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Crispi e la verticalizzazione del potere

Antonio Mastropaolo

4. Crispi e la verticalizzazione del potere

A Depretis, che aveva fatto del trasformismo una tecnica di governo, se- guirà Francesco Crispi73, che, per costruire l’unità del paese contro le sue

divisioni, punterà invece sullo statalismo e sulla verticalizzazione del potere,

dell’Italia settentrionale e centrale è principalmente di Comune, gloriosa senza dubbio, l’altra, quella dell’Italia meridionale, non meno gloriosa, è esclusivamente storia di Stato», è «lo spirito del Mezzogiorno che irrompe con Crispi nel governo della nuova Italia»; «Perciò la visione dell’unità statale Crispi ebbe così pronta, così completa e cosi defi nitiva, come nessun altro ebbe maggiore»; Orlando nel riferirsi a Crispi non esita a parlare di «onnipotenza dittatoriale»necessaria alla salvezza del popolo italiano: «Vi sono uomini di governo per la vita ordinaria dei popoli, ve ne sono per le grandi ore tragiche o decisive: quando esse scoccano, l’uomo predestinato arriva, malgrado tutti, e qualche volta, malgrado se stesso». Cfr. V.E. Orlando, Crispi. Con documenti inediti e in appendice uno studio su l’eloquenza di V.E. Orlando di Vincenzo Carboni, Gaetano Priulla, Palermo, 1924?, pp. 31-32.

70. V.E. Orlando, Studi giuridici sul governo parlamentare (1886), in Id., Diritto pubblico generale, cit., p. 349.

71. Ivi, p. 351.

72. Non è certo l’unico a farsi sostenitore in questi anni del governo di gabinetto. Cfr. D. Zanichelli, Del governo di gabinetto, Zanichelli, Bologna, 1889.

73. Ecco un suo effi cace ritratto: «Un giorno io domandava a Crispi: Siete voi Mazzinia- no? – No, mi rispose egli – Siete voi Garibaldino? – Neppure, egli replicò – E chi siete voi dunque – Io sono Crispi». Cfr. in F. Petruccelli della Gattina, I moribondi del Palazzo Cari- gnano, cit., p. 210.

a benefi cio del Governo del Re74. Come ha scritto Silvio Lanaro «Crispi è

l’unico uomo di Stato che abbia mostrato di possedere tutte le doti del leader carismatico, dalla forte tensione ideale all’aspirazione disinteressata, dall’al- to sentimento di sé alla consonanza spontanea con la nazione»75. Si farebbe

però un torto ad attriburgli sentimenti grettamente antiparlamentari. Indub- biamente Crispi era ben consapevole dei problemi del regime parlamentare in Italia. Basti qui ricordare un suo intervento nella discussione sui moti cau- sati dalla tassa sul macinato, in cui denunciava la mancanza di un leader di partito, come avveniva in Inghilterra dove «si sa che Gladstone è il capitano delle idee del progresso, e D’Israeli il capitano delle idee conservatrici; sic- ché quando uno dei due partiti vince e l’altro soccombe, si sa chi deve andare al potere». Nel parlamento italiano, continuava Crispi, al contrario non si sapeva nemmeno che cos’era la Destra e chi ne erano i capi76.

Ciò malgrado, egli non escludeva un più sano esercizio della funzione parlamentare, come traspare con forza dalle parole pronunciate al momento della sua elezione alla Presidenza della Camera nel novembre 1876. Erano, queste, una celebrazione del confronto che nell’aula parlamentare poteva av- venire, dove egli dichiarava di veder non distinti partiti, ma «uomini devoti al bene della patria comune»:

Nello agitarsi e contrapporsi dei vari pensieri e propositi in questa Camera, io ravviserò il fecondo affaticarsi del maggior senno italiano; e dalla copia e dal cozzo delle idee, io vedrò con soddisfazione scattare la scintilla animatrice delle grandi riforme.

Quando però ritenne che i suoi imperativi superiori di patria e progresso fossero stati traditi, la soluzione di Crispi fu di puntare decisamente sull’ese- cutivo quale unico motore della nazione e sullo Stato come istituzione totale contro la frammentazione. E soprattutto sulla monarchia come incarnazione della statualità nella sua continuità storica. La presa di posizione in favore della monarchia era stata tra i primi gesti rilevanti del Crispi parlamentare dopo l’unifi cazione. Il suo allontanamento defi nitivo dal partito mazziniano era avvenuto con la pubblicazione del celebre opuscolo di risposta alle ac- cuse di opportunismo rivoltegli da Mazzini, Repubblica o monarchia, che riprendeva la sua altrettanto nota dichiarazione alla Camera dei deputati del 7 maggio e del 18 novembre 1864: “La monarchia è quella che ci unisce, la repubblica ci dividerebbe”77. La sua scelta era stata condivisa da altri espo-

74. A. Barbera, Il Governo parlamentare dallo Statuto albertino alla Costituzione re- pubblicana, in Aa.Vv., L’unifi cazione istituzionale e amministrativa dell’Italia, 1861-1890, Bononia University Press, Bologna, 2010, p. 64.

75. S. Lanaro, L’Italia nuova. Identità e sviluppo 1861-1988, Einaudi, Torino, 1988, p. 152.

76. Atti del Parlamento italiano, Camera dei deputati, Sessione del 1867, 25 gennaio 1869, p. 8965.

77. Atti del Parlamento italiano, Camera dei deputati, Sessione 1863-1864, p. 4181 e p. 6760.

nenti della Sinistra e corrispondeva a una diversa disposizione nei confronti della Corona, che segnò l’avvio di una serie di liturgie unitarie intorno alla fi gura del Re78.

La personalizzazione del potere è la manifestazione più tipica della rega- lità, opposta al potere delegato, invisibile, irresponsabile che si era affermato con i sistemi rappresentativi elitari tra Otto e Novecento. Il tentativo di Crispi fu però di rinnovare questo schema, di concentrare il potere nella sua perso- na, non solo con uno stile risoluto, ma anche attraverso la creazione del mito di sé stesso79. Lasciando invece al sovrano una funzione unifi cante residuale

a livello simbolico. È, del resto, in questi anni che si tentò, riuscendovi solo in parte, di costruire l’immagine di una monarchia estranea alla lotta politica, che, dopo aver svolto una funzione unifi cante nel Risorgimento, ora si ritra- eva dall’agone per incarnare la statualità e l’unità della nazione nel tempo. Alla sua morte, nel 1878, Vittorio Emanuele II fu tumulato, nonostante il suo diverso desiderio, nel Pantheon di Roma, mentre il suo successore non seguì più la numerazione dei re sabaudi, assumendo il nome di Umberto I, proclamando, con una formula che riecheggiava signifi cativamente quelle antiche celebranti la continuità del potere regale: «Italiani, il Vostro primo Re è morto. Il suo successore vi proverà che le Istituzioni non muoiono».

Lo Stato, nella sua forma monarchica, doveva allora essere, per Crispi, sopra di tutto, ma in particolare sopra la Camera e le sue divisioni. Era neces- sario svuotare l’organo rappresentativo di ogni carica confl ittuale. Il mandato dei deputati doveva essere esclusivamente legislativo e non politico; le diffe- renze andavano annullate nella “rappresentanza della nazione”, per ricosti- tuirsi in aula solo in termini di maggioranza e opposizione intorno all’azione di governo. Partiti e parlamento erano immaginati come una “funzione di governo”. Di qui il deciso rifi uto del trasformismo e l’idea di un bipartiti- smo perfetto che si defi nisse intorno all’indirizzo politico del Gabinetto e a un Presidente del Consiglio capace di imporsi. Di qui, infi ne, l’idea di un ridimensionamento dell’assemblea in favore di un esecutivo forte, genuino interprete del senso dello Stato.

Sul piano del pensiero giuridico, la centralità crispina dello Stato e del- la sua sovranità trovarono eco nella svolta orlandiana con la penetrazione del “metodo giuridico” che, come acutamente scriveva Mosca, rispondeva all’esigenza di «sottrarre il diritto costituzionale alla pressione dei partiti, ossia alle varie correnti e forze politiche». Ciò avveniva però contraddicen- do i sostenitori del metodo storico-politico, cui lo stesso Mosca si poteva ascrivere, che, non ritenendo possibile una simile purifi cazione del diritto costituzionale, cercavano piuttosto di «ottenere il miglior equilibrio giuridi- co di queste forze, che è possibile attuare grazie la presente forma di governo

78. F. Luciani, La Monarchia popolare. Immagine del re e nazionalizzazione delle masse negli anni della Sinistra al potere (1876-1891), in «Cheiron», XIII, p. 141.

rappresentativo»80. Tutti però sembravano concordi nello sforzo di consoli-

dare piuttosto che abbattere le istituzioni rappresentative unitarie.

Queste idee presero forma con l’azione di Crispi come Presidente del Consiglio, tanto da segnare una fase nuova nella vicenda parlamentare italia- na. Due momenti distinti si possono individuare nella sua parabola al potere. Il primo che va dal 1887 al 1891, nel corso del quale due diverse compagini di governo si susseguirono. Il secondo, successivo ai ministeri di Rudinì e Giolitti, che va dal 1893 al 1896. Anche in questo caso con un cambio di formazione ministeriale. Repressione e riforme, furono le parole d’ordine crispine81. Repressione di ogni opposizione nel nome dell’unità nazionale e

riforme guidate da un sincero progressismo positivista.

Cosa caratterizzò lo “stile” di governo di Crispi? Molti giudizi positivi e negativi si sono succeduti nel tempo. A noi in particolare interessa quello che lo ha defi nito come una dittatura parlamentare convertitasi in dittatura personale82, con ciò riferendosi a un atteggiamento disinvolto nell’avvalersi

delle prerogative regali nel prorogare i lavori parlamentari, con chiusure di sessioni e con l’uso dello scioglimento, accentuando il legame del governo con la Corona, a discapito del confronto con la Camera83. Il modello di

Crispi era Bismark, di cui ammirava la dedizione di statista, ma che imitò anche nei modi e nell’aspetto. Il fi ne giustifi ca i mezzi. È questa forse la caratteristica più rilevante delle sue scelte politiche, che lo spinse ad ac- crescere signifi cativamente la sua posizione istituzionale di Presidente del Consiglio, assumendo anche la titolarità del ministero dell’Interno e per i primi due esecutivi anche quella degli Esteri84. Certo è che, salito al potere,

egli fi nì per vedere nel parlamento un ostacolo al suo progetto più che una risorsa, benché, pure per cultura, non fu in grado, o non volle mai liberarse- ne completamente.

La svolta crispina fi nì per essere una svolta autoritaria85. Il secondo trien-

nio di governo seguì gli scandali bancari che minarono ulteriormente il ri- spetto verso la Camera dei deputati. La nuova stagione politica si caratte-

80. G. Mosca, Appunti di diritto costituzionale, Società editrice libraria, Milano, 1908,, p. 7. Sul punto si veda M. Fioravanti, Gaetano Mosca e Vittorio Emanuele Orlando, due itinerari paralleli (1881-1897), cit., 2001, pp. 183-184.

81. A. Blando, op. cit., p. 64.

82. G. Maranini, Storia del potere in Italia (1848-1967), Corbaccio, Milano, 1995, p. 205. 83. P. Colombo, Gli esecutivi monarchici nella svolta di secolo: dalla ‘dittatura parla- mentare’ di Crispi al primo dopoguerra, in S. Rogari, Rappresentanza e governo alla svolta del nuovo secolo, Firenze University Press, Firenze, 2006, p. 158.

84. Crispi non aveva nascosto la sua ammirazione per la dittatura di Garibaldi in Sicilia: «la dittatura con tutti i benefi zii senza i suoi vizii, l’unità del potere illuminata dalla pubblica opinione, la sovranità della nazione senza violenze e senza i traviamenti della passione». Cfr. F. Crispi, Giuseppe Garibaldi, in «Nuova Antologia», XVII, 63, 1882, ora in F. Crispi, Scritti e discorsi politici di Francesco Crispi (1849-1890), Unione cooperativa editrice, Roma, 1890, pp. 635-643.

rizzò da subito per un ulteriore inasprimento della repressione sociale e per la politica di espansione coloniale. La caduta di Crispi, dopo Adua, sancì il fallimento del suo rifi uto di riconoscere la Camera come luogo di mediazione e di neutralizzazione dei confl itti. E segnò anche la fi ne di un’idea politico- costituzionale fondata sul governo forte, sia pure a Statuto inalterato.

Nel frattempo lo scandalo della Banca di Roma aveva esasperato i senti- menti popolari più radicali e le pulsioni più conservatrici. Il dibattito sul par- lamentarismo riprendeva vigore in questo passaggio storico. Nuovi rimedi si immaginarono86. Nel 1896 usciva la prima edizione degli Elementi di scienza

politica di Mosca, il quale, riprendendo la sua critica al regime rappresenta-

tivo, sviluppò ulteriormente il concetto di classe politica. Questa volta, come altri dopo di lui, Mosca insistette sulla necessità di migliorarne la selezione attraverso un reclutamento che doveva avvenire non attraverso l’elezione, ma attraverso meccanismi di cooptazione basati sul merito.

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