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La scoperta dell’infanzia: una nuova riflessione storiogra fica

Nuove metodologie e linee plurali di ricerca e di interpretazione

1. La scoperta dell’infanzia: una nuova riflessione storiogra fica

Nel panorama storiografico sull’infanzia i contributi sono stati quasi inesi- stenti fino agli anni Sessanta del Novecento, quando Philippe Ariès ha inaugu- rato la ricerca in questo settore, con un saggio pubblicato nel 1960 che rimane fondamentale nella storia dell’infanzia: L’enfant et la vie familiale sous l’an-

cien régime (tradotto in italiano nel 1968) ben presto seguito da Peter Laslett

(1965, tradotto in italiano nel 1973), da Ivy Pinchbeck e Margaret Hewitt (1969), da Lloyd De Mause (1974, tradotto in italiano nel 1983), da Dieter Ri- chter (1987 e tradotto nel 1992) e da Buenaventura Delgado (1998, tradotto in italiano nel 2002).

Anche nel nostro Paese non sono mancati studi in questo settore, anzi si è attivata una vera rivoluzione storiografica, collegata ad una nuova “cultura” dell’infanzia. Ad un primo studio di Ernesto Codignola (1949) che muove da pagine biografiche per definire la stagione infantile, vanno poi menzionate le analisi di Dina Bertoni Jovine, molte legate alle condizioni dell’infanzia al Sud e allo sfruttamento del lavoro minorile (1963, riedito nel 1989), di Egle Becchi, di cui escono numerosi studi (1994, 2011), che danno ai nostri saperi storici e psico-pedagogici sull’infanzia molte nuove conoscenze, da menzionare anche un’opera curata con Dominique Julia in due volumi (1996) e un’altra curata con Angelo Semeraro (2001); di Leonardo Trisciuzzi, che analizza attraverso i diari paterni la nascita del sentimento dell’infanzia (1976), ma anche dà avvio della sua definizione scientifica (1990); come pure vanno ricordate insieme alle mo- nografie incentrate sull’infanzia, anche tutte le analisi riguardanti il rapporto tra storia dell’infanzia e storia dell’educazione, in particolare i saggi riguardanti la relazione genitori figli attraverso un cannocchiale secolare, con saggi di forte interesse culturale di Biagio Lorè (1999), Carlo Pancera (1999) e Giovanni Ge- novesi (1999). Interessante anche il contributo recato da studiosi di scienze

umane e statistiche al tema dell’infanzia da Carlo A. Corsini (1996) a da Gio- vanna Da Molin (1993, 1994).

In circa mezzo secolo in Italia sono usciti numerosi studi attenti all’imma- ginario, con particolare interesse al mito e alla sua rappresentazione, Angela Giallongo (1990), ai rapporti con la società e l’immaginario nella trattatistica pedagogica e in letteratura, Franco Cambi (1988, 2012) e Carmela Covato (2001), alle problematiche inerenti l’abbandono e lo sfruttamento del lavoro minorile, Giulia Di Bello (1989), ai temi della formazione del “principe” e della “materialità” del quotidiano infantile, Monica Ferrari (1996), al versante di ge- nere e alle asimmetrie educative destinate a bambine e adolescenti, Simonetta Ulivieri (1995 e 1999), ai diritti dell’infanzia, Emiliano Macinai (2006 e 2013), all’iconografia sull’infanzia, Laura Vanni (2012); sulle tematiche scolastiche e sulle tappe fondamentali della riflessione psicopedagogica sull’infanzia, An- drea Bobbio (2011, 2013), alle istituzioni educative rivolte all’infanzia e all’e- mergere di un pensiero pedagogico-organizzativo sul vissuto quotidiano dei piccoli, Mariagrazia Contini (2010).

Si tratta di un modello di ricerca sull’età bambina che ha dato luogo a una produzione storiografica e anche con agganci alla contemporaneità, sempre più ampia e raffinata, sia rispetto ai periodi storici analizzati, sia rispetto ai modelli sociali e formativi, sia per le diverse modalità di approccio: archivistiche, let- terarie, diaristiche, trattatistiche, artistico-iconografiche, memorialistiche, bio- grafiche e autobiografiche, fino alla oral history e alla memoria orale. Su questi temi si è anche sviluppata negli anni una forte riflessività storiografica e peda- gogica, con incursioni nelle scienze umane, ma soprattutto nella psicologia, nella sociologia e nella demografia. Sono studi diversi e che muovono da di- verse tipologie d’indagine, ma che presentano proprio per la loro varietà e com- plessità una ricchezza di dati e di conoscenze che collocano la storia dell’infan- zia in un’ottica di ricerca più innovativa e più ricca.

La documentazione che ci rimanda al passato ce ne fa comprendere gli stili di vita e le relazioni; è quindi multiforme e magari un quadro, o una fiaba, o un vecchio dagherrotipo, o un banco di scuola, sono capaci di dirci molte cose sulle reali condizioni dell’infanzia. Ha scritto Lucien Febvre: «La storia si fa, senza dubbio, con documenti scritti, quando ce n’è. Ma si può fare, si deve fare senza documenti scritti, se non esistono. Per mezzo di tutto quello che l’ingegnosità dello storico gli consente di utilizzare […]. Quindi con parole, con segni. Con paesaggi e con mattoni. Con forme di campi e con erbe cattive. Con eclissi lunari e con collari da tiro. Con le ricerche su pietre, eseguite da geologi, e con analisi di spade metalliche, compiute da chimici. In una parola, con tutto quello che, essendo proprio dell’uomo […], esprime l’uomo, significa la presenza, l’attività, i gusti e i modi di essere dell’uomo» (Febvre, 1976, p. 177).

Se come aveva preconizzato Ellen Key (1906), il Novecento sarebbe stato il secolo che avrebbe posto al centro della propria attenzione sociale l’infanzia, at- traverso un forte investimento pedagogico e formativo dei bambini, possiamo dire che in questo secolo, accanto a episodi gravissimi, come l’avvio di milioni di bambini ebrei nei campi di sterminio, o come la morte precoce per fame e malattie di tanti piccoli dei paesi del terzo mondo, tuttavia va riconosciuto che il valore e l’intangibilità dell’infanzia sono emerse alla coscienza delle politiche mondiali (Convenzioni ONU, ruolo dell’Unicef), la società contemporanea ha “scoperto” l’infanzia, in famiglia, a scuola, nella società bambini e bambine sono amati e sempre più fatti oggetti di cure e di custodia, sono tutelati e difesi dalle leggi. Nella nostra società l’infanzia tende anche ad essere oggetto di controllo e viene in certo modo privatizzata, ma il “sentimento dell’infanzia” è sempre più diffuso e sentito, e i mali antichi dello sfruttamento e delle violenze di ogni genere sui corpi bambini non vengono più taciuti; sui comportamenti devianti e irrego- lari verso l’infanzia, la società esige trasparenza, denuncia e chiede condanne esemplari. Gli orchi nascosti tra di noi, sono incredibilmente vicini, sono perso- naggi, spesso stimati o comunque dall’apparenza “normale”, e di cui non si pre- suppongono i lati oscuri e contorti di un loro pseudo-amore per l’infanzia. La violenza sui bambini, nella molteplicità delle forme con cui si esprime, non è uno stadio superato una volta per tutte dall’umanità Alle antiche forme dello sfrutta- mento nella vendita, nella schiavitù e nel lavoro precoce si sono aggiunti altri e più sofisticati sistemi di sopraffazione nello spazio della modernità e della con- temporaneità. Essa si consuma, non di rado, all’interno dello stesso sacrario della famiglia, nelle forme della violenza fisica, ma anche in quelle più impalpabili di una persistente ideologia proprietaria dei figli.

Oggi tuttavia il “pianeta infanzia” vive con nuove regole di trasparenza e di democrazia e possiamo senz’altro affermare che vanno sempre di più diffonden- dosi i “diritti dell’infanzia”, a partire dalle prese di posizione di molti Paesi, come pure attraverso la ratifica della Convenzione ONU del 1989 sull’infanzia. Il fe- nomeno della mortalità infantile nelle società di antico regime era molto rile- vante, come pure quello dell’infanticidio, dell’abbandono, dei gravi incidenti do- mestici. Le varie malattie proprie dell’infanzia erano alla base di un’alta morta- lità; il vaiolo, fino a quando non venne debellato nel corso dell’Ottocento, con l’imposizione della vaccinazione resa obbligatoria dai vari Stati europei, era alla base di una vera ecatombe dei piccoli. Il primo ambito di intervento è stato sicu- ramente il “diritto alla salute” dei bambini, attraverso anche delle azioni sanitarie mirate dello Stato che derivano dal sorgere della pediatria come scienza, colle- gato al diritto al benessere, inteso come insieme di condizioni di vita tali da per- mettere la sopravvivenza dei piccoli, soprattutto nei primi anni di vita, riguardo alle malattie esantematiche, e come possibilità di compiere nella crescita un ade- guato e sano sviluppo psico-fisico. L’altro rilevante intervento, soprattutto anche

questo in base a un deciso impegno dei vari Stati, fu l’intervento in favore del “diritto all’istruzione”, che sorto come lotta contro l’analfabetismo, successiva- mente fu declinato a livello elementare come obbligatorio, estendendosi succes- sivamente alle scuole medie e alle scuole superiori. Il diritto all’istruzione colle- gato alla coeducazione e ai suoi valori di parità, coinvolgerà dapprima in misura maggiore i maschietti finendo per diventare anche momento formativo ed eman- cipativo per le bambine e le ragazze (Ulivieri, 2001).

Il progressivo riconoscimento di diritti specifici dell’infanzia dà conto e in certo modo dimostra le ultime tappe che il mondo degli adulti sta compiendo verso un completo riconoscimento del valore di bambini e bambine. Attraverso l’analisi dei contenuti dei documenti giuridici nazionali ed internazionali pos- siamo tracciare la storia progressiva del riconoscimento dei diritti dell’infanzia, una storia che si identifica pienamente con il XX secolo. Tuttavia esiste una so- stanziale differenza tra come l’adulto evoluto e progressista immagina debba es- sere la condizione infantile, tra cura, gioco, apprendimenti e empatia, e la realtà di abbandono, violenza e degrado in cui vivono realmente milioni di bambini e bambine nel mondo. La storia del nostro tempo, in merito alle condizioni dell’in- fanzia, denota e prospetta un grosso scarto tra il progresso costante da un lato dei diritti dell’infanzia, sia nel diritto che nella condivisa comunicazione sociale, e le situazioni di ordinario sfruttamento, mercificazione e reificazione che d’altro lato costituiscono le “normali” condizioni di sopravvivenza in cui quotidianamente si trovano a vivere bambini e bambine in molte regioni del mondo. Lo scarto sta nel fatto che in molti Paesi del mondo che si riconoscono come socialmente evoluti e pedagogicamente avvertiti, tuttavia le condizioni dell’infanzia continuano nella realtà a essere molto difficili, smentendo di fatto quanto asserito a livello teorico nel diritto e nelle dichiarazioni politiche e umanitarie.

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