• Non ci sono risultati.

La criminologia radicale statunitense Il deviante vittima del sistema

Le teorie del conflitto

6.4. La criminologia radicale statunitense Il deviante vittima del sistema

Dal vasto ed eterogeneo movimento d‟opinione che si innesta nel radicalismo politico degli anni ‟60 del Novecento scaturirono filoni criminologici diversi, che, più che strutturarsi in teoria, esprimevano un diverso modo di intendere il problema criminale, con marcate componenti di critica politica. Ricollegandosi alle lotte di quegli anni delle minoranze di colore, alle rivolte nei ghetti, nei campus studenteschi, nei carceri, la criminologia radicale finisce per uniformare criminalità, devianza, dissenso: i criminali sono intesi come inconsapevoli oppositori del “sistema” borghese e la criminalità viene considerata come un fatto sostanzialmente politico. L‟elevato tasso di criminalità che si ritrova negli strati sociali più sfavoriti (sottoproletariato, popolazioni di colore, emigrati in generale) è interpretato come una conseguenza delle condizioni di disagio che affliggono questi gruppi, disagio a sua volta inteso come il portato delle iniquità della società capitalistica. Devianti non sono quindi più solo i criminali, i drogati o le prostitute ma le intere classi sociali da cui essi provengono, che non hanno la possibilità di adeguarsi agli stili di vita e ai valori comuni della società, che sarebbero poi gli stili di vita e i valori della classe dominante. I criminali non hanno coscienza del valore rivoluzionario della propria condotta oppositiva al sistema e devono essere politicizzati per poter assumere un ruolo consapevole di forze promotrici il rinnovamento rivoluzionario.

Questa diversa impostazione cresce nel contesto della “nuova sinistra” o “nuovo radicalismo” che si esprime nelle battaglie per i diritti civili , nell‟opposizione della guerra del Vietnam, nell‟insofferenza per gli stili di vita convenzionale, nell‟anti -autoritarismo. Prende spunto dal concetto di “alienazione” di Marx e di tutta la teoria anti- utilitaristica della sua opera, mentre il marxismo più ortodosso viene tralasciato (Gouldner 1970). I suoi esponenti considerano interlocutori privilegiati, invece della classe operaia, i non conformisti, i devianti, i marginali. Il sociologo della devianza guarda quindi al deviante come soggetto e alle istituzioni preposte al controllo e alla repressione con un atteggiamento diverso che determina una riflessione sul comportamento deviante all‟interno delle sue connotazioni materiali, del significato storicamente e politicamente determinato delle definizioni che vi si applicano, delle forme che assume il controllo e la repressione attuata dalle istituzioni, ed in primo luogo dal carcere.

Devianza significa “diversità” da preservare e rispettare: è la società che deve mutare per rendersi adatta a sopportare una grande varietà di stili di vita. Per le correnti più

estremiste devianza significa opposizione più o meno consapevole al sistema dominante e repressa perché pericolosa per la stabilità del sistema stesso. I devianti sono il risultato di contrasti non componibili all‟interno della struttura sociale, appaiono come “rivoluzionari” che, se la prassi politica fosse coerente, verrebbero cooptati attraverso il riconoscimento dei loro bisogni e la legittimazione dei loro comportamenti (Marotta 2004).

Chambliss (1974) concentrò il suo interesse sulla formazione delle leggi e sulla loro applicazione, notando, nell‟analisi del sistema penale americano, che le classi dominanti controllavano quelle inferiori attraverso la gestione della legge. Ciò avveniva sia emanando norme dirette a sanzionare comportamenti dei settori più disagiati della società sia diffondendo il mito della legge come strumento di servizio di tutti e plagiando le classi inferiori in modo tale che cooperassero al loro controllo. La mistificazione della legge uguale per tutti è quindi radicata in ogni sistema capitalistico, in cui i soldi comandano e danno privilegi ( Chambliss, Seidman, 1987).

Spitzer (1975) studiò il problema del “pluslavoro” nelle società capitalistiche individuando cinque categorie sociali problematiche che minacciano le classi di potere: poveri che rubano ai ricchi; persone che si rifiutano di lavorare; persone dedite al consumo di stupefacenti; soggetti che rifiutano scolarizzazione e famiglia; attivisti fautori di una società non capitalistica. Fino a che tali categorie rimangono calme e non rappresentano un pericolo per le classi dominanti, non ci sono problemi nel controllarle. Se diventassero minacciose per l‟ordine politico, la sicurezza individuale o la proprietà privata, si renderebbero necessarie forme di controllo con l‟utilizzo di rilevanti risorse e severe punizioni. Si parla di social dynamite di cui fanno parte attivisti politici, criminali e rivoluzionari.

La School of Criminology dell‟Università di California a Berkeley45 sviluppò, parallelamente al movimento new left (“nuova sinistra”), un‟analisi degli atti illegali del potere che si manifestavano soprattutto nella violazione dei diritti dei cittadini e di repressione delle categorie più critiche. Nell‟affrontare la questione criminale tale corrente di pensiero, critica verso la vecchia sinistra, si fece portavoce delle crescenti istanze degli emarginati e degli esclusi che volevano cambiare la società.

La riflessione criminologica si sviluppa con i movimenti di protesta e con le minoranze emarginate e oppresse e si manifesta con le denunce delle violenze della polizia, la repressione del dissenso, le condizioni delle carceri e delle altre istituzioni totali

(Berzano, Prina, 2003). Lo scopo fu di sollevare un sentimento di protesta a favore delle minoranze emarginate e oppresse, di produrre un‟indignazione morale. Al deviante si attribuisce la qualifica di soggetto vittima del sistema e potenzialmente rivoluzionario, e alle istituzioni una funzione repressiva dei comportamenti non conformi perché considerati espressioni di un conflitto di classe. Le soluzioni al conflitto non sono più viste nell‟aumento di tolleranza verso la devianza ma nella trasformazione radicale delle società e nell‟abbattimento del sistema economico capitalista e del capitalismo.

Uno degli esponenti dell‟Università di Berkeley fu Anthony Platt che attraverso un approccio radical alla devianza che tiene conto della reazione sociale di tipo istituzionale e al rapporto tra imperativi economici, esigenze del sistema politico e interpretazione e trattamento della delinquenza, ricostruì in chiave storica il significato del child-saving

moviment (Movimento per la salvezza dei minori) che portò in America all‟istituzione del

Tribunale per i Minori e al sistema delle istituzioni incaricate della loro rieducazione (1975). Dietro le finalità filantropiche del movimento emerge l‟interesse di una diversa gestione della delinquenza minorile e delle aree di marginalità, dove questa trova radici. Invece di considerare questi Tribunali una conquista favorevole ai minori, li pensò strumenti di controllo più pervasivo, generatrici di nuove professioni di controllo. Le istituzioni rieducative invece di salvare i minori erano organi repressivi e coattivi, in cui erano ignorati i più elementari diritti che in ambito penale sono riconosciuti.