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Storia dell’infanzia e diritti dei bambin

Cultura dell’infanzia, diritti e pedagogia dell’infanzia

1. Storia dell’infanzia e diritti dei bambin

L’affermazione dei diritti dell’infanzia ha una lunga storia, che, come spesso accade, non fu lineare né, ancora oggi, appare giunta a pieno compimento: una storia densa di contraddizioni, di sofferenza, di ignoranza ma pure una storia che vanta luminose figure, più o meno note, e affascinanti percorsi. La storiografia sull’infanzia, dal pionieristico lavoro di Ariès (1960), ha ormai consegnato studi fondamentali, che hanno consentito di superare il pur fondamentale lavoro dello storico francese, allargando lo sguardo all’Europa protestante, all’età medievale, alle bambine e a fonti nuove (cfr. almeno Becchi, 1994; Becchi, 1996; Ulivieri, 1999; Heywood, 2001; Foyster, Marten, 2010; Covato, Ulivieri, 2001; Fass, 2013). Senza qui addentrarci in tale dibattito, preme ricordare come, se le affer- mazioni di Ariès sulla mancanza di un sentimento dell’infanzia prima del XVII secolo siano ora più sfumate, e se siamo a conoscenza dei fenomeni religiosi che sia in terre cattoliche che protestanti, in età moderna, dedicavano particolare at- tenzione e rispetto ai bambini, è nel secolo dei Lumi che si afferma e si diffonde, nei ceti alti, una nuova concezione dell’infanzia, a partire dalla provocatoria af- fermazione di Rousseau nell’Emilio, secondo la quale: «L’infanzia non è cono- sciuta, ha modi di vedere, pensare, sentire che sono suoi propri».

Se il Settecento è stato definito il secolo della pedagogia (Herrmann, 1981) per l’attenzione riservata al bambino da pedagogisti, medici e filantropi, l’Ot- tocento è stato chiamato il secolo della scuola, perché durante quei cento anni via via gli Stati europei hanno introdotto l’obbligo scolastico e la formazione dei maestri e si sono fatti carico dell’istruzione secondaria, secondo un processo che, con tempi e modalità diverse, ha comunque inciso in modo notevole sulla vita di un crescente numero di bambini e bambine. La visione romantica del bambino come essere puro e innocente; la lenta affermazione accademica della pedagogia, via via presente negli atenei europei; la volontà dei governi di to- gliere alle chiese il controllo dell’educazione dei piccoli per educarli già a scuola ad essere cittadini onesti, laboriosi e patrioti: tutto ciò favorì nel XIX

secolo lo sviluppo non solo quantitativo delle scuole popolari, ma anche il gra- duale miglioramento della preparazione dei maestri, pur permanendo forti dif- ferenze tra città e campagna e tra diverse aree europee (Németh, Skiera, 2012).

Al contempo, si registrarono i progressi della medicina e dell’igiene pubblica e il forte impegno per la tutela della salute dei bambini da parte della medicina sociale, spesso di connotazione positivistica o massonica, che condusse campa- gne di divulgazione scientifica e che vide suoi esponenti impegnati anche nelle amministrazioni pubbliche. Nonostante gli indubbi progressi, alle soglie del No- vecento ancora un quarto dei nati moriva prima di raggiungere i 12 mesi di età. Il 45% dei fanciulli moriva prima della pubertà (Meckel, 2010, p. 168). Le poli- tiche di tutela della salute dell’infanzia e di prevenzione (vaccinazioni, alimenta- zione, regolamentazione del lavoro minorile, colonie marine, etc.) furono portate avanti con successo nel Novecento, sino ad abbattere in Europa la mortalità e la morbilità infantile. La creazione di strutture pediatriche, dall’Hôpital des Enfants

malades aperto a Parigi nel 1802, si diffuse via via nell’Ottocento, attestando

l’avvenuto riconoscimento anche in medicina della diversità del bambino, che soffre di patologie specifiche. Pedagogia e medicina osservavano con occhi at- tenti i bambini, scoprendone le caratteristiche peculiari e proponendo strategie per migliorarne la crescita e l’apprendimento; ma nell’Ottocento l’investimento politico era ancora scarso, anche per ragioni economiche, e orientato a una assi- stenza limitata: le chiese, protestanti e cattolica, sopperivano ai campi lasciati troppo spesso ancora vuoti dallo Stato, quali l’assistenza ai bambini disabili, alle fanciulle pericolanti, alle famiglie in povertà. I fanciulli devianti o delinquenti erano rinchiusi in istituti che poco avevano di educativo e molto di carcerario (Cambi, Ulivieri, 1988; Nuti 1992; Dupont-Bouchat, Pierre, 2001).

Anche la chiusura delle ruote, ove si depositavano i lattanti abbandonati, avvenne non tanto per la tutela dei bambini, quanto per il decoro della famiglia: nati per salvare i piccoli concepiti fuori dal matrimonio e per proteggere l’onore delle madri nubili, i brefotrofi europei nel corso dell’Ottocento accolsero in nu- mero crescente figli legittimi, che le famiglie, mononucleari in città, non riu- scivano a crescere – significativamente, le famiglie abbandonavano non i primi figli nati, ma dal terzogenito in poi (Hunecke, 1987). Agli occhi della famiglia borghese l’abbandono di un figlio legittimo appariva immorale e intollerabile, ma la chiusura delle ruote (decisa nel 1853 in Francia; in Italia avviata nel 1867 a Ferrara, seguita nel 1868 da Milano e Como, nel 1869 da Torino, nel 1872 da Roma e via via da altre città) non si accompagnò ad una legge che tutelasse la maternità né che sostenesse le famiglie povere numerose. I nidi per i bimbi pic- coli erano una realtà a fine secolo diffusa in Europa, ma in modo insufficiente rispetto al bisogno e a carico totale della filantropia privata (Caroli, 2014). Per le madri nubili restò la possibilità di abbandonare il figlio: il legislatore si cu-

rava più del loro onore, che del legame parentale da preservare. Ancora igno- rate, a distanza di un secolo, erano le lucide parole di Pestalozzi su come aiutare le madri di figli illegittimi (Pestolozzi, 1999). Alle soglie del nuovo secolo ma soprattutto nel corso del Novecento, sulla spinta proveniente dalla medicina so- ciale, si registrarono in Europa campagne per la tutela della salute dei bambini e delle madri: prime forme di protezione della maternità, riduzione delle ore di lavoro, scuole all’aperto, campagne contro il rachitismo, mense scolastiche e via dicendo (Lewis, 1980; Gijswijt-Hofstra, Marland, 2003; Guarnieri, 2004; Cunningham, 2012).

Il welfare per l’infanzia si sviluppò gradualmente nel Novecento, quando gli Stati dedicarono ai bambini maggiori attenzioni, non solo mediche e scolasti- che. La protezione dell’infanzia si inseriva nella cultura pedagogica dell’attivi- smo e delle Scuole nuove, ma ebbe a scontrarsi con le guerre mondiali e le politiche totalitarie. Il massiccio investimento sui giovani effettuato dai regimi totalitari rispondeva a interessi dello Stato-partito, che potevano coincidere con un maggior benessere dei ragazzi (colonie estive, sport, ginnastica), ma che ir- reggimentavano l’infanzia e la gioventù in strutture, dall’ONB alla Hitler-Ju- gend, con una fortissima struttura ideologica (Betti, 1984; Schleimer, 2004; Horn, 2011). La crescente ingerenza statale nella famiglia e nell’educazione dell’infanzia, sin dai primi anni di vita e poi nella scuola come nell’extra- scuola, in URSS come nei regimi totalitari fascisti, segnò un climax. I bambini erano oggetto e non soggetto delle politiche statali. Anche quando tali politiche si mossero avendo per obiettivo lo sviluppo dell’autonomia dei bambini, come nelle Svezia degli anni Settanta e Ottanta del Novecento, ove si promosse un simile programma di educazione della prima e seconda infanzia, non furono i bambini o le famiglie a esprimere i loro bisogni, ma fu lo Stato che se ne fece interprete (Schmidt, 2013, p. 186).

È stato sottolineato, in sede storica, come il crescente interesse degli Stati verso l’infanzia, nel corso del XX secolo, nascesse da un lato dalla consapevo- lezza del bisogno di protezione di cui necessitano i bambini, dall’altra però ma- scherasse spesso una volontà di controllo, presente anche nei regimi democra- tici, cui si contrapposero negli anni Settanta e Ottanta soprattutto quanti invece riconoscevano al bambino il diritto all’autodeterminazione (Schmidt, 2013).

Il secolo dei bambini, in sostanza, presenta luci ed ombre, che ancora si proiettano sul XXI secolo.

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