Globalizzazione e vittime collettive
8.1. Alcune definizioni: vittima e vittimologia
Il termine italiano vittima (dal latino victima) ha origine dall‟analogia dei verbi latini “vincire” e “vincere”: il primo si riferisce alla condizione di immobilità tipica degli animali e degli esseri umani avvinti, legati strettamente, che nell‟antichità erano sacrificati alla divinità per scopi propiziatori e il secondo alla condizione di colui che soggiaceva al vincitore, lo sconfitto. Nell‟antichità il guerriero vinto perdeva il proprio status sociale, il proprio potere. L‟immagine richiamata è quella dell‟uomo inerme, impossibilitato a reagire, piegato su se stesso. È l‟immagine di una sofferenza profonda, indipendentemente dalla causa che l‟ha originata, del dolore patito, del sacrificio (Vezzadini, 2012).
Da un punto di vista normativo la prima definizione di vittima è contenuta nella Risoluzione ONU n. 40/34 del 29/11/85, che definisce le vittime: “persone che individualmente, o collettivamente, hanno sofferto una lesione, incluso un danno fisico o mentale, sofferenza emotiva, perdita economica o una sostanziale compressione o lesione dei loro diritti fondamentali attraverso atti od omissioni che siano in violazione delle leggi penali operanti all‟interno degli Stati membri, comprese le leggi che proibiscono l‟abuso di potere criminale”.
Ci si riferisce quindi non solo al singolo che ha subito un reato ma anche al gruppo collettivo49 unito da legami culturali, religiosi, economici, e a soggetti che vedono una contrazione dei loro diritti o che subiscono danni a causa di sopraffazioni criminali. L‟accento sulla lesione non solo fisica, quindi clinicamente certificabile, ma anche psicologica, morale ed economica, pone l‟attenzione sul concetto di benessere50
della persona umana e del rispetto dei suoi diritti. Un benessere che deve essere raggiunto per il singolo e per la collettività non trascurando correlazioni tra gli obiettivi di salute e
49 Vittime collettive furono gli Ebrei durante l’Olocausto
50 Un approccio ribadito con forza dall’ONU nella Carta di Ottawa del 1986, contente i “determinanti di salute”, indicatori necessari alla programmazione territoriale, che promuove come necessario un approccio globale alla salute, espressione del benessere come condizione psico- socio-relazionale della persona e non più solo come condizione sanitaria.
congiunzioni nella programmazione con l‟ambiente, la condizione abitativa ed economica, il lavoro, la cultura e l‟istruzione.
La vittima quindi, come soggetto, non è più riconosciuta solo se portatrice di danni clinici (sanitari) determinati dal reato, ma anche se subisce violenza psicologica, morale, economica o una contrazione dei propri diritti a causa di sopraffazioni criminali. Un‟impostazione questa che dovrebbe stravolgere, almeno in parte, le politiche sociali e che dovrebbe essere, come per la programmazione integrata socio-sanitaria, alla base delle politiche di sostegno ed aiuto alle vittime.
Nel corso degli anni sono state proposte varie definizioni dell‟insieme delle teorie che hanno come oggetto di studio le vittime. Uno dei primi autori italiani che ha trattato il tema della vittima, Gullotta (1976), definisce la vittimologia come “la disciplina che ha per oggetto lo studio della vittima del reato, della sua personalità, delle sue caratteristiche, biologiche, psicologiche, morali, sociali e culturali, delle sue relazioni con l‟autore di reato, e del ruolo che essa ha assunto nella criminogenesi e nella criminodinamica”. L‟Autore trasla quindi la definizione di “criminologia” in una definizione simile ma il cui punto di osservazione è quello della vittima; l‟oggetto di studio non è più il criminale ma chi ne è succube.
Fattah (1967) definisce la vittimologia come la branca della criminologia che si interessa della vittima diretta di un crimine, attingendo alle conoscenze anche di altre scienze (biologia, psicologia sociologia etc.), analizzandone le sue caratteristiche socio- culturali, le relazioni con il criminale, il ruolo da essa giocato ed il suo contributo alla genesi del crimine.
Karmen (1990) considera nella sua definizione anche quello che la vittima sperimenta dopo il reato nel rapporto con la giustizia, la stampa e i servizi e definisce la vittimologia come “lo studio scientifico della vittimizzazione, inclusa la relazione tra vittima e aggressore, le interazioni tra vittime e sistema di giustizia criminale, come la polizia e i tribunali ed i funzionari carcerari, e le connessioni tra le vittime e gli altri gruppi della società come i media ed i movimenti sociali ed economici”.
Giannini e Nardi (2009) definiscono la vittimologia “la disciplina che studia il comportamento violento51 dalla prospettiva della vittima, ma che non trascura l‟autore di reato e il contesto in cui il delitto avviene quando quest‟ultimo è l‟espressione di una
51È necessario distinguere tra comportamento violento (condotta attraverso la quale si manifesta la distruttività umana, l’incapacità di comunicare, l’assenza o la perdita di rapporto significativo con l’altro) e comportamento aggressivo (una serie di condotte funzionali alla conservazione e alla tutela dell’individuo e/o della specie: è quindi un movimento verso lavita e non verso la morte)
costruzione più o meno consapevole, ma non casuale, tra la vittima e il suo carnefice. Include inoltre lo studio delle reciproche, possibili interazioni tra vittima, aggressore, sistemi di giustizia penale, delle comunicazioni di massa e delle agenzie di controllo sociale e di aiuto, al fine di giungere ad una comprensione dei protagonisti del reato, a scopo terapeutico, preventivo e riparativo”.
Per Nivoli (2010), in un‟ottica prettamente psicoanalitica, la vittimologia si occupa a livello multidisciplinare degli aspetti biologici, psicologici, psicodinamici, sociali e sociologici, giuridici e politici della vittima. La vittima è un soggetto in sofferenza fisica e psichica, che ha subito un danno in seguito a eventi interpersonali, spesso devianti o antigiuridici, o catastrofi causate dall‟uomo o dalla natura.
Definizioni complesse quindi che sfaccettano il dolore e lo correlano al danno primario, subito dalla vittima direttamente e a seguito del trauma, e al danno secondario, dovuto alle sequele fisiche, psichiche, sociali ed economiche che si determinano nella storia della persona divenuta vittima, nella relazione con gli altri “significativi” e le istituzioni.