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E Durkheim: densità morale e anomia Le vittime nella riflessione sulla penalità

Il paradigma sociale

2.1. E Durkheim: densità morale e anomia Le vittime nella riflessione sulla penalità

La sociologia durkheimiana è influenzata dalla proposizione organicistica di A. Comte e H. Spencer, per la quale, affermare che la società è un organismo significa che essa è un complesso di parti (organi) collegate tra loro ed interdipendenti, che formano qualcosa di più che la somma degli organi stessi. Gli organi hanno diversa importanza e la loro importanza si misura in relazione ai “bisogni”. La società dura e vive in relazione alla solidarietà delle parti che la compongono; ogni mutamento che interviene in un settore della società si ripercuote su di essa, nel suo insieme; ogni formazione sociale svolge una funzione altrimenti non esisterebbe (Durkheim,1893).

Alla base del pensiero di Durkheim vi è l‟idea che la coscienza collettiva influenza la natura dei legami sociali, e più in generale la solidarietà tra individui. Il legame sociale non può durare se non intrecciato con delle rappresentazioni collettive che lo modellano e lo rappresentano. Per l‟Autore, come è noto, ci sono due forme di legame sociale o di solidarietà: quella meccanica e quella organica (Durkheim, 1893). La solidarietà meccanica descrive il legame sociale delle società tradizionali, nelle quali i gruppi sono stabili, coesi, e gli individui simili tra loro si uniscono con la consapevolezza di partecipare come parti al buon funzionamento del tutto. In queste società tradizionali operano diritto e sanzioni repressive per tutelare le più essenziali similitudini sociali ed il reato è una rottura della solidarietà meccanica, un‟offesa contro la coscienza collettiva propria di tutti. La solidarietà organica è invece specifica delle società moderne, in cui la divisione del lavoro produce differenziazione nei mestieri e nelle funzioni individuali. Nelle società moderne il diritto e le sanzioni restitutive tutelano le funzioni particolari, i sottogruppi, le attività personali specializzate. Il diritto, invece che infliggere castighi e limitare la libertà, è restitutivo perché riporta il tutto, comprese le relazioni turbate, alla sua originalità. Nelle società tradizionali la coscienza collettiva copre la coscienza individuale e la densità morale indica la coscienza esistente intorno a quei valori, ai divieti, agli obblighi che legano l‟individuo attorno all‟insieme sociale. Nelle società moderne, in cui aumenta la

densità materiale e quella sociale, ma non quella morale, la coscienza collettiva occupa una sfera sempre più ridotta, sotto la pressione delle coscienze individuali. Ecco l‟anomia (Berzano, Prina, 2003).

Il termine anomia venne introdotto all‟inizio del „900 dall‟Autore con il significato di “frattura delle regole sociali”. Con le norme, legali o culturali, ogni società pone dei limiti al soddisfacimento delle aspirazioni degli individui, stabilendo quali siano i mezzi che possono essere legittimamente impiegati per appagarle. Quando una società è strutturata in modo stabile ed armonico, i limiti sono percepiti e accettati come giusti e le norme generalmente rispettate. Quando la società muta, alcuni valori normativi possono entrare in crisi, determinando un minor rispetto degli stessi, con la conseguenza che sempre un maggior numero di soggetti si comporterà in modo deviante. Quando le norme perdono di credibilità, la condotta di molti individui sarà orientata alla loro infrazione: questa perdita di credibilità della norme si configura come stato di anomia in un certo contesto sociale (Durkheim, 1871). L‟Autore indica così uno stato di confusione ideologica nell‟organizzazione sociale, dovuto a rapidi mutamenti, per i quali è impossibile per il singolo riconoscersi nel contenuto delle norme. L‟anomia, sul piano delle rappresentazioni collettive, significa quindi disgregazione dei valori e assenza di punti di riferimento. Il calo della densità morale provoca il formarsi di patologie sociali da cui scaturisce il “suicidio anomico”, cioè quegli atti di autarchia derivanti da una veloce caduta delle regole sociali, più frequente nei periodi di depressione economica o di crisi politico - istituzionale, anche se è sempre latente nelle società ad alta divisione del lavoro (Durkheim, 1871). Per Durkheim le cause dell‟anomia derivano dall‟iperstimolazione delle aspirazioni indotte dalla società industriale e nell‟insofferenza verso i sistemi di controllo sociale che tendono a limitare le aspirazioni stesse. Anomia non significa assenza di norme ma contraddizione, incoerenza, ambivalenza e ambiguità delle norme stesse.

L‟Autore, nell‟analisi dei fenomeni devianti, concentrò la sua attenzione ai soli fenomeni sociali, senza riferimenti ai modelli statistici o alle costanti bioantropologiche, ritenendo che tali fenomeni non fossero comprensibili al di fuori delle norme e dei valori che socialmente li regolano. Il delitto costituiva un fenomeno generale di ogni società, una sua parte integrante, e non un‟occasionale aberrazione di alcuni individui e quindi non poteva essere eliminato, anche se era modificabile nella quantità e nella tipologia, con il mutare del contesto sociale nel quale si manifestava. Se il delitto era “fatto normale”, la pena non poteva essere la risposta ad un fatto aberrante e non poteva avere una funzione preventiva per i cittadini, ma la sua funzione doveva essere quella di irrobustire la coesione

sociale, rafforzando le norme della coscienza comune che il crimine ha indebolito, assicurando ai sentimenti collettivi il loro necessario livello di efficacia. Senza le pene, che servono a far guarire dalle ferite del crimine i sentimenti collettivi, questi perderebbero la loro forza di controllo sui comportamenti dei singoli (Berzano, Prina, 2003).

La pena, superando il concetto di repressione e del contenimento delle condotte devianti, assume la funzione del mantenimento dei legami sociali, divenendo espressione di norme e valori condivisi e acquisendo una funzione di consolidamento morale dei vincoli sociali (Durkheim,1871).

La violazione del carattere sacrale della società, con l‟offesa inferta alla coscienza collettiva, legittimerebbe quel sentimento di vendetta che, afferma l‟Autore, si ritrova sia nelle società a solidarietà meccanica che in quelle a solidarietà organica, anche se con forma mutata, e che non significa esercizio d‟inutili crudeltà ma ripristino ad uno stato precedente, a ciò che ha provocato dolore. La vendetta come azione di difesa così come l‟istinto vendicativo non è che l‟istinto di conservazione esasperato dal pericolo (Durkheim, 1871).

In questo quadro la vittima ha un ruolo decisivo: su di essa ricade l‟azione che ha violato i valori e le norme condivise ed è la ragione immediata dalla quale scaturiscono la rabbia e l‟indignazione collettiva che determineranno la risposta punitiva. La vittima porta su di sé i segni di una ferita che è di tutti perché ferita sociale. Nella prospettiva evoluzionistica (ma non deterministica) dell‟Autore, l‟offesa impartita alla coscienza collettiva nelle società semplici assume caratteri peculiari configurando una “criminalità religiosa” (atti contrari i costumi, la religione, la collettività, l‟autorità pubblica che sono sacrali perché su di essi si poggia il gruppo sociale), rispetto alle società complesse nelle quali si ha una “criminalità umana” (reati contro la persona, la proprietà, che sono di minor valenza sacrale perché reati commessi da un uomo contro un suo simile). Questa distinzione giustifica la differente entità della reazione sociale e quindi la diversa severità della pena comminata al colpevole (Vezzadini 2012).

La vendetta assume difficoltà esecutorie differenti a seconda dei contesti sociali in cui si esprime: mentre nelle società moderne a solidarietà complessa la punizione, anche se sempre guidata dalla vendetta, è mitigata dalla supposta razionalità del sistema della giustizia e dall‟ipotesi di utilità della pena comminata (così che serva a redimere il reo, correggerlo, e reinserirlo nella collettività), nelle società a solidarietà meccanica, non si arresta fino a che la passione che motiva la vendetta non si esaurisce (Vezzadini 2012).

Questo spiegherebbe l‟accanimento contro il corpo del reo oltre la sua morte, o l‟accanimento verso i suoi familiari.