Percorsi di formazione per gli insegnanti fra teoria e pratica Un percorso lungo tutta la vita
3. Insegnanti in formazione e in servizio tra innovazione e cambiamento
Adottando la prospettiva di analisi della professionalità insegnante descritta nei paragrafi precedenti, è necessario interrogarsi sulla difficoltà dei docenti, di ogni ordine e grado, di appropriarsi di un modello pratico-riflessivo, abbando- nando quello tecnico-razionalista e, ancora di più quello tradizionale-trasmis- sivo.
La ricerca sociologica e pedagogica, relativa alla professione docente, ha spesso evidenziato le forti resistenze dei docenti all’innovazione e al cambia- mento (per il sistema scolastico italiano si vedano i primi studi di Schizzerotto e Livolsi, Nigris, Demetrio fino ad arrivare alle più recenti ricerche IARD di Cavalli e Argentin). Per quanto riguarda le indagini internazionali sin dai primi studi di Lortie del 1965 e Goodlad del 1984 è stata messa in luce questa resi- stenza al cambiamento del mondo insegnante. Questi studi sottolineano come i
docenti siano fortemente influenzati dalle idee di scuola, di allievi e di inse- gnante precedentemente interiorizzate, nel loro passato da allievi (Saranson, 1971; Nigris, 1988).
A tal proposito in tutti i percorsi di alta formazione e/o universitari per la formazione dei docenti, di tutti gli ordini e grado, si evidenzia il ruolo fonda- mentale delle pre-concezioni nel processo di professionalizzazione (Whal, Weinert, Huber, 1984; Scardamalia, Bereiter, 1989), mostrando le difficoltà dei neo-insegnanti nell’adottare modelli di insegnamento innovativi e di professio- nalizzazione “pratico-riflessiva”.
In particolare, Veenman (1984) ha coniato l’espressione “shock da realtà” per definire il processo secondo il quale i neo-insegnanti, una volta sul campo, abbandonano quanto hanno imparato nella loro precedente esperienza forma- tiva universitaria.
Le maggiori cause volte a spiegare l’avvenire di questo fenomeno sono: 1. Feed-forward problem, ossia la resistenza nell’esporsi a determinati ap- prendimenti in fase di formazione iniziale, per poi lamentarne, una volta in ser- vizio, una scarsa promozione in fase formativa (Bullough, Knowles, Crow, 1991; Katz et al., 1981). Tale processo è dovuto al fatto che, durante gli anni di formazione, gli studenti non percepiscono nelle teorie apprese un supporto co- gnitivo ed emotivo funzionale alla futura pratica didattica.
2. Incapacità di prendere decisioni efficaci in situazioni nelle quali non si ha tempo per pensare (problem finding; problem posing) (Agrati, 2011). La pratica dell’educazione implica infatti, azioni e decisioni che gli insegnanti prendono molto velocemente, così come rapida e immediata è l’interpretazione di quanto sta accadendo nella situazione specifica. Questo modo di procedere è molto differente dalla conoscenza astratta e generale presentata durante la fase di for- mazione iniziale (Korthagen, Kessels, 1999). Tale difficoltà fa riferimento alla condizione di semi-professionalità dell’insegnante, sempre in bilico tra il dover rispondere a indicazioni prescrittive e operare in autonomia, libertà e responsa- bilità (Erdas, 1991).
Peraltro, questi ostacoli sono acutizzati dal fatto che spesso l’inizio della carriera dell’insegnante è caratterizzato da un Turn-over elevato. I neo-docenti si trovano quindi a dover fronteggiare un cambiamento continuo di contesti di- dattici, che non consente il radicarsi di pratiche condivise nella scuola (Ingersoll, Strong, 2011). Non da ultimo, la professione docente presenta alti livelli di at- trito tra insegnanti esperti e novizi. Per tale ragione si parla di un fenomeno di “cannibalizzazione” dei giovani insegnanti.
Come evidenziato, anche in altri contributi (Nigris, 2004) per gli insegnanti non è dunque un compito facile modificare il proprio modo di lavorare. Ogni cambiamento delle pratiche didattiche richiede un’elaborazione degli aspetti socio-affettivi ed emotivi ad esse legati, una rivoluzione dei propri schemi
esplicativi della realtà. Cambiare il proprio modo di stare in classe, di leggere i comportamenti degli allievi, di pensare al processo di apprendimento-insegna- mento richiede una potente ristrutturazione delle proprie concezioni rispetto al ruolo (insegnante e allievo), ai propri compiti e obiettivi e, dunque, alle azioni necessarie per perseguirli.
Per sostenere tali cambiamenti nella pratica degli insegnanti, è necessario, come afferma la studiosa Lafortune (2009), mettere in atto un percorso di ac- compagnamento che «prenda in considerazione e si faccia carico degli aspetti emotivi legati allo spiazzamento/cambiamento che l’innovazione delle pratiche didattiche comporta, al disorientamento che ne deriva e alla tentazione di re- gressione che ad essi è legato».
Rispetto alle modalità con cui i docenti introducono nuove strategie nella progettazione didattica, risulta interessante l’individuazione di due approcci elaborata da Snyder, Bolin e Zumwalt (1992): da un lato il the fidelity approach, secondo cui i docenti applicano le proposte innovative richieste in modo fedele, quasi prescrittivo, senza porsi criticamente di fronte all’innovazione da intro- durre; dall’altro il mutual adoption, cioè la reciproca adozione di criteri condi- visi, che presuppone la negoziazione di punti di vista diversi sul cambiamento, la collaborazione e la condivisione delle responsabilità nell’attuare scelte e nel promuovere i processi di formazione nella scuola.
Per Semeraro (1999) questo secondo approccio della reciproca adozione, risulta essere il più utile per poter sviluppare il cambiamento nella scuola ita- liana, nell’ottica della realizzazione dell’autonomia scolastica, tenendo presenti quattro dimensioni importanti:
a) l’accettazione della complessità che comporta ogni forma di cambiamento e la consapevolezza delle conseguenti, inevitabili difficoltà derivanti non tanto dall’iniziare a praticarlo, ma dal renderlo stabile e soprattutto esteso; b) la disponibilità a ridiscutere e riconfigurare i nuovi obiettivi che la scuola si
deve dare in conseguenza della messa in atto del cambiamento;
c) la qualità, la praticabilità e la condivisione delle strade ipotizzate per realiz- zarlo;
d) il controllo della rilevanza che assume il cambiamento in ogni singolo isti- tuto, aspetto che richiama alla comprensione della necessità del monitorag- gio e della valutazione dell’efficienza dei sistemi scolastici e dell’efficacia dell’istruzione in essi proposta.
Un ulteriore problema da considerare, per comprendere a fondo le difficoltà e le resistenze dei docenti al cambiamento, è l’impatto non rilevante della ri- cerca pedagogico-didattica nella scuola (Dumont, Instance, Benavides, 2010). Già Lumbelli (1984), parlava di difficoltà di comunicazione tra fra “teorici” e “pratici”, fra chi fa ricerca in ambito psicopedagogico e didattico e chi lavora “in trincea”.
In ambito nazionale diversi sono gli autori che hanno problematizzato il rap- porto tra riflessione prodotta dalla ricerca pedagogica e relative ricadute nella prospettiva del lavoro degli operatori scolastici (in particolare dei docenti), tra cui Elio Damiano che, in più occasioni, ha ribadito che la “pratica” non è il momento applicativo della “teoria”, ma un altro processo conoscitivo/opera- tivo, con una sua specificità e un suo valore originario.
Lo stesso Schön (2006) sollecita e promuove il superamento della dicotomia tra “conoscenza forte” (della scienza e del sapere) e “conoscenza debole” (dell’abilità artistica, della pratica e della semplice opinione) affermando come molti dei problemi che preoccupano i ricercatori in ambiente accademico siano ugualmente importanti per i professionisti nel loro ruolo di indagatori riflessivi. Da questo punto di vista, il modello di tirocinio sperimentato in 15 anni di storia del Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria dell’Università di Milano Bicocca può costituire una strada percorribile per sostenere una con- tinua contaminazione tra teoria e pratica, tra mondo accademico e scuola. Infatti, l’inserimento degli studenti in tirocinio nelle diverse scuole permette di: 1. costruire e mantenere un rapporto costante con i dirigenti scolastici, i docenti
e le scuole;
2. individuare con più facilità i bisogni di formazione espressi dai docenti nel corso della loro pratica quotidiana;
3. intercettare le scuole e gli insegnanti più innovativi con cui costruire “un’al- leanza di lavoro” per sostenere i loro sforzi di cambiamento e di contrasto alle resistenze dei colleghi;
4. avviare percorsi di ricerca-formazione significativi e duraturi nel tempo e, più in generale, percorsi di monitoraggio/supervisione, da parte dei forma- tori/ricercatori, su tematiche emergenti “dal campo”.
Lavorare per il rinnovamento della scuola, infatti, richiede sia una cono- scenza del mondo reale delle pratiche degli insegnanti, sia una competenza di ricerca proveniente dal mondo accademico.
In altre parole, secondo l’esperienza del rapporto fra Scuola e Università av- viata nel Corso di Laurea, pensare ad un percorso di formazione per gli insegnanti della scuola dell’infanzia e primaria di “impatto rilevante” (Dumont, Instance, Benavides, 2010), che contribuisca a sostenere i teaching beginners nelle loro difficoltà evidenziate al momento dell’inserimento e, allo stesso tempo, in grado di promuovere lo sviluppo delle competenze professionali dell’insegnante, signi- fica superare la dicotomia tra “teorie” e “pratiche”, tra scienze dell’educazione e discipline (Korthagen, Kessels, 1999; Cochran Smith, Lytle, 1999; Altet, 2010) fra formazione iniziale e formazione in servizio. Come indica la letteratura del settore, nella formazione delle professioni che richiedono una stretta connessione
tra teoria e pratica, l’alternanza è il dispositivo che permette di affrontare la pro- blematica di un apprendimento orientato verso l’agire e l’analisi dell’agire stesso (Schön, 2006; Lenoir, Vanhulle, 2006).
L’obiettivo di creare una ricorsività formativa costante tra teoria e pratica, non viene perseguito solo dall’integrazione fra i diversi momenti della didattica universitaria, ma soprattutto attraverso una feconda partnership fra Scuola e Università per creare, come sostiene Mantovani (2004), una trama fra pensiero e azione, volta a sostenere la costruzione e lo sviluppo dell’identità professio- nale dei futuri docenti.
Si tratta di individuare spazi “terzi” integrativi dei saperi (Metcalf, Hammer, Kahlich, 1996; Zeichner, 2010; Mortari, 2010) di scambio e di sviluppo di re- lazioni fra ricercatori e docenti della scuola.
In particolare, il tirocinio – all’interno dei Corsi di Laurea in Formazione Primaria – ha costituito sicuramente uno “spazio terzo” in cui sperimentare la ricorsività tra teoria-pratica e un rapporto di confronto e reciprocità fra inse- gnanti e ricercatori (pur nella diversità dei ruoli e delle professionalità).
Lo sviluppo professionale, in questa prospettiva, viene interpretato, dunque, come un graduale coinvolgimento nei processi di lavoro, attraverso una respon- sabilizzazione dei soggetti, che diventano protagonisti di un lavoro collabora- tivo all’interno di organizzazioni in continuo apprendimento (comunità di pra- tiche e di apprendimento).
In tal senso, nel Corso di Laurea (Gelati, Kanizsa, 2010; Nigris, Balconi, Zuccoli, 2015), è stata costruita e condivisa, e, viene promossa l’idea d’inse- gnante come “professionista riflessivo” (Schön, 2006), in grado di ragionare sulla e dentro la pratica. Tale riflessione, come afferma Mantovani, deve avve- nire in gruppo. Il Corso di Laurea, infatti, offre la possibilità di partecipare ad esperienze e percorsi di riflessione/formazione che non siano solitari, bensì col- lettivi. Queste esperienze costituiscono la condizione base per la costruzione di «un’identità professionale e culturale solida» (Mantovani, 2004, p. 28).