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Le teorie del conflitto

6.3. Marxismo e criminalità

Negli scritti di K. Marx ed F. Engels la riflessione sul crimine è marginale ed è intrecciata sulla più complessiva analisi delle condizioni della classe operaia e del sottoproletariato nel contesto delle società capitaliste e del ruolo del diritto e dello Stato.

Marx viene ritenuto, da alcuni studiosi, il primo teorico del conflitto dal momento che la sua teorizzazione riteneva che la realtà sociale dovesse essere intesa in termini di lotta di classe per la proprietà privata dei mezzi di produzione (Marx 1970). Causa dei problemi sociali, compresa la criminalità, è il conflitto tra i detentori dei mezzi di produzione (detentori del potere) e i lavoratori (proletariato). L‟intera struttura sociale deriva dall‟organizzazione economica e la posizione occupata dall‟individuo nel sistema di produzione determinasse ogni aspetto della sua vita. Per l‟Autore la società non è altro che l‟insieme dei rapporti interindividuali e tra questi sono fondamentali quelli entro cui ha luogo la produzione e riproduzione della vita immediata degli individui.

Nell‟analisi marxiana dell‟economia capitalistica, l‟interesse è rivolto alla classe operaia la cui demoralizzazione è conseguenza di una perdita di valori e di legami societari dovuta all‟assenza di alternative. Il progredire della divisione del lavoro produce il sorgere di classi sociali antagoniste a causa della disparità di ruoli e opportunità all‟interno della società capitalistica.

F. Engels, in un saggio del 1845 sulla situazione della classe operaia in Inghilterra, ritiene il delitto, al pari dell‟alcolismo, come indice di “demoralizzazione”, di perdita dei

legami societari, ma soprattutto di sfruttamento e assenza di alternative. I delinquenti si trovano tra i disoccupati, cioè tra la popolazione superflua rispetto alle esigenze del capitale, soprattutto nei momenti di depressione e di crisi economica. Il furto in molti casi è una scelta obbligata preferibile alla morte per fame o al suicidio. Così come per il furto, le condizioni sociali determinano comportamenti devianti come l‟alcolismo o la prostituzione, espressioni dell‟abbrutimento e dell‟assenza di possibilità di condurre una vita dignitosa.

Marx accenna al tema della delinquenza in alcuni suoi scritti senza mai approfondire la questione, ma ipotizzando che la spiegazione del crimine vada ricercata nelle condizioni materiali che determinano l‟esistenza degli individui. Nel comportamento criminale è possibile rinvenire anche il desiderio di lotta contro tali condizioni: il crimine è espressione della lotta di un individuo contro le condizioni predominanti, lotta a sua volta condizionata da quelle stesse condizioni. Di fatto la possibilità di costruire una società affrancata dal crimine coincide con l‟abolizione del sistema capitalista, tanto da ritenere il crimine concentrato nelle classi “pericolose”, ma non propone alcuna riflessione sulle motivazioni del comportamento criminale né prende mai in considerazione le vittime. Molto articolata è invece l‟analisi della natura e del fondamento degli ordinamenti giuridici, a partire dalla concezione dello stato e del diritto come sovrastruttura alla cui base si trova la struttura costituita dall‟insieme dei rapporti di produzione, che corrispondono al grado di sviluppo delle forze di produzione materiale. A fondamento del diritto c‟è il potere correlato al possesso dei mezzi di produzione, non la ricerca della conciliazione delle contraddizioni economiche e sociali. Queste, essendo espressione del contrasto di interessi materiali tra le classi sociali, non possono essere sanate da uno Stato che non è che un organo che amministra gli affari comuni della classe borghese. Il diritto è espressione della classe dominante nella società, il cui ruolo si è andato consolidando nel tempo fin dal periodo feudale. La criminalità è perciò il risultato non solo del conflitto di classe ma anche del fatto che vengono definiti devianti o criminali, da parte dei ricchi capitalisti, comportamenti che potrebbero minacciare i loro interessi economici. Il diritto è la volontà della classe borghese elevata a legge, posto a difesa degli interessi della classe egemone. Quindi anche il diritto penale si intreccia con la dimensione storica del costituirsi e del consolidarsi degli interessi della classe egemone, anche se reca in sé i segni delle lotte delle altre classi che a quella si oppongono.

L‟Autore più conosciuto che ha elaborato una criminologia di matrice marxista è W.A. Bonger che, studiando le connessioni esistenti tra reato e condizioni economiche,

guarda alla criminalità della classe lavoratrice, ma anche a quella della borghesia, unificate dall‟assimilazione di un “pensiero criminale” che è conseguenza della tendenza del capitalismo di creare egoismo. La sua opera si basa sullo stato capitalistico e sulle sue connotazioni sia sotto il profilo delle conseguenze sociali (il crimine espressione dell‟egoismo e della cupidigia correlati con il modi di produzione) sia sotto quello della configurazione del diritto che definisce i comportamenti illeciti (espressione degli interessi di chi detiene il potere). La sua visione è di stampo deterministico per cui il crimine è prodotto dello stato di demoralizzazione in cui versa la società capitalistica. A fianco dei delitti commessi a causa dello stato di miseria e d‟indigenza, vi sono altri comportamenti criminali come la bancarotta fraudolenta legati al mondo capitalistico. Per tutte le categorie di crimini è possibile affermare che il ruolo giocato dalla configurazione e dalle caratteristiche del sistema economico dominante è preponderante se non decisivo. Il suo superamento attraverso la costruzione di una società di tipo egualitario basata sul comune possesso dei mezzi di produzione appare all‟Autore l‟unica via efficace per la prevenzione del crimine e la soluzione degli altri problemi sociali che affliggono le classi più svantaggiate.

Una società altruista può prevenire l‟inclinazione della bilancia verso il lato egoistico, mentre nella società capitalistica il sistema di produzione basato sulla proprietà privata e sul profitto blocca lo sviluppo dell‟istinto sociale e dei legami di reciprocità: è lo stesso meccanismo economico, con gli interessi di tutti in conflitto tra loro, che porta gli uomini all‟egoismo e ad essere più propendi al delitto. Inoltre ogni classe è spinta all‟egoismo da specifiche influenze: la classe ricca dall‟istruzione e dalle opportunità, la media dalla lotta per la sopravvivenza, il proletariato dalle privazioni. Il proletariato inoltre, soggetto a forme di sfruttamento a di abbandono sociale ed economico, è privo di qualsiasi sentimento altruista. Disoccupazione, mancanza di istruzione, pessime condizioni di vita, brutalizzano a tal punto i membri del proletariato da rendere inevitabile che essi commettano la maggior parte dei reati. Questo vale per qualsiasi tipo di delitto, perché anche per i reati a sfondo psicologico (es. reati sessuali) vi è sempre un fattore economico come causa primaria e determinata. L‟autore non negò l‟esistenza di differenze innate, ma riteneva la maggior propensione di alcuni a divenire criminali determinata dall‟ambiente.