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L’infanzia nella cultura dei diritt

Pedagogia e diritti dei bambin

2. L’infanzia nella cultura dei diritt

Sul piano strettamente giuridico, il processo internazionale di definizione dei diritti dell’infanzia prende avvio nel 1922 con il progetto di dichiarazione ideato dalla Save the Children International Union, che due anni dopo la sua pubblicazione in forma di manifesto, si concretizza nella Dichiarazione di Gi- nevra sui diritti del fanciullo, ratificata dalla Società delle nazioni nel 19244.

Siamo in una prima fase ancora caratterizzata da una visione per così dire ottocentesca dell’infanzia, incentrata nell’ottica del soccorso e della salvezza dalla sofferenza, che governi e istituzioni pubbliche sostanzialmente recepiscono dalla filantropia, come hanno mostrato in particolare gli studi di Hugh Cunnin- gham (2014, p. 137) sulla storia dell’infanzia durante l’età contemporanea.

In tale ottica, il bambino riesce ad emergere solo come “oggetto” di atten- zione, bisognoso di tutela e protezione in quanto costitutivamente incompleto, mentre le emergenze legate alle condizioni di vita dell’infanzia sono interpretate come vere e proprie piaghe sociali e, conseguentemente, l’articolazione dei diritti in questa fase risulta totalmente assorbita da quella che oggi indicheremmo come la dimensione della protezione (Protection) (Verhellen, 2008, pp. 61-62).

Eppure, gli anni Venti sono un periodo interessantissimo per chi studi la storia dei diritti dei bambini. Oltre al manifesto già citato, infatti si contano diversi altri documenti che, pur non arrivando mai a diventare ufficiali, antici- pano molte questioni affrontate solo in anni più recenti.

Ci sono almeno tre proposte di dichiarazione che vale la pena recuperare per capire il clima di quel periodo: una dichiarazione del Prolet’kult di Mosca del 1918, una dell’International Council of Women del 1922 e una dell’Unione in- ternazionale delle organizzazioni giovanili socialiste dello stesso anno (Maci- nai, 2013, pp. 107-112). Ma oltre a questo, vi è l’emergere di una cultura dei diritti dei bambini che comincia a circolare soprattutto grazie ai contributi teo- rici e operativi di pedagogisti ed educatori, su cui tornerò più avanti, che darà i suoi frutti decenni più tardi.

La fase più matura dei diritti dell’infanzia si apre in seguito all’approvazione della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 (UDHR) e si concre- tizza nel corso dei dieci anni che conducono alla difficoltosa Dichiarazione di New York sui diritti del bambino del 1959. Già nel 1950, la Temporary Social Commission delle Nazioni Unite ha concluso i lavori su un primo draft di di- chiarazione. Il documento passa al vaglio della Commission on Human Rights

4 Per approndimenti, cfr. Macinai, E. (2016), L’idea dell’infanzia agli albori della cultura dei

diritti dei bambini, in Traverso, A. (2016, a cura di), Bambini pensati, infanzie vissute, Edizioni ETS, Pisa, pp. 125-139.

nel 1951 che però non lo considera fino al 1957: i lavori riguardanti i due Co- venants legati alla UDHR hanno la precedenza. La Commissione invia nel 1959 una seconda bozza di dichiarazione all’ECOSOC (Economic and Social Coun- cil) nel 1959, che lo adotta inviandolo all’approvazione unanime dell’Assem- blea Generale il 20 novembre dello stesso anno5.

Si tratta di un passaggio fondamentale, in cui al bambino viene riconosciuta finalmente la piena dignità umana, attraverso l’estensione all’infanzia del prin- cipio di non-discriminazione, e si pongono le prime basi per l’attribuzione dello

status di cittadino, attraverso il riconoscimento del diritto al nome e alla nazio-

nalità, anche se ancora manca un esplicito riferimento alla capacità giuridica del bambino.

Altre carenze di contenuto, come quelle riguardanti il pieno riconoscimento dei diritti sociali ed economici si devono invece al clima di forte contrapposi- zione ideologica che caratterizza il dialogo sui diritti umani in generale, con due blocchi contrapposti che esprimono visioni inconciliabili tra diritti di libertà e diritti di protezione6.

Ciò non impedirà, comunque, la piena inclusione dei bambini nel discorso riguardante i diritti umani fondamentali nell’ultimo quarto del Novecento, una volta temperata la lettura rigidamente giuspositivista in favore di una nozione più debole dei diritti, reinterpretata attraverso una forma di relativismo storico sostenuta in modo convincente da Norberto Bobbio, e su cui convergono, pur da posizioni diverse tra loro, anche altri teorici del diritto, come Luigi Ferrajoli, Antonio Cassese, Luigi Bonanate e Roberto Papini, e che anche storici dei di- ritti come Marcello Flores e Alessandra Facchi hanno ricostruito7.

È questa reinterpretazione che permette di collegare in maniera diretta il contenuto dei diritti ai bisogni specifici dei diversi soggetti umani, espressi in un determinato momento storico, in un preciso contesto sociale e culturale, a

5 Per approfondimenti, cfr. Office of the United Nations High Commissioner for Human Rights

(2007), Legislative History of the Convention on the Rights of the Child, United Nations, New York and Geneva, pp. 4-25.

6 Cfr. ibidem.

7 Il tema è stato affrontato in maniera più approfondita in Macinai, E. (2015), Diritti umani. Fon-

damento e orizzonte dell’educazione interculturale, in Catarci, M., Macinai, E. (2015, a cura di), Le parole-chiave della pedagogia interculturale. Temi e problemi nella società multiculturale, Edizioni ETS, Pisa, pp. 13-30. Per quanto riguarda gli autori citati, in particolare cfr. Bobbio, N. (1990), L’età dei diritti, Einaudi, Torino; Ferrajoli, L. (2008), Diritti fondamentali. Un dibattito teorico, Laterza, Roma-Bari; Cassese, A. (1988), I diritti umani nel mondo contemporaneo, La- terza, Roma-Bari; Bonanate, L., Papini, R. (2008, a cura di), Dialogo interculturale e diritti umani, il Mulino, Bologna; Flores, M. (2007), Storia dei diritti umani, il Mulino, Bologna; Fac- chi, A. (2007), Breve storia dei diritti umani, il Mulino, Bologna.

partire da condizioni esistenziali irriducibili all’astrattezza dei modelli ideali e universali.

Prende cioè avvio quel processo di individualizzazione dei diritti che è il risultato dell’elaborazione di una versione mite del diritto, per usare l’espres- sione coniata da Gustavo Zagrebelsky (1992)8.

La validità dei diritti non è data dalla possibilità di una loro codificazione in un complesso di norme positive universalmente efficaci, quanto dal richiamo a principi solo potenzialmente universali ai quali la norma, che è sempre e conti- nuamente negoziabile, rimanda.

L’efficacia del diritto non è più quindi una risultante diretta dell’applica- zione della norma vigente, in assoluto coercitiva, quanto piuttosto della pun- tuale interpretazione di essa in rapporto alle particolari condizioni storiche e soggettive degli individui cui i diritti si riferiscono.

Tali principi sono quelli posti a fondamento della democrazia costituzionale stessa, e possono essere indicati attraverso il richiamo ai due valori fondamen- tali per Zagrebelsky, della libertà e della giustizia; a loro volta articolati, per così dire, e seguendo Gustavo Peces Barba (1994; 1995), in autonomia e sicu- rezza, da un lato, equità e solidarietà, dall’altro. In estrema sintesi, possiamo sostenere che l’orizzonte entro cui avviene la negoziazione dei contenuti dei diritti fondamentali stia racchiuso dentro la cornice dialettica posta da questi valori.

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