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Le teorie del conflitto

6.6. La criminologia radicale italiana

In Italia si parla di “nuova criminologia” riferendosi alle teorizzazioni che prendono le distanze dalla tradizione positivista, possibili anche grazie anche alla presenza delle cattedre di antropologia criminale e alla matrice psichiatrico-forense e medico legale delle

ricerche che hanno caratterizzato gli studi dagli anni ‟50. Tre sono i modelli principali di studio della questione criminale: il modello dell‟emarginazione sociale, quello della reazione sociale e quello della criminologia critica. I primi due hanno impronta quasi esclusivamente sociologica e mentre il terzo muove una critica al diritto penale e studia il ruolo che il diritto in generale ha sulla selezione dei soggetti criminali, con un approccio sociologico e giuridico combinato.

Al modello dell‟emarginazione appartengono le ricerche sui “soggetti marginali” e la definizione della criminalità e della devianza come problemi sociali, attraverso la sottolineatura della funzione di accentuazione della diversità che assumono le istituzioni di assistenza e di controllo e l‟approccio metodologico che valorizza l‟osservazione partecipante e le storie di vita. Il modello della reazione sociale che si afferma intorno al 1968, nel contesto del movimento di protesta contro l‟autoritarismo e della critica della falsa neutralità della scienza, è a fondamento di ricerche sulle istituzioni totali e sulla segregazione manicomiale, sulle istituzioni minorili e sul loro ruolo nei processi di stigmatizzazione e nella costruzione delle carriere devianti (Senzani, 1970). Verso la metà degli anni ‟70, con una significativa divulgazione della rivista“La questione criminale”, si apre il dibattito della criminologia critica. Questo modello, che amplia quelli precedenti, trova le sue radici nell‟ambiente giuridico e nella tradizione marxista del diritto. La teoria criminologica critica il diritto penale e studia il ruolo che l‟applicazione del diritto può avere nella selezione dei soggetti criminali, con l‟attenzione alla costruzione di una nuova teoria sociale della questione criminale di stampo di taglio macro-sociologico, che ha l‟obiettivo di costruire un modello di scienza penalistica e definire una politica criminale alternativa, come politica criminale del movimento operaio, capace di difendere e proteggere gli interessi della collettività.

Il programma della criminologia critica, quindi, pone l‟attenzione alla natura e alla funzione del diritto penale, la cui interpretazione passa attraverso l‟analisi di Marx e del diritto “diseguale” sotto le apparenze dell‟uguaglianza formale di ogni cittadino di fronte alla legge. Vengono criticati i principali assunti del diritto penale, quali:

 Il principio del bene e del male (il reato è male, l‟ordine un bene, il criminale è disfunzionale per il sistema): era stato messo in crisi dalla teoria funzionalistica dell‟anomia, secondo cui la devianza è un fenomeno normale e funzionale,

 il principio della colpevolezza (il reato è espressione di un atteggiamento interiore riprovevole): era stato messo in dubbio dalle teorie delle sub culture criminali in cui

un individuo può essere inserito e che ne possono inibire la capacità di interiorizzare i codici morali della cultura dominante,

 il principio di legittimità (lo Stato è legittimato a reprimere la criminalità): era stato messo in dubbio dalle teorie psicoanalitiche della criminalità e della pena che ne collegano l‟origine a meccanismi psicosociali importanti (proiezione del male, creazione dei capri espiatori etc.),

 il principio dell‟uguaglianza (la legge penale è uguale per tutti ed è applicata senza distinzioni): era stato contestato dal labelling approach,

 il principio dell‟interesse sociale e del reato naturale (i reati offendono interessi fondamentali per l‟esistenza della società e condivisi da tutti): era stato negato dalle teorie conflittuali,

 il principio dello scopo e della prevenzione (la pena ha lo scopo di retribuire ma anche di prevenire il crimine): era stato messo in dubbio dalle ricerche sulle istituzioni totali e sugli effetti della stigmatizzazione sulle carriere devianti.

Con lo sviluppo del Welfare State si punta quindi a forme più diffuse e morbide di controllo, sull‟affiancamento al sistema punitivo di meccanismi assistenziali diversificati.

La criminologia critica, pur preparata dalle correnti più avanzate della sociologia criminale (subculture, associazioni differenziali, labelling, teorie del conflitto etc.) le supera e completa perché mette in relazione il comportamento deviante, funzionale o disfunzionale, con le strutture sociali e con lo sviluppo dei rapporti di produzione e distribuzione, concentrando la sua attenzione sui fondamenti del processo di criminalizzazione primaria cioè sul contenuto della legge penale e sulla sua formazione,

(Baratta, 1982), mentre le altre correnti si sono centrate sui processi di criminalizzazione secondaria, sull‟applicazione della legge quindi. La critica al diritto penale ribalta due asserzioni alla base del principio ideologico di eguaglianza:

1. il diritto penale non difende tutti e solo i beni essenziali ai quali sono ugualmente interessati tutti i cittadini, e quando punisce le offese ai beni essenziali lo fa in maniera disuguale frammentata

2. la legge penale non è uguale per tutti, lo status di criminale si applica in modo diseguale ai soggetti indipendentemente dalla dannosità sociale delle azioni o dalla gravità delle infrazioni alla legge penale da essi compiute (Baratta, 1982).

La criminalità è allora uno status assegnato attraverso due criteri di selezione: la selezione, sulla base di criteri che discendono dall‟esigenza di tutela degli interessi

dominanti nel sistema socio-economico dato, dei beni protetti penalmente e dei comportamenti assunti nelle fattispecie penali (criminalizzazione primaria) e la selezione degli individui stigmatizzati tra tutti quelli che violano le norme (criminalizzazione secondaria). Sulla base di tali affermazioni la criminologia critica passa dalla descrizione della fenomenologia della diseguaglianza all‟interpretazione della stessa, della sua logica, della sua funzionalità rispetto alla produzione del sistema (in termini di cristallizzazione delle posizioni di gerarchia sociale, di oscuramento di alcuni comportamenti illegali che restano immuni, di affermazione delle ragioni della disciplina sociale etc.) (Berzano, Prina, 2003).

La criminologia critica ha elaborato una teoria e un programma di ricerche aventi come oggetto sia le situazioni e i comportamenti socialmente negativi, che l‟origine e le funzioni dei processi di criminalizzazione, riferendo entrambi i termini della questione criminale ai rapporti sociali di produzione e ai loro riflessi sulla sovrastruttura ideologica.

Sul piano della ricerca empirica furono sviluppate indagini tese a dimostrare come l‟appartenenza di classe possa determinare la maggiore o minore possibilità di contrapporre ostacoli alla scoperta dell‟atto deviante e all‟applicazione delle relative sanzioni.

Cottino (1973) evidenzia come il processo di criminalizzazione, per chi si trova in posizione privilegiata all‟interno della struttura sociale, possa subire numerose batture di arresto, per l‟effetto degli ostacoli che, per la sua posizione sociale, egli è in grado di frapporre alle istanze di controllo sociale come:

 L‟impedimento a che si definisca una normativa che sanziona determinati comportamenti.

 La realizzazione di condizioni che rendono inefficace la normativa.

 La presenza di immunità istituzionali, che includono anche sistemi alternativi di regolazione delle eventuali infrazioni alle regole e alle norme (come giustizia privata che evita l‟esposizione al pubblico giudizio) .

 La messa in atto di misure atte a garantire una forte tutela della privacy.

 Il godimento dei vantaggi derivanti dalle politiche di controllo selettivo attuate dalle agenzie e istituzioni preposte alla prevenzione e repressione del crimine (i diversi corpi di polizia) che, per problemi di apparente produttività, tendono a concentrare la loro azione dove minori sono le protezioni derivanti da immunità istituzionali e forte difesa della privacy.

 La capacità di approfittare degli aspetti di disfunzionalità dell‟amministrazione della giustizia e la possibilità di resistere nei diversi gradi di giudizio per un tempo molto lungo.

 La fruizione di un trattamento differenziato da parte dei tribunali, che per effetto della vicinanza (nel caso delle classi privilegiate) tra giudici e accusati sotto il profilo culturale e degli stili di comunicazione.

Inoltre sono state empiricamente approfondite, nell‟ambito della prospettiva critica, tematiche inerenti le condizioni materiali dei processi di definizione, considerando le interazioni tra la struttura materiale e la sovrastruttura culturale. Le interazioni viste non come relazioni causa effetto ma come relazioni dialettiche (reciproca influenza), lo studio degli effetti e le funzioni della costruzione sociale della criminalità (ovvero la sua immagine) sia a livello di senso comune, sia a livello di giustizia criminalele, le caratteristiche e le funzioni sociali svolte dalle istituzioni totali, il carcere, di cui si nega la valenza rieducativa e che dovrebbe essere sostituito da altri strumenti di retribuzione e risocializzazione.

Su questi temi si sono sviluppate numerose ricerche empiriche che hanno tentato di rivisitare criticamente alcuni aspetti della criminalità e della sua gestione sociale (devianza minorilee femminile, tossicodipendenza, il significato delle campagne di allarme sociale, le trasformazioni delle istituzioni sociali, le forme di controllo sociale, l‟ambiguità del ruolo degli operatori etc.).

Se certi estremismi della criminologia critica hanno oggi un valore soprattutto non applicativo, va ad essa riconosciuto il merito di aver concorso a dare impulso a un movimento per la decarcerizzazione, che ha sviluppato programmi riformisti di riduttivismo della pena carceraria. La criminologia critica ha anche alimentato un atteggiamento dell‟opinione pubblica di eccessiva solidarietà nei confronti dei delinquenti, visti come “vittime della società” piuttosto che come individui, non solo inosservanti della legge, ma spesso anche autori di atteggiamenti prevaricatori, violenti, crudeli e indifferenti dei diritti e delle libertà altrui, con il risultato che le vere vittime, non di rado appartenenti alle stesse classi sociali degli autori di reato, sono state spesso scotomizzate

Capitolo 7