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L’antiparlamentarismo estremo

Antonio Mastropaolo

6. L’antiparlamentarismo estremo

La spregiudicata strategia giolittiana, di cui molti riconoscevano i risultati positivi106, ma che per altri era invece deplorevolmente compromissoria107, ali-

menterà sentimenti più risolutamente eversivi soprattutto negli anni immedia- tamente precedenti la prima guerra mondiale108. L’antiparlamentarismo subì

una nuova evoluzione: da un lato continuò la polemica contro il trasformismo, dall’altro furono avanzate nuove critiche, più radicali, apertamente avverse al parlamento realmente antidemocratiche. Protagoniste di questa nuova stagio- ne furono le riviste di ispirazione nazionalista che fi orirono numerose proprio in questi anni. Esse si alimentavano di una cultura strenuamente avversa al positivismo e al materialismo in nome di una volontà di potenza nazionale e

102. S. Lupo, op. cit., p. 28.

103. G. Fortunato, Il Mezzogiorno e lo Stato italiano, Vol. II, Laterza, Bari, 1911, pp. 394- 397, cit. in E. Gentile, Lo Stato nuovo, cit., p. 58.

104. S. Lupo, Il fascismo. La politica in un regime totalitario, cit., p. 11. 105. G. Salvemini, Il ministro della malavita, La Voce, Roma, 1919. 106. E. Gentile, Il mito dello Stato nuovo, Laterza, Bari, 1999, pp. 50-51. 107. S. Lupo, Il fascismo, cit., p. 10.

dell’esaltazione dell’azione individuale109. Solo in alcuni casi tali riviste as-

sumevano posizioni apertamente politiche. Ciò avveniva, ad esempio, nelle pagine de Il Regno di Enrico Corradini, che non faceva mistero della sua con- trarietà allo statalismo tanto giolittiano quanto socialista. Nelle stesse pagine Giuseppe Prezzolini si scagliava con grande veemenza contro il parlamento110.

Ma a esprimere con più durezza sentimenti antigiolittiani fu La Voce, fondata dallo stesso Prezzolini e da Giovanni Papini. Spiccava qui l’accusa nei con- fronti di Giolitti di aver defi nitivamente soffocato la vitalità nazionale111.

L’antiparlamentarismo per questi autori era però conseguenza dell’anti- giolittismo. Forse non era nemmeno il prodotto di un sentimento propria- mente reazionario. L’accusa rivolta al sistema giolittiano era di essere una falsa democrazia, vuoi perché non garantiva il funzionamento del sistema secondo il modello liberale, vuoi perché era incapace di rappresentare effi ca- cemente le forze sociali112. L’esaltazione di queste ultime, contro la supposta

paralisi istituzionale, si tradurrà anche nelle proposte radicali dei sindacalisti rivoluzionari che miravano più esplicitamente all’abbattimento delle istitu- zioni dello Stato liberale da parte del proletariato, che andava a loro avviso guidato da una minoranza consapevole, con l’obiettivo di dare vita a un vero Stato nuovo organizzato su base sindacale.

Fu un fermento politico-culturale che contribuì a suscitare avversione contro lo Stato liberale. Non bastò l’introduzione del suffragio universale a mutare questi sentimenti, anzi i risultati elettorali alimentarono il dibattito sulla crisi dello Stato come si era strutturato113. A Giolitti non sfuggirono

tali sentimenti, che eccitavano le masse, ma non seppe farvi fronte, se non ricorrendo alle consuete pratiche parlamentari.

Non mancarono neppure i tentativi di composizione. Esemplare è la ri- fl essione condotta da Santi Romano nella sua celebre prolusione del 1909 su Lo Stato moderno e la sua crisi, in cui egli affrontava il problema della crescente partecipazione delle masse attraverso forme organizzative che mal si conciliavano con le istituzioni liberali. Queste forme nuove, che Romano chiamava di volta in volta sindacalismo e corporativismo, avevano un at- teggiamento antagonistico nei confronti dello Stato, mostrando la debolezza della rappresentanza politica nel rispecchiare la società nello Stato.

E intanto non può negarsi che tutto un complesso di cause, le più svariate, hanno attribui- to al popolo una forza politica, che va sempre più aumentando: le migliorate condizioni economiche, il diffondersi della pubblica opinione e dello spirito critico e indagatore, 109. Loro ispiratore fu Alfredo Oriani che, pressoché ignorato in vita, fu rivalutato e as- sunto a precursore proprio dal fascismo. Ma anticipatore, per molti versi, ne fu anche il radica- lismo mazziniano carico di passione religiosa. Cfr. E. Gentile, Lo Stato nuovo, cit., pp. 24-25

110. G. Prezzolini, La menzogna parlamentare, in «Il Regno», I, 28, 1904, pp. 5-7. 111. G. Prezzolini, Che fare?, «La Voce», 23 giugno 1910.

112. E. Gentile, Il mito dello Stato nuovo, cit., p. 64.

113. R. D’Alfonso, L’esordio politico di Alfredo Rocco (dal radicalismo al nazionalismo), in «Il Politico», LXVII, 2, 2002, p. 226 e ss.

l’allargarsi della cultura, la stampa quotidiana, la facilità di riunirsi e di associarsi, i con- tatti provocati dal lavoro industriale moderno che raccoglie attorno alle macchine gli ope- rai, la rapidità dei mezzi di comunicazione, che ha abolito la vita sedentaria ed è potente mezzo di avvicinamento. Così molte volte avviene che la stampa ed altre manifestazioni energiche delle forze sociali prevengano la tribuna parlamentare e l’opera dei partiti, esercitando sul lavoro legislativo ben maggiore infl uenza che non questi. Ed è vero che, accanto alle forme di responsabilità giuridica e politica del Governo, indipendentemente da esse e con maggiore effi cacia pratica, si è sviluppata una specie di responsabilità so- ciale dei ministri, che, facendo a meno del Parlamento, pone in diretto contatto popolo e Governo114.

Non può non sorprendere questo richiamo a un rapporto più immediato, anche se extra ordinem, tra la società e il governo del paese. Romano si face- va ancora promotore di una soluzione imperniata sulla sovranità dello Stato: «Un’organizzazione superiore che unisca, contemperi e armonizzi le orga- nizzazioni minori in cui la prima va specifi candosi […] che potrà conservare quasi intatta la fi gura che attualmente possiede»115. Lo Stato per il giurista

siciliano non era un’illusione, uno strumento di dominio di classe, ma anzi era nato per superare gli interessi particolari, per far valere una volontà ge- nerale, unico strumento in grado di impedire alla società di ritornare ad una organizzazione simile a quella feudale116.

Non mancarono, tuttavia, allo scopo di restaurare la sovranità dello Stato, proposte radicalmente antiparlamentari. Per il nazionalista Alfredo Rocco serviva un nuovo ordine, decisamente diverso. Nel 1914 egli scriveva:

Il parlamentarismo è morto, e il giolittismo che gli è successo, prova che è morto ben defi nitivamente […] il sistema parlamentare, cioè il predominio politico di assemblee di delegati eletti dal popolo, di intermediari non governanti e irresponsabili, sorto, per contingenze speciali, in Inghilterra, diffusosi in Europa sotto il predominio della fi losofi a razionalistica e dell’idealismo liberale, doveva cadere col cadere del razionalismo e dell- ’idealismo. Noi riteniamo che il parlamentarismo abbia oramai assolto il suo compito: che cosa verrà dopo di esso? Nessuno può dirlo. Il giolittismo non è che un momento della grande evoluzione da cui emergerà il nuovo regime politico di domani117.

7. Conclusioni

Lo scontro tra interventisti e neutralisti segnò la fi ne della parabola libera- le iniziata quasi settanta anni prima. Il parlamentarismo giolittiano fu defi ni-

114. S. Romano, Lo Stato moderno e la sua crisi, Tipografi a Vannucchi, Pisa, 1909, pp. 27-28.

115. Ivi, p. 30. Si veda M. Dogliani, La fortuna della teoria romaniana nelle varie aree disciplinari: diritto costituzionale, in «Diritto pubblico», XXXIII, b.3, pp. 873-904.

116. Ivi, pp. 30-31.

117. A. Rocco, In piena pratica rivoluzionaria, «Il Dovere nazionale», 11 luglio 1914, in Id., Scritti e discorsi politici, Giuffrè, Milano, 1938, pp. 117-118.

tivamente sconfi tto dalla piazza, infi ammata dai nazionalisti e da intellettuali come d’Annunzio e Marinetti. Durante le “radiose giornate di maggio” del 1915 si susseguirono manifestazioni sempre più violente. Protagonista di questo passaggio sarà ancora Vittorio Emanuele III, interventista a sua vol- ta, che, ergendosi interprete della volontà della piazza contro il neutralismo parlamentare, conferirà un nuovo incarico ad Antonio Salandra, pochi giorni dopo le sue dimissioni del 13 maggio e il rifi uto di Giolitti a subentrargli. Già nel mese di aprile era stato siglato in segreto il Patto di Londra, che sarà reso noto solo nel 1917 dai bolscevichi. Emarginato il parlamento, allo scopo di evitare la crisi istituzionale, la Camera, con il voto contrario dei socialisti, approverà rapidamente il disegno di legge per la concessione dei pieni poteri al governo. Il 23 maggio 1915 l’Italia dichiarava guerra all’Impero austro- ungarico.

Dalla guerra, le istituzioni rappresentative usciranno ulteriormente in- debolite, anche in seguito agli esiti della Conferenza di pace di Parigi. Di “vittoria mutilata” parlerà d’Annunzio, contribuendo ad alimentare nell’o- pinione pubblica un ampio senso di insoddisfazione nei confronti dello Sta- to liberale che costituì il retroterra culturale e psicologico su cui attecchì il fascismo eversivo . A nulla varranno allora gli ultimi disperati tentativi di rivitalizzare il parlamento118.

118. Durante il governo presieduto da Vittorio Emanuele Orlando fu approvata la legge n. 1985 del 16 dicembre 1918 che estese il diritto di voto a tutti i cittadini i quali avevano prestato servizio militare nell’esercito e nella marina mobilitati. In seguito, sotto la presidenza di Francesco Saverio Nitti, fu approvata la legge n. 1401 del 15 agosto 1919 che introdusse il sistema elettorale proporzionale. Un signifi cativo gesto fu compiuto ancora da Giolitti nel 1920 che, allo scopo di riaffermare la preminenza parlamentare, presentò il disegno di legge n. 453, sottoscritto dallo stesso Presidente del Consiglio e da tutti i ministri, che proponeva la modifi ca dell’art. 5 dello Statuto allo scopo di conferire al parlamento l’approvazione dei trattati e degli accordi internazionali come delle dichiarazioni di guerra.

Storia degli anniversari dello Statuto

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