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Alcune indagini sul Corso di Laurea di Scienze della For mazione Primaria di Milano Bicocca

Percorsi di formazione per gli insegnanti fra teoria e pratica Un percorso lungo tutta la vita

4. Alcune indagini sul Corso di Laurea di Scienze della For mazione Primaria di Milano Bicocca

Rispetto alle questioni sollevate nei paragrafi precedenti sono emersi, inte- ressanti risultati da alcune indagine condotte nell’ambito del Corso di Laurea si Scienze della Formazione Primaria di Milano Bicocca:

− la prima indagine si è focalizzata sulla “Valutazione e Autovalutazione dell’esperienza del tirocinio del corso del vecchio ordinamento (quadrien- nale)” (II, III, IV anno di tirocinio) attraverso l’uso di un questionario;

− la seconda indagine, condotta nell’ambito della Ricerca “Student Voice” (2014/2015) e della Ricerca “Student Teacher’s Voices” ha previsto la som- ministrazione di un questionario a 174 studenti del quarto e 103 studenti del terzo anno del nuovo ordinamento e 94 studenti del quarto anno del vecchio ordinamento quadriennale;

− la terza indagine infine, condotta con i laureati del vecchio ordinamento che ha previsto la realizzazione di 15 interviste semi-strutturate a neo-laureati e 2 focus gruppo ad altrettanti ex-studenti inseriti nel mondo della scuola. Da questo punto di vista, l’indagine si inserisce negli studi sul costrutto di in-

duction, processo che descrive l’iniziazione dei novizi nelle comunità di pra-

tiche professionali, con l’obiettivo di assicurare loro successo e benessere (Langdon, Alexander, Dinsmore e Ryde, 2012).

Più specificamente, i temi indagati trasversalmente in tutte le indagini so- pracitate sono stati:

− la percezione degli studenti rispetto alle proprie capacità professionali in re- lazione all’esperienza del tirocinio e delle altre attività del corso di laurea; − la valutazione degli studenti della formazione ricevuta rispetto alle difficoltà

incontrate nel momento dell’inserimento lavorativo;

− la percezione di insegnanti neo-laureati sulla fase iniziale d’inserimento nel contesto di lavoro (induction).

I risultati emersi concordano con quanto affermato dalla letteratura. Si evince che lo sviluppo della professionalità non può che formarsi nella dialet- tica tra soggettività e oggettività, fra storie individuali e modelli sociali (l’iden- tità desiderata, l’insegnante che vorrei essere). Fondamentale diventa l’intera- zione fra storia individuale e quella collettiva, ossia la relazione fra il soggetto in formazione e una comunità che costituisce uno specchio e un terreno di con- fronto rispetto ai comportamenti assunti, alle pratiche realizzate e alle rappre- sentazioni che ne costituiscono il frame di riferimento. Come afferma Infantino è legittimo ipotizzare che queste percezioni abbiano il valore di esprimere non solo posizioni e opinioni individuali, ma alcune tendenze di pensiero diffuse e consolidate nella cultura comune e condivisa; alludono cioè ai valori e agli as- sunti culturali diffusi e impliciti, di cui si impernia la nostra cultura e in questo senso meritano di essere tenute in grande considerazione. Parlano cioè di quella che Bruner definisce “pedagogia popolare” di un contesto di riferimento.

In questo senso, come già evidenziato precedentemente, le rappresentazioni dei futuri insegnanti e l’interiorizzazione di modelli educativi provenienti dal passato da allievi, non possono non essere considerati nella fase di formazione iniziale.

Nel Corso di Laurea, infatti, diventano oggetto di analisi all’interno dei di- versi insegnamenti, laboratori e nel tirocinio. Sono gli stessi studenti ad eviden- ziare come questo elemento sia fondamentale per la costruzione della loro pro- fessionalità.

Come si evince dalle ricerche relative al teacher change (Floden, 2002), le concezioni degli insegnanti possono essere modificate solo a partire dalle loro pratiche e dalla riflessione su di esse (Guskey, 2002). Da questo punto di vista, la pratica osservativa rappresenta un dispositivo particolarmente efficace per accompagnare l’insegnante in formazione a “partire dalla pratica” (Danielson, 2007). In coerenza con quanto finora analizzato, l’osservazione, inoltre, risulta particolarmente significativa per lo sviluppo della professionalità docente quando mette l’insegnante in una posizione “partecipativa” sia rispetto alle pra- tiche direttamente condotte, sia nei confronti dei rapporti coi pari.

Inoltre, come ampiamente analizzato dalla ricerca nazionale (Mantovani, 1995; Braga, Mauri, Tosi, 1994; D’Ugo, Vannini, 2015) e internazionale (Guer- nsey, Ochshorn, 2011; Paquay et al., 2010), l’osservazione delle azioni dell’in- segnante in classe costituisce uno strumento potente per elaborare un distanzia- mento dalle proprie pratiche, al fine di operare una riflessione sistematica su di esse.

Dalle indagini considerate, infatti, emerge che – man mano che gli studenti procedono nel percorso formativo iniziale – l’utilizzo dell’osservazione deter- mina un passaggio fondamentale nella costruzione della professionalità. Con- fermando un trend comune anche ad altri atenei, l’insegnante passa dal consi- derarsi “osservatore”, idea prevalente nei primi anni di costruzione del tirocinio, a percepirsi come “insegnante ricercatore” che documenta la sua attività, anche attraverso osservazioni, al fine di monitorare i processi e ri-progettare le attività in itinere.

Gli studenti del secondo anno riferiscono di utilizzare protocolli osservativi, registrazioni audio e trascrizioni come strumenti di documentazione dell’atti- vità didattica e strumenti per avere traccia e memoria di quanto detto dai bam- bini.

Per quanto riguarda gli studenti del quarto anno invece la strutturazione delle risposte è maggiore e viene esplicitato un legame tra documentazione e progettazione:

“Mi sono spesso ritrovata a fare cartelloni con le voci dei bambini per rac- cogliere le loro pre-conoscenze (primaria) e partire da lì per progettare”.

“Ho provato a partire dalle loro conoscenze pregresse registrandole per l’at- tività di com-partecipazione”.

Come si vede dagli esempi appena riportati, in alcuni casi si fa riferimento ad una annotazione delle conoscenze pregresse dei bambini, che diventano il punto di partenza per la progettazione dell’azione didattica.

A testimonianza di questo processo di evoluzione dell’utilizzo di strumenti osservativi è significativo riportare le parole di una studentessa laureata, attual- mente insegnante in servizio, che dichiara: “Durante il Tirocinio ho appreso diversi strumenti per l’osservazione, che magari non utilizzo sempre, ma mi hanno permesso di allenare lo sguardo per guardare i bambini nella mia pratica quotidiana”.

L’altro elemento relativo al tirocinio colto dagli studenti, in sintonia con quanto messo in luce dalla ricerca, riguarda appunto la dimensione del gruppo dei pari:

“Uno dei punti di forza del tirocinio è il confronto nel gruppo”; “Il tirocinio mi ha permesso di creare una rete tra pari, alcune mie compagne le sento ancora, adesso siamo tutte insegnanti e spesso ci troviamo per discutere di alcune cose… parliamo tutte la stessa lingua”.

Al momento dell’entrata nella scuola, però, questa dimensione del gruppo e della comunità costituita dal gruppo di tirocinio indiretto, coordinato e supervi- sionato dai tutor coordinatori, viene a mancare; questo crea disorientamento e rischia di provocare quello che le teorie più accreditate definiscono washed up,

ossia la perdita della spinta alla sperimentazione e alla innovazione acquisita durante il percorso universitario, proprio a causa della difficoltà ad integrare

le dimensioni di teoria e pratica denominata “transfer problem” (Korthaghen, Kessels, 1999). Per questa ragione, durante il primo anno di insegnamento si assisterebbe ad un parziale adattamento e appiattimento verso lo status quo delle pratiche “abitudinarie” della scuola (Nigris, 1987), piuttosto che l’appli- cazione e la sperimentazione delle conoscenze più attuali sull’apprendimento e insegnamento ricevute negli anni universitari.

I neo-laureati, evidenziando come sia necessaria la costruzione di relazioni di mutuo-aiuto con i pari (ex-studenti che insegnano) e con la comunità scola- stica (gli insegnanti esperti) per garantire una condivisione di pratiche, che raf- forzi l’identità professionale (Magnoler, 2012).

Anche nel modello multidimensionale di Leuchter (2009) si fa riferimento proprio alla funzione identitaria della comunità (educante o professionale): la condivisione di credenze comuni permette agli individui e ai gruppi di situarsi in un campo sociale. Compatibilmente con sistemi di norme e valori socialmente e storicamente determinati, credenze e conoscenze sono da concepirsi quindi come costruzioni cognitive che consentono ai gruppi sociali di dotarsi di un’identità specifica, condividendo una stessa idea o contrastandone altre, permettono l’ela- borazione di una certa identità sociale e personale (Nigris, Zecca, 2015).

Alcune informazioni ricavate dalle interviste condotte con i tutor che accol- gono i nostri studenti in tirocinio e che collaborano con l’Università di Milano-

Bicocca, ci confermano lo spaesamento e la difficoltà dei neo-laureati nel mo- mento del loro inserimento nel mondo del lavoro, quando non sono sostenuti – appunto – da una comunità di esperti che li accolga e li affianchi.

Questo è vero soprattutto per coloro che non hanno avuto esperienza di in- segnamento prima della Laurea e, in particolare, la difficoltà segnalata consiste nell’incapacità di trovare soluzioni contingenti per affrontare creativamente i problemi e le difficoltà incontrate nella pratica didattica. L’insegnante esperto è visto come colui/colei che affronta con padronanza situazioni complesse, an- che in assenza di linee guida o regole; coglie tutti gli aspetti in forma olistica, utilizza un approccio analitico solo in situazioni nuove, che lo richiedono (Dreyfus, Dreyfus, 1986).

Nonostante tali evidenze, mancano sul piano nazionale politiche di sistema per accompagnare e sostenere l’inserimento dei neo-insegnanti nel mondo del lavoro, ad eccezione del tutoraggio previsto durante l’anno di prova, che pre- cede l’inserimento in ruolo (Cavalli, Argentin, 2010). Solo in questo caso un docente tutor affianca il neo-nominato in ruolo e lo supporta, con la sua espe- rienza, su tematiche di carattere metodologico-didattico, organizzativo e rela- zionale. Il tutor ha una funzione di facilitazione, orientamento e supporto del novizio nell’armonizzare esperienza e formazione iniziale (C.M. 267/91).

Oltre a ciò, è necessario aggiungere il bisogno di formazione evidenziato anche dai tutor accoglienti che ribadiscono la difficoltà dei docenti già in ser- vizio nell’abbandonare vecchi modelli trasmissivi o di attivismo non riflessivo.

La richiesta emergente dal campo è quella di creare una sinergia fra mondi e linguaggi presenti nella scuola, nella formazione (universitaria) e nel lavoro al fine di assegnare significati univoci e facilitare quindi processi di comunica- zione, progettazione e valutazione.

In particolare, la sperimentazione condotta nell’anno scolastico 2014- 2015, rispetto ad un nuovo modello di formazione da proporre nell’anno di prova (coordinata da Cerini, Rossi, Mangoler), messo a regime durante questo anno scolastico (2015-2016), ha fornito una interessante e ricca esperienza in cui si è evidenziata palesemente la necessità di predisporre una formazione sempre più strutturata e pensata sia dei tutor dell’anno di prova, sia dei tutor di tirocinio (tutor accoglienti). I tutor infatti dichiarano di non essere sempre in grado di monitorare le effettive attitudini all’insegnamento dei futuri docenti in tirocinio presso le loro classi, così come di condurre questi ultimi in un percorso di ef- fettivo sviluppo professionale. In alcuni casi, peraltro, sono essi stessi vittime delle “abitudini routinarie” degli insegnanti e quindi finiscono per non costi- tuire esempi virtuosi di didattica innovativa per i tirocinanti e per i novizi.

Queste evidenze hanno reso sempre più urgente una riflessione relativa alla effettiva necessità di collegare la formazione iniziale con la formazione in ser- vizio individuando, come accennavamo in precedenza, “spazi terzi” integrativi

di saperi teorici e pratici (Metcalf, Hammer, Kahlich, 1996; Zeichner, 2010; Mortari, 2010), in grado di delineare nuovi orizzonti per la ricerca e coinvolgere a pieno titolo i pratici in percorsi di riflessione e di analisi delle pratiche (Nigris, 2004; Vinatier, Altet, 2008; Magnoler, 2012).

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