circostanza che un giudice o una giuria che deve giudicarli può frustrare l’applicazione di una legge che conferisce all’amministrazione ed ai suoi funzionari poteri di intervento rispetto ai contribuenti.

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Il grande giurista Dicey249: affermava che uno degli aspetti eclatanti del diritto

amministrativo inglese che lo contraddistingueva da quello continentale è che nel diritto inglese la richiesta di risarcimento del danno non può essere chiesta alla Corona, ma dal dipendente pubblico che ha provocato il danno.

Allo stesso tempo vi è da effettuare anche una considerazione di massima sul concetto di annullamento dell’atto che nell’ordinamento continentale avviene con l’impugnativa dell’atto ” ultra vires” il quale concluderà se del caso, con l’annullamento dell’atto, oggi questo aspetto si è ottenuto attraverso l’estoppel che però va ad incidere sull’eccesso di potere da parte del funzionario che ha emesso l’atto e questo costituisce un’aspetto negativo del sistema inglese nel dare pochissimi spazi per l’accertamento della legalità dell’atto.

a) non è concepito come il diritto generale dell’amministrazione, ma solo come il diritto che regola l’esercizio dei singoli poteri di supremazia delle amministrazioni inteso come Adjudication, adm. Rulemaking.

b) sul piano disciplinare, ha una fortissima caratterizzazione processuale e non abbraccia lo studio della organizzazione e dei poteri delle amministrazioni, ma solo quello del modus agendi dell’amministrazione, costruito per analogia col processo civile.

Nel diritto amministrativo italiano invece il legittimo affidamento rappresenta l’interesse alla tutela di una certa situazione giuridica generata da un precedente comportamento della P.A. tale da indurre il contribuente a confidare nel conseguimento di un determinato risultato.

Nel diritto tributario l’art. 10 dello Statuto del Contribuente invece tale concetto è rapportato ai rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria che devono essere

improntati al principio della collaborazione e della buona fede.

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Non sono irrogate sanzioni, né richiesti interessi di mora, nel caso in cui l'errore del contribuente sia stato causato dall'essersi conformato ad indicazioni contenute in atti dell'amministrazione finanziaria e dalla stessa successivamente modificate250.

Tale principio ha rilievo in tutti i rapporti intercorrenti tra la P.A. ed il contribuente siano essi di diritto pubblico che di diritto privato, consistente nel rispetto delle regole di buona fede che l'Amministrazione è tenuta ad osservare nei confronti del contribuente stesso.

Maggiormente problematica risulta l'applicazione del principio dell'affidamento nei rapporti di diritto pubblico, ove l'Amministrazione si pone su di un piano differenziato rispetto al contribuente, in quanto sia il principio di legalità, sia la legittimità degli atti amministrativi hanno tradizionalmente rappresentato un ostacolo al riconoscimento della vigenza del principio del legittimo affidamento nell'ambito dei rapporti di diritto pubblico.

La dottrina italiana nel passato è stata ancorata ad una concezione autoritaria del diritto pubblico tanto che per lungo tempo ha escluso che il principio di buona fede potesse

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Al riguardo, va ricordato quanto precisato dalla suprema Corte di cassazione nella sentenza n. 17576 del 10 dicembre 2002 in cui i giudici di legittimità, sono stati chiamati a pronunciarsi relativamente alla portata applicativa del principio di "tutela dell'affidamento e della buona fede", pur omettendo ogni considerazione circa l'efficacia delle disposizioni dello Statuto dei diritti del contribuente sotto il profilo costituzionale delle fonti del diritto, ne hanno affermato, sostanzialmente, una "valenza superiore" nella legislazione tributaria, riconoscendo ai principi da esse recati una "funzione di orientamento ermeneutico ed applicativo vincolante nell'interpretazione del diritto". La suprema Corte precisa, altresì, il significato da attribuire a termini quali "collaborazione" e "buona fede"; in particolare, viene affermato che con il termine "collaborazione" si intende alludere, da un lato, ai principi di "buon andamento", "efficienza" e "imparzialità" dell'azione amministrativa tributaria di cui all'articolo 97, comma 1, della Costituzione, e, dall'altro, a comportamenti non collidenti con il dovere, sancito dall'articolo 53, comma 1, della Costituzione e imposto a tutti i contribuenti, di "concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva".

Il termine "buona fede", invece, se riferito all'amministrazione finanziaria, coincide con i significati attribuibili al termine "collaborazione", posto che entrambi mirano ad assicurare comportamenti dell'amministrazione stessa "coerenti", vale a dire "non contradditori" o "discontinui"; il medesimo termine, se riferito al contribuente, allude a un generale "dovere di correttezza", volto ad evitare comportamenti capziosi, dilatatori, sostanzialmente connotati da "abuso"di diritti e tesi a eludere una giusta pretesa tributaria. Ai fini della tutela dell'affidamento, l'articolo 10 dello Statuto sancisce che non sono applicabili sanzioni al contribuente che si sia attenuto a indicazioni contenute in atti dell'Amministrazione finanziaria o a seguito di ritardi, omissioni o errori della stessa. Non vengono applicate sanzioni, inoltre, quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sull'applicazione della norma tributaria. Alla luce delle considerazioni svolte per delineare i contenuti dei principi di collaborazione e di buona fede, il principio della tutela dell'affidamento del contribuente costituisce un mero svolgimento dei due principi Si può ritenere che la presenza nell'ordinamento tributario dei principi della collaborazione, della buona fede e dell'affidamento affermati nell'articolo 10, commi 1 e 2, della legge n. 212 del 2000 sono attuativi delle norme costituzionali richiamate dall'articolo 1 del medesimo Statuto, compreso l'articolo 97 della Costituzione.

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trovare applicazione251.La ragione di tale assunto trova anche una sua particolare giustificazione, in quanto l'applicazione di tale principio poteva prestarsi a degli abusi interpretativi di tali strumenti soprattutto negli anni trenta quando si fece strada un'idea di legalità squisitamente formalistica. La dottrina in quegli anni ha sempre negato che il cittadino di fronte alla funzione primaria dello Stato e alla necessità di ripristinare la legalità violata potesse invocare la lesione di regole di buona fede al fine di ottenere la permanenza di un atto legittimo in quanto la buona fede rappresenterebbe un inutile duplicato dell’interesse pubblico, poiché l’agire secondo i dettami della correttezza sarebbe insito nell’obbligo di perseguire l’interesse prefigurato dall’ordinamento.

In tale contesto, la giurisprudenza per lungo tempo non ha preso espressa posizione sulla questione, anche se252 il Consiglio di Stato in talune sentenze ha dato risalto alla buona fede del cittadino di fronte all'attività dell'Amministrazione, certamente si è trattato peraltro di pronunce la cui portata pratica, è stata priva di riferimenti sistematici ed è stata circoscritta a specifici casi.

Nel diritto pubblico italiano l'emersione della buona fede e del legittimo affidamento è avvenuta negli anni ’50 ed è dovuta alle aperture della dottrina che si è accostata all'argomento partendo dalla condotta dell'Amministrazione e della posizione del cittadino253. Tali approfondimenti si collocano nel filone degli studi diretti alla

251

Sulla questione poi è stato seguito il pensiero di E. GUICCIARDI, Recensione a K. H. Schmitt, Treu und Glauben

im Verwaltungsrecht. Zugleish ein Beitrag zur juristischen Methodenlehre, in Arch. giur. dir. Pub., 1936, 556 ss. che

escluse il rilievo della clausola di buona fede in seno al diritto amministrativo. L’avversità al principio di buona fede, manifestato negli anni prima della seconda guerra modiale, si accompagnava alla diffidenza che in genere riguardava le clausole generali per i possibili abusi interpretativi che sarebbero potuti derivare da un uso disinvolto di tali strumenti. Ciò anche in ragione dell’ascesa del nazionalsocialismo in Germania e dell’uso delle clausole generali che si faceva in quell’ordinamento. Sostanzialmente contrario al rilievo della buona fede nel diritto amministrativo si mostra anche M. S. GIANNINI, L’interpretazione dell’atto amministrativo e la teoria generale dell'interpretazione, Milano 1939, 142 ss. Che riconosce peraltro al principio solo una limitata e circoscritta operatività. Per un’articolata analisi della dottrina amministrativa sul tema della buona fede e dell’affidamento cfr. F.MERUSI, Buona fede e

affidamento nel diritto pubblico. Dagli anni “trenta” all’“alternanza”, cit., 115 ss.; F. MANGANARO, Il principio di buona fede e attività delle amministrazioni pubbliche, cit., 39 ss.;

252 F.MERUSI, Buona fede e diritto pubblico, in Buona fede e affidamento nel diritto pubblico. Dagli anni “trenta” all’“alternanza”, cit., 272.

253

Parte della dottrina ha cercato di condurre la buona fede nell'ambito del principio dell'imparzialità, costituzionalmente garantito, U. ALLEGRETTI, L'imparzialità amministrativa, Padova 1965, 274 ss. S. ROMANO,

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ridefinizione del ruolo della Pubblica Amministrazione all’interno della Carta Costituzionale del 1948, ove si si comincia ad intravedere l’idea dell’Autorità pubblica, come di un soggetto che individua l’interesse da garantire all’interno della funzione amministrativa, che fa uso di strumenti consensuali accanto a quelli unilaterali ed autoritativi, che favorisce la partecipazione del privato alla funzione pubblica.

Il pieno compimento di tali principi si ha con l’emanazione della L.N. 241/1990 e ss. sul procedimento amministrativo, e le successive riforme che hanno investito la struttura amministrativa, che a partire dagli anni ottanta trovano una loro giustificazione causale proprio nella funzione che il legittimo affidamento ha all'interno del sistema del diritto pubblico254. In tale contesto, appare chiaro che l’Amministrazione Finanziaria non persegue più soltanto un interesse pubblico cristallizzato nella norma di legge e che si identifica con l’interesse soggettivo dell'ente pubblico, ma in tutti quegli interessi che sono parte dell'azione amministrativa, in cui non vi è più un solo interesse pubblico

buona fede nell'ambito del diritto pubblico come osservanza di regole non giuridiche che condizionerebbero la validità degli obblighi contratti. A. MANTERO, Le situazioni favorevoli del privato nel rapporto amministrativo, Padova 1979, 118 ss. ha fatto riferimento alla buona fede come tutela delle situazioni favorevoli del privato. Queste rappresenterebbero un limite sostanziale alle scelte dell'Amministrazione.

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Si devono segnalare alcune recenti leggi che hanno disciplinato importanti aspetti generali dei principi in esame ed hanno inciso sulla loro tutela, e devono essere qui almeno accennate. In primo luogo, la legge n. 15 del 2005 ha integrato l’articolo 1 della legge generale sul procedimento amministrativo n. 241/1990, prevedendo che l’attività amministrativa debba osservare anche “i principi dell’ordinamento comunitario”: tra tali principi, secondo la citata giurisprudenza della Corte di giustizia, è compreso anche il principio del legittimo affidamento, che così viene pur indirettamente riconosciuto da una norma positiva;

In secondo luogo, la medesima legge n. 15 del 2005, inserendo gli articoli da 21 bis a 21 nonies nella legge n, 241/1990, ha espressamente disciplinato l’esercizio del potere di autotutela dell’amministrazione per il ritiro dei propri atti, che costituisce una delle principali occasioni di violazione del legittimo affidamento, in particolare: - secondo il nuovo art. 21 bis della legge n. 241/1990, il provvedimento acquista di regola efficacia solo al momento della sua comunicazione al destinatario;

- secondo il nuovo art. 21 nonies, il provvedimento illegittimo può essere annullato d’ufficio solo entro un termine ragionevole e se vi sono ragioni di interesse pubblico, tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati;

- secondo il nuovo art. 21 octies, le illegittimità procedurali e formali non possono comunque causare l’annullamento se il contenuto dell’atto non poteva essere diverso; - secondo il nuovo art. 21 quinquies, il provvedimento che diviene o si rivela contrastante con

l’interesse pubblico può invece essere revocato, con efficacia ex tunc, ma occorre indennizzare i soggetti danneggiati; - secondo il nuovo comma 1 bis del medesimo articolo, introdotto dal decreto legge n. 7/2007, l’indennizzo riferito ai rapporti di diritto privati sorti nel frattempo è peraltro limitato al solo danno emergente (escludendo quindi le mancate aspettative di guadagno) ed è ulteriormente ridotto in caso di concorso del danneggiato all’erronea valutazione dell’amministrazione o se la contrarietà all’interesse pubblico era comunque conosciuta o conoscibile. In terzo luogo, il nuovo codice del processo amministrativo (approvato dal decreto legislativo n. 104 del 2010 e modificato dal

decreto legislativo n. 195 del 2011), ha recepito le 9 innovazioni della giurisprudenza amministrativa ed ha quindi

introdotto nuovi strumenti istruttori e nuove azioni, pur senza inserire un espressa azione di adempimento, che comunque superano la tradizionale ottica annullatoria dell’atto illegittimo, e consentono quindi una più

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predefinito, ma un rapporto tra PA e contribuente ispirato al dovere di collaborazione e di buona fede.

La giurisprudenza unitamente alla dottrina ha tradotto in numerose regole operative255 le modalità di attuazione di tali principi.

Tra di esse particolare rilievo viene riconosciuto alla tutela del legittimo affidamento. Tale dato si registra non solo nell'ambito della giurisprudenza della Corte di Cassazione ma anche del Consiglio di Stato e della Corte Costituzionale e quest'ultima ha ribadito in numerose sentenze la centralità del principio anche se con specifico riguardo all'operato del legislatore e con particolare riferimento al tema di irretroattività della legge256.

Tra i possibili limiti alla retroattività delle norme primarie si pone anche l'affidamento legittimo dei cittadini nella certezza di una situazione. Il legislatore italiano ha consacrato il principio del legittimo affidamento all'interno dell'ordinamento con la legge 212/2000 attraverso lo Statuto del contribuente nel quale sono stati codificati i principi fondamentali dell'attività amministrativa in ambito tributario.

255 Cons. St., sez. VI, 24 settembre 1996, n. 1255 Studium iuris, 1997, 197; in Foro amm., 1997, 1065 (s.m.); in Foro

amm., 1997, 1434; Cons. St., sez. IV, 15 giugno 1994, n. 501, in Foro amm., 1994, 1398 (s.m.); Cons. Stato, 1994, I,

735 (s.m.); Cons. St. a. plen., 30 settembre 1993, n. 11, in Riv. Corte conti,1993, 205. La casistica offre un ampio spettro di ipotesi in cui la tutela della buona fede e del legittimo affidamento è stata affermata dai giudici amministrativi. Si va dalla ripetizione delle somme non dovute percepite in buona fede, all'esercizio del potere di autotutela, all'interpretazione dei bandi di concorso; disposizioni che hanno poi ispirato il legislatore nell'emanazione della legge n.212 del 27 luglio 2000, in cui appare in maniera pregnante la volontà dell'amministrazione ad un ruolo attuativo della carta Costituzionale degli artt. 3, 23,53,97,255.

256

Nell'individuare i limiti alla efficacia retroattiva delle leggi, la Corte Costituzionale (Corte Cost., 17 dicembre 1985, n. 349, in Giur. it., 1986, I, 1, 1585; Corte Cost., 14 luglio 1988, n. 822, in Cons. Stato, 1988, II, 1378; Corte Cost., 26 luglio 1995, n. 390, in Giust. civ., 1995, I, 326; Corte Cost., 4 novembre 1999, n. 416, in Giust. civ., 2000, I, 973; in Giur. it., 2000, 678; Corte Cost., 22 novembre 2000, n. 525, in Rass. Trib., 2000; Corte Cost., 12 novembre 2002, n. 446, in Giur. it., 2003, 841) ha precisato che nel vigente sistema costituzionale non è interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali modifichino sfavorevolmente la disciplina dei rapporti di durata, anche se il loro oggetto sia costituito da diritti soggettivi perfetti, salvo, qualora si tratti di disposizioni retroattive, il limite costituzionale della materia penale (l'art. 25 comma secondo, Cost.). Dette disposizioni però, al pari di qualsiasi precetto legislativo, non possono trasmodare in un regolamento irrazionale al pari di qualsiasi precetto legislativo, e arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, frustrando così anche l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, che costituisce elemento fondamentale e indispensabile dello stato di diritto. Sulla progressiva emersione del principio: P. CARNEVALE, « … Al fuggir di giovinezza … nel doman

s’ha più certezza» (Brevi riflessioni sul processo di valorizzazione del principio di affidamento nella giurisprudenza costituzionale), cit., 3643 ss. in Corte Cost., 11 giugno 1999, n. 229, in Giust. civ., 1999, I, 2919; in Cons. Stato,

1999, II, 823; Corte Cost., 4 novembre 1999, n. 416, in Giust. civ., 2000, I, 973; in Giur. it., 2000, 678; Corte Cost., 22 novembre 2000, n. 525, in Rass. trib., 2000, 1889; in Foro it., 2000, I, 3397

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Su tale evoluzione hanno senz'altro inciso sia l'elaborazione del principio offerto dalla giurisprudenza tedesca che le posizioni della Corte di Giustizia delle Comunità Europee. Le costruzioni enucleate per dare fondamento al legittimo affidamento generato dall'Autorità pubblica e dall'Amministrazione, in particolare, sono essenzialmente due257:

la prima poggia sulla nozione ampia e generale della buona fede. La seconda si richiama al principio altrettanto generale, ma di diversa rilevanza, della certezza del diritto, proprio della concezione moderna dello Stato di diritto.

Come emergerà in questo capitolo il principio dell'affidamento e della buona fede nell’ambito del diritto tributario italiano, hanno subito anche ad opera della Corte Costituzionale un vero ed effettivo riconoscimento, partendo dal principio della certezza dei rapporti giuridici, sino ad affermare, come tali principi siano immanenti nel diritto tributario anche lì dove le parti private e quelle pubbliche non trovano una specifica pariteticità.

4.2 Il legittimo affidamento quale elemento essenziale della buona fede e del

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