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Alcune limitate innovazion

Ugo De Siervo

2. Alcune limitate innovazion

Le stesse poche e sommarie disposizioni in tema di diritti e doveri dei cittadini (denominati pure “regnicoli”, ma che la premessa allo Statuto ap- pella ancora come “amatissimi sudditi”) non solo non sono collocate in apertura dello Statuto, come, invece, nelle Carte francesi, ma dopo un bloc- co di disposizioni relative al Monarca ed alla sua famiglia (artt. 11/23). Soprattutto queste disposizioni in materia di libertà sono assai generiche e molto poco garantiste, dal momento che rinviano in pratica la delimitazione delle situazioni da tutelare al mero volere del legislatore ordinario (e ciò a differenza del diritto di proprietà, che si cerca di garantire assai più precisa- mente). Inoltre alcune libertà non sono neppure individuate: si pensi, oltre a tutte quelle associative, alla libertà di circolazione, di corrispondenza, di partecipazione politica, per non parlare del diritto di sciopero e della inam- missibilità anche da parte del legislatore di prevedere alcuni trattamenti dif- ferenziati per i cittadini.

D’altra parte è del tutto pacifi co che le disposizioni statutarie non sono dotate di posizione di primato sull’attività normativa ordinaria e che non esiste alcuna possibilità di un controllo di costituzionalità sulla volontà del legislatore22.

Potrebbe darsi che la manifesta delusione che si registrò a livello di pub- blica opinione dopo la pubblicazione dello Statuto23 fosse anche dovuta alla

comparazione di queste disposizioni, piene di limiti e di rinvii al legislatore, con la essenziale affermazione dell’art. 12 del Proclama, secondo la quale lo Statuto avrebbe garantito “la libertà individuale”.

Ma certo la caratteristica più tipica dello Statuto era costituita dalla ster- minata elencazione dei poteri del Sovrano a bilanciamento del temutissimo peso politico della Camera dei deputati: gli artt. dal 3 al 10, l’art. 33 e l’art. 65 concentrano nel Sovrano tutto il potere esecutivo e una parte determinante dello stesso potere legislativo, per di più dichiarandolo esente da responsa- bilità, a cui vanno, invece, incontro i suoi Ministri. Fra questi poteri quello della nomina, largamente discrezionale, dei Senatori entro le 21 categorie dell’art. 33, denotava la conferma (analogamente che in Francia e diversa-

22. Da ultimo, si veda M. Fioravanti, Principio di sovranità e rigidità della Costituzione: dallo Statuto alla Costituzione repubblicana, in Un secolo per la Costituzione, cit., pp. 75 ss.

mente che in Belgio) di quest’organo come lo strumento fondamentale per bilanciare le eventuali eccessive spinte della temuta Camera rappresentativa. Quanto a quest’ultimo organo, la scelta originaria contenuta nel proclama era nel senso della sua composizione “sulla base del censo”, analogamente a quanto previsto nelle due Carte francesi, mentre invece l’art. 39 dello Statuto ha rinviato alla legge la determinazione dei requisiti per l’elettorato, proba- bilmente per la diffi coltà di prevedere in Statuto l’ammontare della soglia e le, pur limitate, eccezioni a vantaggio di alcune categorie professionali. La successiva legge elettorale (R. Editto 17/3/1848 n.680: si ricordi che lo Statuto entrò in vigore solo l’8 maggio 1848) fi ssò prevalenti requisiti di tipo censitario che nel loro complesso ammisero al voto poco più di 80.000 citta- dini, all’incirca pari all’1,9 % della popolazione24.

Da più parti si è giustamente notato come lo Statuto appaia particolar- mente sommario, rispetto alle altre Costituzioni di riferimento, in vari settori, con ciò quindi lasciando maggiore libertà al Sovrano ed al legislatore.

Alcune mancanze particolarmente serie di disciplina, comuni a tutto que- sto gruppo di Costituzioni, riguardano in particolare la produzione legislativa in situazioni di necessità e di urgenza o durante periodi bellici o comunque di emergenza: qui evidentemente fu ritenuto decisivo il riconoscimento impli- cito alla Monarchia e al suo Governo di un illimitato mandato a tutela degli interessi supremi del paese, mentre la mancanza di rigidità costituzionale non permetteva che si potesse dubitare della legittimità di atti governativi con forza di legge o della possibilità di leggi di approvazione di atti normati- vi del Governo o di generica delega legislativa al Governo. Come ben noto, attraverso fonti di questo tipo, equiparate alle leggi, si è molto largamente legiferato (superando in modo assolutamente palese ogni limite di necessità ed urgenza) specialmente nei primi decenni di applicazione dello Statuto Albertino, così approvando le più diverse riforme legislative per il Regno di Sardegna25 e poi per il Regno d’Italia26, ivi compresi perfi no i codici ed testi

fondamentali dell’ organizzazione dello Stato. Né si dimentichi l’abnorme sviluppo della decretazione d’urgenza da parte dei Governi (basti qui ricor- dare il migliaio di decreti legge adottati durante il periodo della prima guerra mondiale).

24. Per tutti cfr. R. Martucci, op. cit., pp. 84 ss.

25. Utilizzando prevalentemente il conferimento dei cosiddetti “pieni poteri”.

26. Basti ricordare le due brevissime leggi (rispettivamente la legge n. 2215 «per l’unifi ca- zione legislativa del Regno d’Italia» e la legge n. 2248 «per l’unifi cazione amministrativa del Regno d’Italia») che autorizzarono l’adozione dei tanti ed enormi testi legislativi ivi elencati, che erano stati presentati in Parlamento ma non approvati dall’organo legislativo. In tal modo – come ben noto – furono adottati non solo i Codici (civile, di procedura civile, di commercio, della marina mercantile, di procedura penale, penale), ma anche le leggi sull’ordinamento giudiziario, sull’espropriazione per pubblica utilità, per la tutela della proprietà letteraria ed artistica, sull’amministrazione comunale e provinciale, sulla pubblica sicurezza, sulla sanità pubblica, sul Consiglio di Stato, sul contenzioso amministrativo, sulle opere pubbliche.

Vorrei ricordare fra le moltissime disapplicazioni dello Statuto soltanto una minima, ma fortemente simbolica: Reali Proclami del 23 marzo e dell’11 aprile 1848 determinarono come bandiera nazionale il Tricolore, malgrado che l’art. 77 dello Statuto, adottato pochi giorni prima, si riferisse ad una diversa bandiera.

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