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La vittimologia “positivista”, la vittimologia “radicale” e la vittimologia “critica”

Le Scuole di pensiero

9.2. La vittimologia “positivista”, la vittimologia “radicale” e la vittimologia “critica”

Dopo che la Scuola Classica aveva enfatizzato lo studio dell‟atto criminale, la Scuola Positiva focalizzò la ricerca sull‟autore del crimine infrangendo il mito del libero arbitrio e ritenendo che la volontà dell‟uomo potesse essere condizionata da svariati fattori. Inizia così la ricerca dei “determinanti” cioè delle cause che spingono l‟uomo a volere l‟atto criminale, anche se inizialmente la lettura fu di tipo causale (causa-effetto). Le cause del crimine, infatti, vennero inizialmente ricercate nell‟uomo stesso. Il determinismo biologico di Lombroso vedeva proprio in alcuni elementi patologici dello sviluppo umano la causa determinante del crimine. Il secondo passo fu guardare i fattori insiti nella società, tanto che Ferri fu il precursore del determinismo sociale. Unico elemento di cui non si aveva considerazione come oggetto di studio era la vittima.

Non mancano però nel filone positivista alcuni richiami al ruolo della vittima. Cesare Lombroso riconobbe tra i fattori diversi della degenerazione biologica atavica, la provocazione della vittima, ritenendo che alcuni criminali particolarmente passionali potessero agire sotto l‟azione indotta della vittima stessa (Schafer, 1968). Lo stesso Garofalo richiama l‟attenzione sui comportamenti della vittima che potevano risultare provocatori.

La vittimologia positivista detta anche “conservatrice” è fatta risalire alla prima vittimologia e al lavoro di Mendelsohn, von Henting e atri (Miers, 1989). Ha come oggetto lo studio di quei fattori che contribuiscono alla selezione non casuale delle vittime, l‟interazione interpersonale tra criminale e vittima soprattutto dei crimini di violenza e l‟individuazione delle caratteritiche delle vittime che possono aver contribuito alla vittimizzazione. Tale approccio è centrato quindi sullo studio delle peculiarità per le quali la vittima attrae il proprio carnefice, classificando le tipologie dei soggetti che, in base a determinate caratteristiche, bio- antropologiche, psichiche e sociali, appaiono più vulnerabili.

La vittimologia positivista ha elaborato diverse tipologie di vittime in relazione al crimine focalizzando le proprie ricerche sull‟identificazione dei fattori che possono contribuire a modelli non casuali di vittimizzazione e identificando la tipologia di vittime che possono aver contribuito alla loro propria vittimizzazione. I primi vittimologi cercavano di comprendere i fattori che portavano l‟autore del crimine a scegliere determinate vittime invece di altre, oppure il comportamento, l‟atteggiamento o il modo di essere di una vittima che potevano aver contribuito al processo di vittimizzazione in una data situazione (Saponaro, 2004). La prima vittimologia ricercava schemi, modelli, regolarità nei comportamenti e nelle caratteristiche delle vittime, nell‟interazione dinamica con l‟autore del crimine. Si cercavano nei comportamenti e nei modi di essere della vittima, quei caratteri che potevano condurre sistematicamente a facilitare, innescare, favorire o causare la dinamica della vittimizzazione. Tale approccio ha determinato la costruzione di classificazioni delle vittime e delle loro caratteristiche (Mayby, Walklate 1994) con finalità sia descrittive che esplicative. Si cercava sia di descrivere l‟interazione criminale- vittima e il fenomeno del crimine con maggiore attenzione al ruolo della vittima, illustrando i “meccanismi” che determinavano quell‟interazione, sia le caratteristiche della vittima, che potevano dar vita ad una schema, un modello, ad una legge al loro presentarsi con regolarità. Tra questi meccanismi, quali determinanti, rimangono tutt‟ora fondamentali in criminologia la “predisposizione”, la “facilitazione e la “precipitazione”55

, ma anche la successiva e più moderna analisi degli “stili di vita” delle vittime in rapporto al crimine. L‟enfatizzazione di tali meccanismi come “assolute cause” di vittimizzazione ha portato ad un processo di responsabilizzazione e colpevolizzazione della vittima. La vittimologia positivista per questo rappresenta l‟approccio “razionale” alla ricerca dei fattori che possono determinare fenomeni criminali, nell‟indifferenza della sofferenza della vittima.

La vittimologia radicale nasce proprio per invocare anche un‟analisi politica, culturale e strutturale della vittimizzazione. Per questo approccio la vittimologia deve studiare, osservare, e risolvere anche i “problemi sociali”, la vittimizzazione “nascosta” (Elias 1985,1986). Nella vittimologia radicale però la vittimizzazione nascosta non è la criminalità nascosta, cioè i crimini non denunciati e non scoperti, tipica dell‟approccio positivista, ma l‟analisi delle situazioni di reale lesione dell‟integrità psicofisica dell‟individuo o di discriminazione ed emarginazione sociale, strutturalmente,

culturalmente, politicamente legittimata o tollerata. La vittimologia radicale propone di prescindere dal sistema criminale e dalla vittimologia positivista, proponendo un approccio critico e problematico alle definizioni legali dei crimini, all‟operare stesso del sistema giudiziale, alla struttura politica e culturale. Centrali quindi sono i diritti umani con un richiamo anche alla teorizzazione di B. Mendelsohn che fu il primo a rivendicare una vittimologia non criminale, sganciata dalle definizioni legali del crimine e ad invocare una tutela per le vittime. La vittimologia radicale, infatti, si occupa delle vittime dell‟oppressione in tutte le sue forme (vittime di guerra, del sistema punitivo, della violenza di Stato e della forza di polizia). Cerca di occuparsi anche della costruzione sociale e degli stereotipi della vittima dei fattori che definiscono la dinamica della vittimizzazione.

La vittimologia critica propone una prospettiva meno netta nei suoi confini. Fattah (1979) intende la vittimologia critica come lo studio delle vittime del crimine che ricerca il giusto equilibrio tra le parti, cioè che non si trasformi in un movimento di riforma del sistema penale in senso punitivo o repressivo, proponendo la minore retribuzione e la maggiore rieducazione e risocializzazione dei condannati come un‟esigenza delle vittime.