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Trasformazioni della sensibilità adulta rispetto all’infanzia

Nuove metodologie e linee plurali di ricerca e di interpretazione

2. Trasformazioni della sensibilità adulta rispetto all’infanzia

Il significativo quadro tracciato da Ariès e De Mause fa quindi riferimento al rapporto adulti/bambini, un rapporto declinato come storia di maternità e pa- ternità, forse un po’ enfatizzato sulla paternità e la discendenza maschile, come dimostra bene ad esempio la traduzione del titolo di Ariès, che nell’edizione italiana calca la mano su “padri e figli”, cancellando di fatto le madri e le figlie. Vengono analizzate le relazioni familiari, la storia di una famiglia in trasfor- mazione, composta da diversi gruppi: marito e moglie, genitori e figli, padroni e servi. Una famiglia che da impresa composita mirante alla sopravvivenza di tutti, cambia, si riduce, diventa moderna, nucleare, luogo dove si manifestano relazioni e sentimenti domestici e privati. Un gruppo coeso capace a partire dal

Seicento di organizzare e pianificare la vita dei figli, intervenendo nella loro formazione, nel lavoro.

Un gruppo dove i sentimenti vengono tenuti tra parentesi, proprio perché la durezza e la precarietà dell’esistenza consigliano un tenersi sospesi, senza forti coinvolgimenti. Come ha scritto Leonardo Trisciuzzi: «Il genitore, pur amando il proprio figlio, era sempre in attesa che una delle numerose malattie infantili glielo portasse via... Le donne facevano figli quasi ogni anno... e non ci si aspet- tava che tutti i figli restassero in vita. Pertanto il sentimento di tenerezza verso i cuccioli dell’uomo era quasi tenuto a freno in attesa della sorte o del destino» (Trisciuzzi, 1976, pp. 6-7).

Per definire le condizioni dell’infanzia si guarda con attenzione all’alimen- tazione e all’abbigliamento infantile, al gioco e al giocattolo, al tempo libero e al precoce lavoro infantile, si indaga sulla vita libera di strada in cui vivono i monelli, le violenze fisiche, la dura disciplina scolastica, l’educazione sessuale che da comportamenti liberi e licenziosi, passa a stili più verecondi e controllati.

Da un bambino adultizzato precocemente, che viveva quasi da adulto in mezzo agli adulti, vittima e complice di scherzi e giochi pesanti e grossolani, per noi e per la nostra coscienza, ormai inaccettabili, si passa lentamente ad una definizione diversa dell’infanzia, che ha diritto ad una crescita e ad una cura particolari, che deve essere istruita e non lasciata nell’ignoranza, che deve ap- prendere regole di comportamento e di civiltà in relazione alla vita comunitaria. Si tratta di una forte preoccupazione educativa che a partire dalla Riforma pro- testante e dalla Controriforma cattolica si prenderà cura dell’anima, ma anche dei corpi dei piccoli. Dagli ordini religiosi come i Gesuiti e gli Oratoriani, che si trasformano in ordini di insegnanti, fino ai maestri e alle maestre elementari e ai professori laici dell’Ottocento con l’affermarsi dei sistemi nazionali d’istru- zione, si diffonde l’idea che bambini e poi ragazzi hanno bisogno di un periodo preparatorio alla vita, in cui apprendere e conoscere sono importanti elementi per il loro futuro. La scuola in tutte le sue tipologie diventa il luogo privilegiato di questa nuova “liturgia della conoscenza”, in cui si coltiva la ragione, la ca- pacità di formarsi alla vita per i giovani maschi, considerati la futura classe dirigente. Sistemi rigidi di controllo e disciplinamenti pesanti sicuramente con- traddistinguono questo percorso, che tuttavia è simbolico di un’attenzione all’infanzia, rispetto all’indifferenza di un tempo, dove la formazione era sot- tovalutata e comunque patrimonio di pochissime e ristrette élites.

Il “sentimento dell’infanzia” il suo sorgere e radicarsi è strettamente colle- gato ad un miglioramento delle condizioni di vita dei piccoli. Famiglia e scuola insieme sottraggono l’infanzia ad una vita condivisa con gli adulti, dettano nuove regole che sono morali, ma al tempo stesso migliorative delle condizioni anche materiali dell’infanzia.

Negli ultimi decenni del nostro tempo si è profondamente modificato la sen- sibilità storica e pedagogica rispetto alla prima età, e pedagogisti e storici dell’infanzia sono ben lontani dal poter proporre paradigmi interpretativi esclu- sivi e definitivi. Eventualmente compiendo un bilancio delle ricerche svolte e delle metodologie adottate, gli studiosi dell’infanzia possono garantire e rap- presentare una pluralità di procedure metodologiche, fonti e tracce, approcci e raccordi interdisciplinari, raggiungendo caso mai questa unica certezza, che delle diverse e tante infanzie narrate e rappresentate, come pure delle bambine e bambini veri e reali continuiamo a sapere ancora poco. Come studiosi si è consapevoli che non si ha un quadro definitivo delle vite infantili presenti e passate, ma si possiedono molte per quanto diverse “tracce” del loro passaggio erratico, e la nuova storiografia sull’infanzia, a qualsiasi fonte scritta o orale, iconografica o narrata, a qualsiasi informazione possa far riferimento, non può che aggiungere altre tracce a quelle ormai canoniche, fissate e rubricate, senza pretendere di dare nessuna ricostruzione globale e/o esaustiva. Ed è oltremodo interessante che gli studiosi che più hanno prodotto su tale tema, anche in forme originali e innovative, siano quelli che hanno la più forte convinzione che molto in questo campo ci sia ancora da fare, proprio «per la elusività dell’oggetto di indagine, refrattario ad ogni definizione esaustiva» (Becchi, Semeraro, a cura di, 2001, p. IX).

Gli stessi termini linguistici che in ogni lingua esprimono le figure della prima età, la ricchezza tenera degli appellativi, dei diminutivi e dei vezzeggia- tivi, costituiscono una pista diacronica interpretativa emblematica che ci svela la diversa considerazione di cui ha goduto l’infanzia nei tempi e negli spazi di differenti culture e civiltà. Alcuni esempi: nel nostro sistema giuridico il bam- bino è ancora un “minore”, e inoltre la prima scuola per l’infanzia a lungo è stata denominata come “materna”, e in parte ancora oggi in alcune realtà con- tinua ad essere vista in funzione del ruolo di maternage e di cura svolto dalle insegnanti, anziché porre in un ruolo centrale lo sviluppo e l’autonomia dei pic- coli. Attualmente le ricerche svolte suggeriscono alcuni punti precisi su cui tra gli studiosi si notano alcune convergenze. Comune e diffusa è ad esempio la consapevolezza che stabilire la durata del “tempo dell’infanzia” è compito dif- ficile e che costituisce un aspetto ineliminabile della fugacità e precarietà delle sue condizioni di vita; che per acquisire nuovi dati e determinazioni, occorre non solo introdursi nei luoghi e nei tempi tradizionalmente deputati all’infanzia attraverso l’educazione formale e non formale: la famiglia e il gruppo parentale, la scuola, le diverse istituzioni (educative, rieducative, speciali, del tempo li- bero) dove i destini familiari, gli obblighi scolastici, le necessità sociali avviano i bambini verso sorti e contesti disuguali, ma è anche necessario scoprire altri luoghi e spazi dell’informale educativo: le soffitte, le cantine, le strade, punti di incontro e anfratti nascosti, che risultano essere i luoghi magici di una infanzia

che vive e si confronta quotidianamente più con i coetanei che con gli adulti, e dove i bambini sono passati lasciando tracce che ancora oggi fanno parte dei nostri ricordi e/o del nostro immaginario.

Attraverso queste avventure della ricerca, lo storico dell’infanzia, che elegge a soggetto di ricostruzione diacronica il bambino, costituzionalmente incapace di produrre parola, scrittura, beni economicamente vantaggiosi, deve confron- tarsi con una ricerca interdisciplinare e dialettica, compiendo passi incrociati con specialisti di altre discipline che in qualche modo incontrano nelle loro ri- cerche, di sghembo, a latere, il soggetto infantile. Lavorare quindi non solo con studiosi di altri soggetti marginali: donne, anziani e altre figure socialmente ai margini, ma allargare lo sguardo anche ai fenomeni artistici, religiosi, folklori- stici, e raccordarsi con competenti studiosi di altre discipline: antropologi, eco- nomisti, demografi, archeologi, sociologi, psicologi, cui chiedere e proporre punti di vista e modalità di lavoro sul “pianeta infanzia”. Qui la storiografia dell’infanzia può con un lavoro condiviso mostrare la sua promettente ric- chezza, la potenzialità di edificazione di capitali di testimonianze e di solleci- tazioni, mettendo a punto tecniche e metodologie nuove di indagine.

3. Scrittura, narrazione e iconografia, modalità diverse di rap-

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