Stefania Ninatt
4. In prospettiva: le ammorsature di Calamandrei alla prova del tempo
Può forse stupire che il modello adottato dalle costituzioni degli Stati fon- datori dell’Unione Europea – rifl esso, come si è visto, di un certo approccio alla questione in esame – non cambi radicalmente con il passare del tempo e, nelle sue linee di fondo, contrassegni anche le architravi dell’allargamento dell’Unione europea ad altri ordinamenti. Stupisce perché con il progredire del processo di integrazione, l’Unione europea acquista forme e contenuti ben più defi niti di quanto era possibile immaginare nel dopo guerra: e, tutta- via, come abbiamo visto accadere per gli Stati fondatori, l’approccio del legi- slatore costituente dei nuovi paesi membri rimane, nelle sue linee costitutive, molto simile a quello dei primi.
Ma già guardando ai paesi fondatori avevamo visto che l’impostazione di fondo non mutava eccessivamente nel progredire del tempo: basterebbe pensare al caso italiano e alla lapidaria (e incidentale) modifi ca dell’art. 117 della Costituzione (piuttosto che alla singola revisione dell’art. 81 indotta dall’adozione di una serie di trattati internazionali legati alla politica econo- mica europea) per citare un esempio eclatante. Così pure abbiamo visto acca- dere nel caso francese che, anche se procede ad una revisione costituzionale per poter aderire al Trattato di Maastricht, tale paese sembra voler adeguare il proprio ordinamento ai singoli nuovi istituti previsti dal processo di inte- grazione europea piuttosto che esprimere una scelta più motivata e di lungo respiro sul futuro dell’Europa. L’ordinamento tedesco nella modifi ca costi- tuzionale dell’art. 23 GG fornisce, certo, una posizione più articolata – quasi a voler guidare il processo di integrazione europea attraverso alcuni principi cardine, anche in forza di una sentenza manifesto quale la celeberrima Maa-
stricht Urteil –, con ciò rifl ettendo però anche un particolare momento della
storia costituzionale tedesca caratterizzata dalla caduta del muro di Berlino e dall’anelata riunifi cazione della Germania.
Volendo fare solo alcuni veloci cenni sulle scelte compiute dagli Stati che hanno aderito all’Unione Europea in seguito ai paesi fondatori53, si può
53. Il tema non è evidentemente affrontabile in questa sede e gli studi dottrinali che si sono cimentati sul tema sono davvero molteplici; da ultimo si veda A. Albi, S. Bardutzky (a cura di), National Constitutions in European and Global Governance: Democracy, Rights, the Rule of Law: National Reports, T.M.C. Asser Press, Springer, Berlino, 2019.
ricordare innanzitutto il caso inglese che, in forza dell’indiscusso principio costituzionale sulla sovranità parlamentare, sarebbe potuto apparire di dif- fi cile conciliazione con le classiche limitazioni richieste dal processo di in- tegrazione europea. Dopo anni di discussione dottrinale la questione viene risolta dalla decisione della camera dei Lord del 1991 (caso Factortame): nel famoso intervento di Lord Bridge, si sostenne, infatti, a chiare lettere che se anche la primazia del diritto comunitario non era stata chiaramente defi nita nel Trattato Cee, era però certamente ben radicata nella giurisprudenza della Corte di giustizia ben prima che il Regno Unito aderisse alla Comunità: «thus whatever limitation of its sovereignty parliament accepted when it enacted the European Community Act 1972 was entirely voluntary»54.
La successiva ondata di allargamenti vede la Grecia – che già negli anni Sessanta aveva mostrato interesse all’adesione – in prima fi la, con una nuova costituzione (1975) in cui si prevede tramite speciali maggioranze parlamen- tari, che «al fi ne di servire un importante interesse nazionale e di promuovere la collaborazione con altri Stati, è possibile attribuire, attraverso un trattato o un accordo, competenze previste dalla Costituzione ad organismi di organiz- zazioni internazionali» (art. 28, c. 2, Cost.) e anche a «restrizioni all’esercizio della sovranità nazionale, purché tali restrizioni siano imposte da un rilevante interesse nazionale, non ledano i diritti dell’uomo e i fondamenti del regime democratico e siano compiute nel rispetto del principio di eguaglianza e in condizioni di reciprocità» (art. 28, c. 3). Il Portogallo aderì, invece, senza una norma costituzionale ad hoc (lacuna che fu poi colmata da progressive riforme dal 1989 in avanti55) mentre l’adesione della Spagna avvenne in for-
za dell’art. 93 Cost.56 che, seppure non sia espressamente riferibile alle Co-
54. Il linguaggio usato da Lord Bridge ci pare di per sé stesso eloquente: più ampiamente si veda House of Lords, Factortame Ltd v secretary of State, (1991), 1 AC, pp. 658 ss. La vicina Irlanda procede, invece, ad un referendum preventivo all’adesione alle Comunità eu- ropee: con la successiva legge del 1972, approvata per consentire l’adesione dell’Irlanda alla Comunità europea, è stato poi introdotto l’allora art. 29 della Costituzione irlandese secondo cui «nessuna disposizione della presente Costituzione annulla le leggi approvate, gli atti o le misure adottate dallo Stato in ottemperanza agli obblighi di membro dell’Ue o delle Comunità ovvero impedisce che le leggi approvate, gli atti o le misure adottati dall’Ue o dalle Comunità, o dalle sue istituzioni, o dagli organi competenti secondo i Trattati istitutivi delle Comunità, abbiano forza di legge nello Stato».
55. Successivamente all’ingresso nella Comunità europea, il legislatore costituente por- toghese ha via via riformato – in maniera sempre più dettagliata, soprattutto in seguito al Trattato di Maastricht – l’art. 7 della costituzione sulle relazioni internazionali: si ricorda, in particolare, il quinto comma, secondo cui «il Portogallo partecipa al rafforzamento dell’iden- tità europea e al sostegno delle azioni degli Stati europei a favore della pace, del progresso economico e della giustizia tra le nazioni».
56. Secondo questa disposizione, «con legge organica si può autorizzare la stipulazione di trattati per attribuire ad una organizzazione internazionale l’esercizio delle competenze deri- vate dalla Costituzione. Spetta alle Cortes generali o al Governo, secondo il caso, la garanzia della esecuzione di questi trattati e delle risoluzioni emanate dagli organismi internazionali o sovranazionali titolari dei poteri trasferiti».
munità europee (similmente alle molte altre clausole costituzionali europee precedentemente analizzate), era stato inserito nella costituzione del 1978 in quest’ottica.
Le costituzioni degli Stati aderenti “post Maastricht” – Svezia, Finlandia e Austria – sicuramente risentono del cambiamento epocale che il Tratta- to del 1992 segna. Così, se l’Austria adotta una distinta legge federale co- stituzionale di adesione all’Unione Europea (soprattutto per contemperare il principio costituzionale di neutralità dello stato austriaco a fronte di una politica estera e di difesa comune intrapresa dal nuovo trattato) e introduce uno specifi co capitolo per l’Unione Europea (in particolar modo dedicato ad organizzare la divisione federale dell’ordinamento austriaco nell’ottica eu- ropea), la costituzione svedese inserisce, in via generale, la possibilità che il Parlamento trasferisca potere decisionale alla Comunità europea, a condizio- ne, tuttavia, che essa garantisca una protezione dei diritti e delle libertà fon- damentali equipollente a quella contenuta nelle Leggi fondamentali svedesi e nella CEDU, e che si rispettino maggioranze qualifi cate nell’approvazione parlamentare. La Finlandia, viceversa, aderisce all’Unione Europea senza alcuna norma costituzionale di autorizzazione, ma solo con un tipo di «leges
fugitivae», una speciale procedura prevista dall’art. 95 Cost. che permette
deroghe costituzionali se adottate con i 2/3 della maggioranza parlamenta- re: nella successiva costituzione del 2000, peraltro, non viene introdotta una clausola europea57.
A questo punto sarebbe interessante poter analizzare il grande allargamen- to che ambiva sicuramente a porre in essere «a grand constitutional moment»: e, in effetti, se un certo disincanto sulle riforme giuridiche accomuna il sen- timento di fondo di questi paesi, non si può tuttavia negare che per gli Stati dell’Est l’adesione rappresentava qualcosa di più della sola integrazione eco- nomica, che pure aveva il suo rilievo. Così per gli Stati baltici la partecipazione all’Ue e alla Nato rappresentavano una forma di tutela contro mire espansio- nistiche della Russia, per Ungheria e Polonia la comune appartenenza all’Ue sembrava garantire le proprie minoranze distribuite su altri territori europei e più in generale, per molti di questi Stati, l’integrazione europea sembrava assicurare che alcune situazioni confl ittuali interne al territorio dell’Europa orientale, dovute ad un passato problematico, avrebbero potuto trovare una soluzione all’interno della «comune casa europea»58.
57. Per l’analisi del caso fi nlandese – come anche di quello svedese ed austriaco – si rimanda ad un ampio studio condotto dal Parlamento europeo, National Constitutional Law and European Integration, condotto dal dipartimento Affari costituzionali, pubblicato online, in http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/etudes/join/2011/432750/IPOL- AFCO_ET(2011)432750_EN.pdf.
58. In questa prospettiva, anche per i paesi dell’Est, l’Europa, sia pur con diverse forme rispetto al momento storico del dopoguerra, veniva accomunata a ideali (quanto meno) di stabilità politica: così A. Sajo, Constitutions without the Constitutional Moment: A view from the Member States, in «International Journal of Constitutional Law», 2005, p. 250 e, più in
Non è in questa sede possibile ripercorrere tutte le singole modifi che delle costituzioni dell’Europa orientale introdotte in vista o in seguito all’entrata nell’Unione Europea: se si scorrono i testi di queste clausole europee si nota agevolmente, tuttavia, come esse riproducano a grandi linee i contenuti delle costituzioni europee già analizzate59.
In conclusione, quest’ultima serie di casi – per sua stessa natura necessa- riamente approssimativa e veloce – conferma la scelta compiuta dalle prime costituzioni del dopoguerra di raffi gurare e disciplinare l’idea di Europa (e più in generale dei rapporti internazionali) con quelle ammorsature giuridi- che che Calamandrei aveva descritto nell’immediato dopo guerra. Queste hanno permesso al cantiere Europa di crescere e svilupparsi, in una direzio- ne e con una profondità certo non prevedibili allora. La natura di processo permanente di integrazione europea – la cd. Wandelverfassung della dottrina tedesca, se si vuole –, da un lato, e il cammino di «slow adaptation»60 delle
costituzioni degli Stati membri, dall’altro, costituiscono così una nota co- stante e comune dell’idea di Europa all’interno della trama costituzionale degli Stati membri.
Quali le conseguenze di questa scelta costituzionale?
È diffi cile rispondere in poche righe: se in prima battuta saremmo tentati semplicemente di osservare che l’Europa procede attraverso decisioni delle corti costituzionali/supreme e non tramite riforme costituzionali – forse an- che per la natura stessa della materia spostata nell’avvenire e caratterizzata da un approccio case by case, più facilmente avvicinabile dal lavoro del giu- dice –, rimane tuttavia l’interrogativo se in una tale osservazione sull’incon- futabile binomio «corti e diritto sovranazionale/internazionale» non si celi, in realtà, l’inizio di un più radicale mutamento del costituzionalismo nel XXI secolo61.
generale, per una ricognizione complessiva, pp. 243 ss. Il cd. «return to the West» era così intravvisto nell’ottica di una possibile tutela contro regimi autoritari e, in questo senso, coin- cideva anche con una decisa riaffermazione della dell’esercizio di poteri sovrani ed indipen- denti, con tutte le ambiguità in essa implicate. Di «Common European Home», come noto, ha parlato per la prima volta Gorbachev nel suo famoso intervento davanti al Consiglio d’Europa a Strasburgo il 6 luglio 1989. Tale espressione è poi entrata a far parte del vocabolario comune politico degli anni successivi.
59. I siti uffi ciali europei in materia di allargamento forniscono molto materiale in proposito: esemplarmente si possono vedere (sui singoli Stati dell’allargamento qui interessato) le note informative del gruppo di lavoro del segretariato generale del Parlamento europeo, www.europarl.eu.int/enlargement.
60. M. Claes, The Europeanisation of National Constitutions in the constitutionalisation of Europe: some Observations against the background of the constitutional experience of the EU-15, cit., p. 37.
61. Per iniziare una rifl essione in questo senso – in questa sede non possibile – si veda, esemplarmente, l’ampia e approfondita ricostruzione di D. Lustig, J.H.H. Weiler, Judicial Review in the contemporary World – Retrospective and Prospective, cit.