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La storia come protagonista sottoposta direttamente all’esame della Corte

Federico Alessandro Goria

4. La storia come protagonista sottoposta direttamente all’esame della Corte

Una ragione del tutto differente dai casi fi n qui esaminati ebbe l’indagine storico-giuridica nella sentenza n. 176 del 197273, in quanto in questo caso

la storia del diritto non compare a fi ni argomentativi, ma come protagonista diretta e inattesa di una vicenda processuale a tutta prima piuttosto prosaica. La questione era stata sollevata da un’ordinanza del pretore di Ischia il 28 ottobre 1969, perché alcuni abitanti, cui la Guardia di Finanza aveva conte- stato la violazione degli artt. 1161 (Abusiva occupazione di spazio demaniale

e inosservanza di limiti alla proprietà privata) e 1162 (Estrazione abusiva di arena o altri materiali) del codice della navigazione, dell’art. 2 della legge

doganale n. 1424 del 25 settembre 1940 (che vietava costruzioni provvisorie o permanenti lungo la linea doganale o comunque senza autorizzazione del Direttore superiore della circoscrizione doganale), nonché dell’art. 734 del codice penale (Distruzione o deturpamento di bellezze naturali), avevano resistito ai decreti di condanna sostenendo che «erano stati autorizzati dal co- mune di appartenenza, cui avevano anche corrisposto tramite l’uffi cio delle imposte di consumo, la tassa di occupazione»74.

Il fondamento del diritto di concessione da parte dell’amministrazione locale andava rinvenuto, ad avviso dei resistenti, nei «cosiddetti privilegi ara- gonesi, invocati dai comuni dell’isola nei confronti dello Stato, per far valere il loro diritto all’uso e al godimento dei beni demaniali»75. Si trattava in ef-

fetti di alcune concessioni fatte da diversi sovrani aragonesi fra il 1458 e il 1507 e poi confermate dall’imperatore e re di Spagna Carlo V nel 153376, con

le quali venivano consolidate alcune consuetudini e garantiti alcuni privilegi che andarono a formare il diritto proprio di Ischia in età moderna, secondo un fenomeno tipico del Mezzogiorno, differente, ma non troppo dissimile dal fenomeno statutario che, fi n dal Medioevo, aveva investito l’Italia centroset- tentrionale77.

73. «Giurisprudenza costituzionale», 17 (1972), pp. 2123-2126.

74. Ordinanza emessa il 28 ottobre 1969 (pervenuta alla Corte costituzionale il 23 no- vembre 1970) dal pretore di Ischia nei procedimenti penali riuniti a carico di Lauro Eugenio e altri (Reg. ord. N. 357, 1970), in G.U. 324 (23 dicembre 1970), p. 8579.

75. Ibidem.

76. G. Palma, Note intorno alla “vitalità secolare” dei privilegi aragonesi, in margine alla sentenza del Tribunale di Napoli, sez. I, n. 11356 del 18 ottobre 1974, in «Diritto e giurispru- denza», 32 (1976), pp. 439-453, in particolare p. 440.

77. P. Iacono, Privilegi aragonesi dell’isola di Ischia nella storia del Diritto Italiano, in Ricerche, contributi e memorie, I, Centro studi su l’Isola d’Ischia. Atti relativi al periodo 1944-1970, Centro studi, Napoli, 1984, pp. 233-262 (comunicazione presentata all’adunanza del 19 marzo 1947); A. Cernigliaro, Civitas et insula de Yscla. Un centro marinaro tra Arago- nesi e Asburgo, in «Studi veneziani», 52 (2006), pp. 17-39, in particolare pp. 17-23. Alcuni ra- gionamenti sulla motivazione delle concessioni, dal punto di vista del diritto amministrativo, in L.R. Perfetti, Su interesse pubblico e concessione, rimeditando le «note intorno alla vitalità

Nella redazione del 1533, conosciuta oggi grazie al rinvenimento da parte di Aurelio Cernigliaro della registrazione coeva nella sezione Privilegiorum dell’Archivio della Corona de Aragón a Barcellona78, è infatti presente un

capitolo IX, nel quale i cittadini dell’isola supplicano il sovrano asburgico af- fi nché « se degni de gratia speciali concedere et donare ala dita Cita et Jnsula, et anco per essere cosa justa et conveniente, quella se degni de gratia speciali concedere et donare ala dicta Cita et Jnsula tutte le marine et liti maritimali, peschere, promontorij et tuti mari circum circa la cita et insula predicta doi miglia in mare, non obstante qualsivoglia legge, usu, consuetudine o privile- gio, tanto regale quanto de varone, che obstasse ala dicta concessione; et che de dicto mari, marine, liti, peschere et promontorij ne possa dicta universita disponere et fare como cosa loro propria […]»79.

Concessioni di questo genere non erano infrequenti nell’età medievale e moderna; la caratteristica singolare di quella ischitana fu però il fatto di es- sere considerata un’attribuzione ab immemorabili e dunque sostanzialmente perpetua. Quando infatti nel 1838 la Real Cassa di Ammortizzazione e De- manio pubblico del Regno delle Due Sicilie convenne in giudizio la comu- nità di Lacco e alcuni privati per il rilascio del seno di mare e di parte della spiaggia presso Monte Vico, i convenuti si appellarono agli antichi privilegi e, riconoscendone la validità, nel 1841 il Demanio rinunciò alla causa80.

All’avvento del regno d’Italia poi, sebbene venisse generalmente seguito il principio secondo cui dal 1° febbraio del 1861, quando cioè era stata estesa a tutto il territorio del regno la vigenza del codice civile albertino, tutto ciò che era lido o spiaggia sarebbe stato considerato demanio pubblico, mentre le terre abbandonate dal mare e già patrimonio delle comunità locali sareb- bero rimaste nella proprietà di queste ultime81, non vennero previste però

specifi che norme atte a infi ciare la validità delle concessioni, perché né il codice civile del 1865, né il codice della marina mercantile, soprattutto nella novella del 1877, sembrarono comportare ostacoli alla permanenza di prece- denti concessioni di sfruttamento. Quest’ultimo, anzi, garantiva la legittimità delle concessioni demaniali perpetue, che però dovevano essere autorizzate per legge82.

secolare dei privilegi aragonesi», in Scritti in onore di Giuseppe Palma, II, Giappichelli, To- rino, 2012, pp. 1727-1736, in particolare pp. 1730-1732.

78. Il testo, che era anche conservato nell’Esecutoriale 33 della Sommaria presso l’Archi- vio di Stato di Napoli, era andato infatti perduto nel 1943 e si era conservato solo parzialmente attraverso una copia ottocentesca; A. Cernigliaro, Civitas et insula…, cit., pp. 25-26.

79. A. Cernigliaro, Civitas et insula, cit., p. 34. 80. G. Palma, Note…, cit., p. 441.

81. G. Palma, Note…, cit., p. 439.

82. Codice per la marina mercantile del Regno d’Italia, Stamperia reale, Roma, 1877, art. 158, p. 56. Ciò a differenza di quanto accadeva nel precedente codice marittimo del 1865, che invece prevedeva solo concessioni temporanee: Codice per la marina mercantile del Regno d’Italia, Stamperia reale, Milano, 1865, art. 158, p. 55.

Non deve dunque stupire che, quando nel luglio 1886 il Capitano del Por- to di Napoli cercò di concedere per novantanove anni al barone Bideri l’uso del lido nei comuni di Lacco Ameno e di Foro d’Ischia, questi ultimi impu- gnassero il provvedimento in via amministrativa e, successivamente, davanti al tribunale civile di Napoli, invocando i privilegi aragonesi come fondamen- to dei diritti di sfruttamento delle spiagge da parte delle sole comunità isola- ne. La sentenza del 30 aprile 1888 confermò la validità di tali provvedimenti in quanto concessioni che «possono conservare la loro effi cacia, purché però il titolo originario lo consenta, e nessuna revoca posteriore sia intervenuta»; principio peraltro confermato in appello con sentenza dell’anno successivo83.

Nei sessant’anni seguenti i diritti dei comuni ischitani non vennero più contestati, fi no a quando il Ministero per la marina mercantile non se ne interessò nuovamente: avendo però ben presente la convinzione della citata giurisprudenza secondo cui gli antichi diritti, che ovviamente non erano più di potestà assoluta, ma esclusivamente d’uso, potevano continuare a sussiste- re fi nché non fosse intervenuta una revoca da parte dello Stato, decise, prima di procedere ulteriormente, di richiedere una conferma al Consiglio di Stato. Il parere n. 1073 del 12 ottobre 1956 fu decisamente ostile alla loro con- servazione, anche in ragione dei mutamenti intervenuti a seguito dell’appro- vazione del codice della navigazione del 1942 e del rispettivo regolamento attuativo con D.P.R. 328 del 15 febbraio 1952: premesso infatti che appariva comunque discutibile la qualifi cazione dei privilegi come concessioni del de- manio, essendo giustifi cata in base ad una ormai troppo risalente e superata concezione privatistica dei beni pubblici, rimaneva il fatto che il codice della navigazione del 1942 non ammetteva più le concessioni perpetue, né quelle gratuite84, il che avrebbe reso tali atti contrari a norme di ordine pubblico

e dunque illegittimi. «E poiché non è stata dettata in merito alcuna norma transitoria, il rapporto in questione venne per forza di legge ad estinguersi. Non occorre pertanto una pronunzia di revoca, la quale presupporrebbe un rapporto di concessione conforme alle norme vigenti cui sia prefi ssato un termine di naturale scadenza, e di cui si viene invece ad anticipare la fi ne per sopravvenute ragioni di pubblico interesse; mentre nel caso in esame nessun rapporto deve ritenersi oggi giuridicamente esistente»85.

Come conseguenza, il Ministero comunicò ai comuni ischitani l’estin- zione dei suddetti privilegi, invitandoli ad inoltrare regolare domanda di concessione; poiché però questi si dimostravano riluttanti, nel 1967 diffi dò tali amministrazioni dal continuare a rilasciare concessioni ai privati86. Uno

di questi atti irregolari fi nì però davanti al tribunale di Napoli nell’aprile

83. G. Palma, Note…, cit., pp. 441-443.

84. Codice della navigazione, Istituto Poligrafi co dello Stato, Torino, 1942, artt. 36 e 39. 85. Consiglio di Stato, 12 ottobre 1956. Sez. III – parere n. 1073, in «Rivista di diritto della navigazione», 18/2 (1957), pp. 302-303.

del 1969 e proprio in questo contesto il problema, che sembrava risolto, si ripresentò, perché la sentenza negava, pur senza citarle, le conclusioni del Consiglio di Stato: «le prefate sentenze87 costituiscono cosa giudicata sul

punto non solo che le concessioni suddette sono persistenti e unicamente soggette al potere di revoca, ma anche sul punto che si tratta di concessioni a carattere gratuito e che non è vietata la subconcessione. Così, per effetto di quelle sentenze, i diritti esclusivi dei comuni dell’isola, si sono trasformati in “concessioni perpetue”, gratuite, godibili anche in modo indiretto per mezzo di sub-concessionari, e che non sono sottoposte ad altro limite, fuorché a quello della revocabilità»88.

Tutto questo ci permette dunque di comprendere perché il pretore di Ischia, trovandosi nell’ottobre dello stesso anno di fronte ad una causa che nuovamente richiedeva una pronuncia su tali privilegi, decidesse non solo di proporne un giudizio di costituzionalità (presupponendo che potessero esse- re qualifi cati come leggi ordinarie, secondo quanto la suaccennata sentenza sembrava dare ad intendere parlando di “leggi speciali”, cui il codice della navigazione non poteva derogare), ma anche di sottoporre alla Corte l’alter- nativo giudizio di legittimità dei relativi articoli del codice della navigazione con i quali essi erano apparsi in contrasto89.

Dal punto di vista della Corte, però, l’ordinanza era da ritenersi inam- missibile: intanto non precisava con esattezza la norma contestata, perché i privilegi venivano defi niti in termini vaghi e si ammetteva l’insussistenza degli sforzi tesi a rintracciare le raccolte autentiche e quindi, la norma esatta; questo comportava l’impossibilità di una valutazione giuridico-formale della stessa, costituendo ulteriore motivo d’inammissibilità, non essendo possibile verifi carne la collocazione nella gerarchia delle fonti. Infi ne i dubbi in merito alla vigenza dei privilegi stessi, condivisi dal pretore, sollevavano questioni di legittimità su interpretazioni ipotetiche delle norme, che si estendevano anche a quelle richiamate del codice della navigazione, il che ulteriormente confi gurava un vizio di indeterminatezza90.

87. Quelle, cioè, del 1888-1889.

88. In relazione alla sopravvenienza delle modifi che alla codifi cazione mercantile la mo- tivazione così continuava: «Le disposizioni del codice della navigazione e del relativo rego- lamento non sembrano poi applicabili alle dette concessioni dei comuni di Ischia, perché non hanno abrogato le leggi anteriori a carattere speciale, in quanto disposizioni a carattere gene- rale»; Tribunale di Napoli, 18 aprile 1969, Saturnino, citata in nota alla Corte costituzionale, sentenza 12 dicembre 1972, n. 176, in «Il Foro italiano», 96/1 (1973), coll. 18-19.

89. Sebbene con argomentazioni alquanto discutibili: «in questo stesso ambito si pone altresì il probblema (sic), che ha del pari infl uenza sulla defi nizione dei citati giudizi, di stabilire se sia conforme al dettato costituzionale (art. 128) l’esercizio di una potestà pubblica da parte dei co- muni in contrasto con i poteri riconosciuti nella stessa materia alla competente autorità marittima (art. 36, articoli 48, 50, 52, 54 del codice della navigazione) e quindi daccapo la legittimità costi- tuzionale di tali articoli per la parte in cui non fanno cenno della concorrente e assorbente potestà pubblica dei comuni dell’isola in ordine ai beni di cui trattasi»; Ordinanza…, cit., p. 8580.

Sull’onda forse dell’entusiasmo per la mancata pronuncia della Corte co- stituzionale, che avrebbe potuto defi nitivamente vanifi care le pretese delle comunità ischitane, il comune di Foro d’Ischia ricorse quindi nuovamente al tribunale di Napoli per ottenere una sentenza di accertamento dichiarativo «circa la titolarità di diritti derivanti da atti aventi forza di legge speciale, cioè diritti di proprietà su determinati beni o, in subordine, di uso perpetuo e irrevocabile»91, ma questa volta la corte partenopea non ritenne di accoglie-

re i suoi rilievi: essa infatti sottolineò come tali pretese fossero non solo in contrasto con il regime generale della demanialità e la sua impostazione si- stematica, che non poteva ammettere l’esistenza di un demanio comunale di ampiezza maggiore a quella consentita dall’art. 824 c.c., ma anche come, in relazione ai privilegi aragonesi, non fosse possibile qualifi care questi ultimi secondo categorie moderne (atti con forza di legge speciale), senza alcuna considerazione del più generale contesto nel quale essi erano stati emanati e della profonda difformità di tale realtà rispetto alla normativa vigente92. Si

tratta di un punto fondamentale nel ragionamento della corte di primo gra- do, che se da un lato evidenziava la profonda sensibilità dei suoi giudici per la storicità del diritto, dall’altro sottolineava ulteriormente l’impossibilità di escludere dallo studio sull’evoluzione normativa la valutazione contestuale di quella parte del sistema giuridico nel quale la disposizione in oggetto era immersa e a cui era costretta da inscindibili legami e connessioni.

5. Conclusioni

Alla fi ne di questo breve percorso è opportuno trarre qualche considera- zione fi nale: innanzitutto l’esame della giurisprudenza della Corte dimostra come l’interpretazione del diritto non possa prescindere dall’intrinseca sto-

91. Sentenza del Tribunale di Napoli, sez. I, n. 11356…, cit., p. 446.

92. «In proposito la difesa del Comune ha tentato di qualifi care i rescritti aragonesi av- valendosi di categorie moderne che, tuttavia, per la storicità propria delle formule giuridiche ma ancor più delle strutture istituzionali condizionanti le formule stesse, non consentono qua- lifi cazioni idonee a collegare ai rescritti la medesima portata di un moderno provvedimento legislativo tanto da poter porre anche in rapporto ad essi un problema di successione di leggi dell’epoca. In altri termini, quegli atti (certamente idonei per il regime del tempo ad attribuire la proprietà) si collocano in un contesto politico istituzionale in cui non si distingueva tra proprietà personale del sovrano e patrimonio dello Stato, e in cui persino il concetto di pote- stà sovrana era completamente diverso. Ciò rende impossibile riportare i rescritti aragonesi nella categoria moderna della norma giuridica, anche se di natura speciale. Basta dire che nel diritto moderno la legge speciale ha pur sempre il carattere dell’astrattezza e della generalità, benché nell’ambito di una determinata specie di fatti, o meglio di un settore particolare della tipologia dei fatti disciplinandi; invece quei rescritti ponevano veri e propri “privilegi”, nel du- plice signifi cato del “benefi cio singolare” e della “individuazione soggettiva del benefi ciario”, mentre il privilegio è un fenomeno giuridico di regola incompatibile con la normazione dello Stato moderno»; ivi, pp. 452-453.

ricità che lo caratterizza; il diritto, infatti, muta con il mutare dei contesti socio-politici, ma, anche laddove si discosti dalla continuità nella tradizione, costruisce sempre su fondamenta preesistenti, che in alcuni casi emergono con maggiore evidenza, in altri in modo più sommesso. Tutto ciò rende na- turalmente necessario che l’interpretazione recuperi tali percorsi, comprenda le ragioni per cui disposizioni normative perfettamente integrate in una certa realtà sociale non lo siano più alcuni decenni dopo, ripercorra le successive modifi che apportate ad una norma o ad un sistema di norme, chiarisca i mu- tamenti nella comprensione dei testi normativi e li esamini come un dato sto- rico nuovo. Ma la Corte non svolge solo un ruolo ricostruttivo, come detto, ma è anch’essa protagonista della storicizzazione del diritto, in quanto anche le sue pronunce fi niscono per essere tappe dell’evoluzione normativa, indice come sono di una certa sensibilità e di un particolare utilizzo delle tecniche argomentative, di volta in volta diverso e cangiante. Paradossalmente le sen- tenze esaminate sono dunque contemporaneamente riepilogatrici della storia e storia esse stesse.

Proprio per questo, però, la ricostruzione giudiziale non ha le stesse fi - nalità e spesso non consegue gli stessi risultati di quella storico-giuridica; la prima infatti esprime la necessità di valutare e applicare la norma al momen- to presente e a ciò fi nalizza qualsiasi svolgimento argomentativo; la seconda invece intende ricostruirne lo sviluppo nel tempo, i mutamenti di signifi cato, i fondamenti di senso, in parallelo con il mutare delle società e delle cultu- re93, ma solo allo scopo di comprendere, mai di giudicare; giudicare infatti

vorrebbe dire calare la norma dal fl usso evolutivo in cui è contemplata dallo storico e cristallizzarla nel tempo in cui egli vive, nei valori che egli esprime, e darle così un signifi cato diverso. In parte quest’operazione appare inevi- tabile, ma perché il suo sguardo non venga ingannato in modo eccessivo lo storico dev’esserne avvertito e in guardia: come ci ha insegnato il principio di indeterminazione di Heisenberg, infatti, un oggetto di studio, esaminato troppo da vicino, fi nisce per essere osservabile solo in modo estremamente parziale e incompleto.

93. Come spiegava ormai alcuni decenni anni fa Pio Caroni, a proposito delle codifi ca- zioni, «interpretare in quest’ottica è un’operazione prevalentemente ricuperatrice e riaggre- gatrice. Approda dapprima alla norma, ma per ripartirne subito. Non teme gli sconfi namenti, consulta volentieri gli entourages, esplora meticolosamente dintorni e paraggi. Chi condivide queste certezze non si attarda (oramai) più a ragionare sull’elaborazione delle regole giuri- diche, su quella che in tedesco si chiama Entstehungsgeschichte. Non ne contesta invero la legittimità e la dignità scientifi ca, ma la ritiene fondamentalmente sterile. Vedrà piuttosto nel codice, come ho più volte ricordato, un’ossature sans chair, che ogni generazione rimpolpa secondo i desideri via via espressi dai gruppi sociali prevalenti, senza eccessivi scrupoli ed anche senza troppi riguardi per le aspirazioni del legislatore. La storia del diritto, in quest’ot- tica, non è più quella che si conclude con la sanzione della legge, ma quella che proprio allora inizia»; P. Caroni, Riassumendo: una storia per il dopo-codice, in Id., La solitudine…, cit., pp. 233-234.

Questa contemporanea diversità e compenetrazione fra la tecnica del- lo storico del diritto e quella del giudice o dell’interprete deve però essere sottolineata e valorizzata proprio nel contesto dell’insistenza sulla generale storicità del diritto, allo scopo anche di contrastare un’opinione, purtroppo sempre più diffusa negli studi professionali, nei tribunali e perfi no nelle uni- versità, secondo cui lo studio della storia sarebbe solo un’appendice culturale di poco interesse rispetto al mondo della pratica e del lavoro. Mostrare, in- vece, come essa sia strettamente connaturata alla vita quotidiana del giurista che, utilizzandola, interpreta la disposizione legislativa inverandone la nor- ma, permetterebbe di cogliere l’ampiezza, la problematicità, il gusto deciso del diritto colto nella sua complessità di continuo divenire, al pari della vita stessa delle società e degli individui.

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