Ugo De Siervo
1. L’ elaborazione dello Statuto
Come ben noto, lo Statuto albertino viene adottato in un eccezionale con- testo politico e militare, molto complesso, diffi cile e pericoloso: se il 1848 è in Europa ed anche negli Stati italiani un anno di eccezionali eventi politici ed in particolare è caratterizzato dalla richiesta in molti Stati italiani che ven- gano adottate Costituzioni liberali, poche settimane dopo la concessione del- lo Statuto il Regno di Sardegna entrerà in guerra contro l’impero austriaco.
Lo Statuto appare ed è in realtà una Costituzione “ottriata” e cioè conces- sa da un Sovrano, che fi no ad allora deteneva tutti i poteri pubblicistici nel suo Stato: nel parlare di concessione dello Statuto non mi riferisco soltanto alla stessa esplicita affermazione in tal senso che è contenuta nella premessa allo Statuto («prendendo unicamente consiglio dagli impulsi del nostro cuo- re»), ma a tutte le innumerevoli conferme che si possono agevolmente trarre dalle fasi di elaborazione di questo testo, nonché da larga parte dei suoi stessi contenuti.
La lettura dei verbali delle sedute dei Consigli di Conferenza1 dal 17 gen-
naio al 4 marzo 1848 (fra queste solo la decisiva seduta del 7 febbraio si caratterizzò per la partecipazione, oltre che dei Ministri, di un gruppo qua- lifi cato di collaboratori di fi ducia di Carlo Alberto di Savoia2) rende palese
1. Per il testo dei verbali ho utilizzato il volume Lo Statuto Albertino illustrato dai lavori preparatori, a cura di L. Ciaurro, Dipartimento per l’informazione e l’editoria, Roma, 1996.
2. Una utile identifi cazione dei sette Ministri che ne erano componenti ordinari e degli altri dieci partecipanti alla seduta del 7 febbraio è in P. Colombo, Con lealtà di Re e con affetto
che vi è una grande preoccupazione nel Sovrano e nei suoi più stretti colla- boratori, che temono, nel turbato quadro internazionale (i cosiddetti “fatti di Napoli” e le diffi coltà che si registrano anche in Toscana e nel Regno della Chiesa proprio in riferimento ai tentativi di nuove Costituzioni), che possa- no trovare alimento le analoghe spinte interne al Regno di Sardegna, specie nelle città di Genova e di Torino, sotto la spinta del movimento mazziniano e del temuto ambiente dei direttori dei giornali liberali. Non a caso, nella seduta del 17 gennaio ci si pone il problema se il fatto di aver chiesto a Sua Maestà da parte dell’avv. Brofferio «l’istituzione di un regime costituziona- le» possa costituire «un complotto nel senso previsto dal Codice Penale»; addirittura il sette febbraio ci si scandalizza per un blando e rispettosissimo documento del Consiglio comunale di Torino, che auspicava la concessione solo di indeterminate forme di rappresentanza ad integrazione del potere re- gio, di cui peraltro si esaltava il valore3. Questo senza considerare la presenza
nei verbali dei Consigli di conferenza di vari duri giudizi relativamente ad ogni forma di dissenso politico, inteso come grave minaccia politica, dagli «assembramenti» agli eccessi della stampa; d’altra parte se il Conte Borrelli, Ministro dell’Interno, inizia il Consiglio del 3 febbraio riferendosi anche al «lavoro delle sette» e alla «grande eccitazione della stampa», lo stesso So- vrano, al termine della pur decisiva riunione del 7 febbraio, fa riferimento al «governo occulto che esercita da qualche tempo una infl uenza così grande in tutto il paese» e agli «istigatori del disordine»4 .
La accelerazione derivante dalle vicende napoletane impone che, seppu- re «con dolore», si pigli atto che «una forma rappresentativa di governo» vada concessa, seppure «con la maggiore dignità possibile per la Corona, con il minor male possibile per il paese». Bisogna «darla, non lasciarsela imporre…»5. Dinanzi al rischio di una «tempesta» o di una «sommossa», le
conclusioni di Borelli, largamente condivise dai presenti, sono che la «la Co- stituzione è senza dubbio una disgrazia, ma si è arrivati al punto di scegliere il male minore»6.
In realtà la seduta del 3 febbraio del Consiglio di Conferenza appare ca- ratterizzata dalla corale approvazione, malgrado gli iniziali scetticismi e tutte le valutazioni polemiche, della scelta del Sovrano di adottare rapidamente un testo costituzionale, defi nito in quell’occasione dal Ministro degli esteri come «capace di tutelare la dignità sovrana, l’autorità reale e la tranquillità del paese»7. Anzi, già in quell’occasione il Sovrano, se ammonisce di evitare
di padre. Torino 4 marzo 1848: la concessione dello Statuto albertino, il Mulino, Bologna, 2003, pp. 56 ss.
3. P. Colombo, op. cit., pp. 74, e 87 s. Si può leggere il testo del documento torinese in Lo Statuto albertino e la sua preparazione, a cura di G. Falco, Capriotti, Roma, 1945, pp. 99 ss.
4. Lo Statuto Albertino illustrato dai lavori preparatori, cit. pp. 113 e 143. 5. Conte Borelli, 3 febbraio 1848, Lo Statuto Albertino illustrato, cit., pp. 113 s. 6. Conte Borelli , 3 febbraio 1848, Lo Statuto Albertino illustrato, cit., p. 119. 7. Conte di San Marzano, 3 febbraio 1848, Lo Statuto Albertino illustrato, cit., p. 117.
le imitazioni «in modo servile» delle altre Costituzioni, indica però esplicita- mente come Costituzione a cui ispirarsi la Costituzione francese8.
In effetti la successiva e decisiva riunione del 7 febbraio, che vede la straordinaria partecipazione di autorevoli notabili, oltre che dei Ministri, vede inizialmente riemergere fra i nuovi componenti e fra gli stessi Mini- stri, non poche perplessità od ostilità9, ma ormai è palese che la decisione è
stata sostanzialmente assunta, seppure con moltissime espressioni critiche e previsioni pessimistiche, perfi no tramite colloqui diretti fra il Sovrano e sin- goli componenti del collegio, tanto che il Ministro dell’Interno verso la fi ne della lunga riunione passa a leggere gli «articoli della dichiarazione che il Gabinetto proporrebbe di pubblicare per annunciare le basi dello Statuto fon- damentale di un Governo rappresentativo da stabilire negli Stati del Re»10.
Immediatamente dopo si passa ad un rapido esame di quelli che saranno i contenuti del Proclama costituzionale, il cui testo iniziale era stato evidente- mente già redatto11.
Nel merito delle scelte da operare si conferma anzitutto che si ricercava un’innovazione chiaramente conservatrice del peso del Monarca, quindi sce- gliendo «la più monarchica» delle Costituzioni e «conservando alla Corona la più ampia autorità compatibile con il sistema rappresentativo»12.
Sul piano dei modelli stranieri a cui ispirarsi, al di là di diffuse ripeti- zioni di «non imitare in modo servile» le norme delle altre nazioni, o di non copiarle, seppur attingendo «le basi nelle altre costituzioni»13, appare
decisamente prevalente ed esplicita l’opzione dell’opportunità di ispirarsi al recente costituzionalismo francese14, fi no ad affermare l’opportunità della
adozione «in linea di massima, della Costituzione francese, salvo le modi- fi cazioni che si potranno riconoscere convenienti sotto gli aspetti religiosi e nell’interesse del principio monarchico»15. Su questi due temi particolari in
realtà lo Statuto albertino conterrà qualcosa di più e di diverso dalle Costi-
8. Sua Maestà, 3 febbraio 1848, Lo Statuto Albertino illustrato, cit., p. 121.
9. Si vedano, ad esempio, le opinioni del Ministro Conte Broglia o dei Conti Pralormo e de la Tour, 7 febbraio 1848, Lo Statuto Albertino illustrato, cit., p. 135 e 138.
10. Conte Borelli, 7 febbraio 1848, Lo Statuto Albertino illustrato, cit., p. 139.
11. I testi e le verbalizzazioni sono in misura assolutamente prevalente in lingua francese, anche se il bilinguismo emerge anche in queste occasioni (L. Spagnolo, L’italiano costituzio- nale. Dallo Statuto albertino alla Costituzione repubblicana, Loffredo ed., Napoli, 2012, pp. 34 ss. e C. Marazzini, Le parole della libertà. La lingua dello Statuto Albertino, in Un secolo per la Costituzione (1848-1948). Concetti e parole nello svolgersi del lessico costituzionale italiano, Accademia della Crusca, Sesto fi orentino 2012, pp. 52 ss.
12. Così il Conte Borelli , Ministro per l’interno, e il Conte Avet, Ministro di Grazia e Giustizia, 7 febbraio 1848, Lo Statuto Albertino illustrato, cit., p. 133.
13. Così il Marchese Alfi eri, Ministro della Pubblica istruzione, e il Conte Broglia, Mini- stro della Guerra, 7 febbraio 1848, Lo Statuto Albertino illustrato, cit., p. 135.
14. Così il Conte Broglia, Ministro della Guerra , Lo Statuto Albertino illustrato, cit., 7 febbraio 1848, p. 135.
15. Così Des Ambrois, Ministro dei lavori pubblici, Lo Statuto Albertino illustrato, cit., 7 febbraio 1848, pp. 134 ss.
tuzioni di riferimento (senza dubbio le Carte francesi del 1814 e del 1830, e quella belga del 1831)16.
Su questo piano è anche signifi cativo che quando si passa ad esaminare il testo di quello che sarà il Proclama, che era stato già predisposto dal Gabi- netto, a proposito dell’importante articolo relativo ai poteri regi (quello che infi ne diverrà la prima parte dell’art. 5 dello Statuto) si dia pacifi camente atto nei verbali del Consiglio di conferenza del 7 febbraio che esso era derivato dalla copiatura degli artt. 12 e 13 della Carta francese del 1830, a cui si ap- portò solo una minima modifi ca17.
A questo proposito semmai è da notare che la seconda parte dello stesso art. 5 dello Statuto Albertino sembra essere, invece, il frutto di una trasposi- zione dell’art. 68 della Costituzione belga del 1831. Ed a riprova che anche questa Costituzione è stata abbastanza utilizzata, a differenza di quanto in- vece da alcuni affermato18, si può notare, ad esempio, che gli artt. 65 e 66
dello Statuto sono identici agli artt. 65 e 88 della Costituzione belga. Con ciò voglio semplicemente dire che coloro che scrissero lo Statuto Albertino hanno avuto più fonti di riferimento fra le recenti Costituzioni, fra cui certo fondamentale fu la Costituzione francese del 1814, probabilmente a causa della sua notoria moderazione, ma senza assolutamente escludere altre “sug- gestioni” (forse perfi no provenienti anche da qualche Costituzione semplice- mente progettata in quel periodo: un caso importante sarebbe costituito dall’ uso nell’art. 2 dello Statuto della espressione “Governo Monarchico rappre- sentativo” che potrebbe essere derivato da espressioni analoghe contenute in progetti coevi19).
Ma, d’altra parte, le analogie sono anche in negativo, dal momento che la mancata disciplina di alcuni fenomeni spesso corrisponde alla condivisione di determinate scelte culturali e politiche sottostanti a queste mancate disci- pline: penso, ad esempio, all’aver imitato nello Statuto la mancata previsione da parte delle Costituzioni francesi dei diversi diritti associativi (mentre il testo belga contiene, invece, una assai generica disciplina in questa specifi ca materia).
16. Non può essere condivisa l’opinione che tutto ciò sarebbe la tralaticia riproduzione di opinioni sommarie (R. Ferrari Zumbini, Tra idealità ed ideologia. Il rinnovamento costitu- zionale nel Regno di Sardegna fra la primavera 1847 e l’inverno 1848, Giappichelli, Torino, 2008, pp. 19 ss.), dal momento che troppe sono le disposizioni statutarie e le affermazioni contenute nella verbalizzazione dei Consigli di conferenza che denotano la manifesta infl uen- za dei testi costituzionali citati, al di là del diffi cile esame sulla effettiva coerenza sistematica delle diverse ispirazioni straniere. D’altra parte, le opinioni dottrinali dell’epoca sono state assolutamente concordi in tal senso, così come quelle dei massimi costituzionalisti italiani che successivamente operarono nel periodo liberale.
17. Il verbale è in Lo Statuto Albertino illustrato, cit., 7 febbraio 1848, p. 140.
18. R. Martucci, Storia costituzionale italiana. Dallo Statuto Albertino alla Repubblica (1848-2001), Carocci ed., Roma, 2002, p. 36. Più convincente il giudizio di P. Colombo, op. cit., pp. 121 s.
Ma soprattutto è signifi cativo che alla base della decisione di attivare il Consiglio di Conferenza stia evidentemente la decisione di escludere ogni ri- chiamo al potere costituente come possibile fonte delle innovazioni possibili e forse anche la mancata previsione di ogni forma di revisione costituzionale, che implicitamente avrebbe ammesso la rivedibilità di quanto concesso dal- la Monarchia. D’altra parte – con ogni probabilità – la stessa scelta di non utilizzare il termine Costituzione ma di denominare la nuova Carta come Statuto fu originata dalla volontà di escludere un termine ancora sospettato di giacobinismo e di ribadire anche in tal modo il rifi uto dell’esistenza di un vero e proprio processo costituente20.
Coerentemente, nelle riunioni del Consiglio di Conferenza non solo si esalta più volte l’esistente regime monarchico e si utilizzano espressioni e linguaggi tradizionali dello Stato assoluto, ma si sovrappongono ai dibattiti relativi al futuro Statuto alcuni temi di amministrazione corrente (in primo luogo l’ordine pubblico e i limiti della libertà di stampa). Non a caso, come noto, perfi no il Proclama dell’8 febbraio contiene al termine la notizia della diminuzione del prezzo del sale e ciò su esplicita richiesta in tal senso del Sovrano, probabilmente per una sorta di compensazione dei ceti più modesti, palesemente esclusi dalle concessioni operate dallo Statuto a favore delle classi elevate e delle classi medie21.
Evidentemente alla base di tanti piccoli fatti rivelatori del perdurante for- tissimo peso della Monarchia e di coerenti episodi alquanto “sapidi” sulla mentalità e cultura delle classi dirigenti del Regno che si possono ricavare dalla verbalizzazione dei Consigli di Conferenza, sta la realtà di un piccolo Stato monarchico e conservatore, nel quale le attività economiche del tutto prevalenti sono ancora quelle agricole; in cui le istituzioni pubbliche non operano con loro strutture, se non del tutto marginalmente, neppure in set- tori essenziali come l’istruzione, la sanità, l’assistenza sociale; nel quale i dipendenti civili dei Ministeri ammontano quindi a poche centinaia mentre i militari ed i corpi di polizia ammontano ad oltre quarantamila (in periodo di guerra sfi orano i centocinquantamila). Tutto ciò contribuisce a spiegare come lo Statuto Albertino sia da annoverare fra le Carte caratterizzate da moderate, se non ridotte, innovazioni.
20. L. Ciaurro, Introduzione. Agli albori dello Statuto Albertino, in Lo Statuto Albertino illustrato, cit., pp. 44 ss.; P. Colombo, op. cit., p. 91 ss.; C. Marazzini, op. cit., pp. 56 ss.
21. A questo proposito così si è espresso il Conte Gallina: «… nel momento in cui Sua Maestà si dispone a fare molte concessioni alle classi elevate ed alle classi medie, sarebbe conveniente ed anche prudente rinforzare i legami che uniscono il Popolo al Re, tramite un grande benefi cio che il Re voleva concedere da molto tempo al suo popolo e per il quale le circostanze attuali sarebbero molto appropriate: è la concessione della diminuzione del prezzo del sale, di cui si è già parlato, e che egli propone di pubblicare all’interno stesso della procla- mazione del Re riguardante le riforme del Governo» (7 febbraio 1848, Lo Statuto Albertino illustrato, cit., p. 141).
Ciò non riduce il grande valore etico e politico della scelta operata da Carlo Alberto, ma aiuta a comprendere il tipo di recezione assai moderata della spinta ad introdurre, in quelli che erano fi no ad allora regimi monarchi- ci assoluti, alcuni limitati elementi di rappresentanza di frazioni qualifi cate dei cittadini e alcune tutele di diritti di libertà.