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Legalità, costituzione, diritt

È al momento di una crisi di sistema – la trasformazione del fascismo in regime illiberale – che si rivelò la debolezza dello Statuto. Ciò che era stata la

stituzione, in Id., La ricerca dell’ordine perduto. Scritti scelti, il Mulino, Bologna, 2015, pp. 147-175.

80. S. Bartole, Interpretazioni e trasformazioni della Costituzione repubblicana, cit., p. 445.

81. Su questo concetto di “costituzione” v. M. Dogliani, Costituzione (dottrine generali), ora in Id., La ricerca dell’ordine perduto, cit., pp. 23 ss.

82. In buona sostanza secondo l’accezione proposta da A. Barbera, Ordinamento costitu- zionale e carte costituzionali, in «Quaderni costituzionali», 2, 2010, p. 311.

83. Cfr. M. Fioravanti, L’ultimo quarto del Novecento: la trasformazione costituzionale, in La Costituzione democratica, cit., pp. 421 ss.

sua forza, «il pacifi co adattamento» ai tempi, rivelava ora tutti i suoi limiti. Lo Statuto, secondo la cultura del costituzionalismo liberale, era ben poca cosa, specialmente nella parte dedicata ai diritti di libertà. Alle origini, nel 1848, le «[…] formole brevi e generiche, quasi indicazione sommaria di principii direttivi ai quali poscia la legislazione, col suo tecnico sviluppo avrebbe do- vuto e saputo dare il più soddisfacente aspetto e valore giuridico»84; esse, in

fondo, si erano rivelate più che suffi cienti per abbandonare il passato dell’as- solutismo e proporsi come promesse per il futuro.

«Gli articoli del nostro Statuto, per esempio – e ciò a maggior ragione si potrebbe dire per le carte più antiche – somigliano – osservò Santi Romano nel discorso inaugurale dell’anno accademico a Modena nel 1906 – a delle semplici intestazioni di libri, le cui pagine sono state lasciate bianche e che vengono a poco a poco riempite con i materiali che forniscono i nostri usi e costumi politici, le nostre incipienti tradizioni, in una parola, l’evolversi della nostra vita pubblica. Quegli articoli accennano, più che non dicano; anziché regolare gli istituti che menzionano, li presuppongono già regolati; sono come gli indici, per giunta non completi, di un codice infi nitamente più ampio, al quale si riferiscono come se esistesse, ma che in realtà deve ancora venire»85.

Proprio nel 1906 Vittorio Emanuele Orlando commentava la celebre «sen- tenza Mortara» (allora primo presidente della Corte di appello di Ancona) che aveva stabilito il diritto di un gruppo di maestre, in possesso dei requisiti di capacità, di essere iscritte nelle liste elettorali per il voto amministrativo. La sentenza evocava gli articoli dello Statuto (24-32) nei termini di diritti

fondamentali comuni ai due sessi. «Queste dichiarazioni generalissime, che

si leggono nelle carte statutarie, hanno un valore storico altissimo e solenne, ma un valore esegetico quasi nullo. E la ragione non la diremo all’eminente giurista, che scrisse l’annotata sentenza. Dal lato esegetico, una disposizione legislativa ha valore non in quanto è pura astrazione, ma in quanto è norma concreta, capace d’immediate e reali applicazioni»86. La “norma concreta”

nell’universo liberale (1814-1918) è quella che muove dalla centralità del- l’’homo oeconomicus. La garanzia costituzionale (e quindi il costituziona- lismo) può operare principalmente nell’ambito delle libertà economiche, impallidisce quanto più ci si allontana dallo status del proprietario maschio, maggiorenne, capace e dotato di una “rappresentanza” contesa tra pulsioni

ancien régime e alcune forme di innovazione politico-costituzionale.

Non può meravigliare che la normatività debole dello Statuto – come di gran parte delle costituzioni del XIX secolo – producesse i maggiori ri-

84. F. Racioppi, I. Brunelli, Commento allo Statuto del Regno, cit., II, p. 33.

85. S. Romano, Le prime carte costituzionali. Discorso per l’inaugurazione dell’anno accademico nella R. Università di Modena letto il 3 Novembre 1906, Società Tipografi ca Modenese, Modena, 1906, p. 20.

fl essi sul “riconoscimento” e sulla garanzia dei diritti e delle libertà87. Era

arduo confi gurarli come diritti fondamentali dotati di uno status giuridico- costituzionale distinto e peculiare. Nella cultura di matrice liberale l’idea co- stituzionale dei diritti è geneticamente povera. La normatività forte è quella posta in essere dalla legge dello Stato, la norma concreta e immediatamente «applicativa» che limita, individua, dispone dei contenuti, garantisce i diritti. Per dirla con Santi Romano, non sono i catechismi, non sono i programmi né la mera enunciazione a stabilire i diritti. Non è un testo, scritto di getto, a poter seminare diritti e far mettere forti radici. Lo storicismo dei diritti e delle libertà è il vero sostrato del liberalismo giuridico88.

Nel Commento allo Statuto del Regno questa “postura” era colta con la solita precisione: «L’intiera dichiarazione dei diritti pertanto non poteva rive- stire che il dubbio valore d’una raccomandazione ai posteri: nelle sue vaghe e incerte formule né il Governo poteva rinvenire concetti simili all’azione sua verso l’individuo, né questi poteva rinvenire appoggio legale contro quello: e la futura legislazione, lungi dal trovarsi condizionata dalle prescrizioni sta- tutarie, come pur dovrebb’essere se l’avere una costituzione signifi ca posse- dere una legge imperativa anche sugli organi pubblici, è rimasta altrettanto libera che se gli articoli 24-32 non esistessero. Come fu notato acutamente, il nostro Statuto non concede diritti all’individuo, ma semplici presunzioni di diritti: mentre l’esistenza giuridica e il vero contenuto dei diritti subiettivi individuali dipendono affatto dalle leggi che specifi camente ne trattano, ed è in queste che bisogna ricercarli»89.

Nella costruzione dello Stato liberale di diritto il problema delle libertà individuali e del pluralismo politico e sociale è strutturale, costitutivo del rapporto tra autorità e individuo. I liberali stentano a ricondurre il confl it- to ad una dimensione dinamica e “positiva”; ne vedono prevalentemente il profi lo (proprio del privatismo) del disordine e dell’insicurezza90. Lo Stato

liberale di diritto, fondato sul principio classico di legalità, sui meccanismi

87. Cfr., per i riferimenti essenziali, S. Rodotà, Le libertà e i diritti, in Storia dello Stato italiano dall’Unità a oggi, a cura di R. Romanelli, Donzelli, Roma 1995, pp. 301 ss.; M. Fioravanti, Le dottrine dello Stato e della costituzione, ivi, pp. 408 ss.; P. Pombeni, La rappre- sentanza politica, ivi, pp. 73 ss.; B. Clavero, Lo spazio dei diritti e la posizione dei giudici tra costituzione e codice, in «Materiali per una storia della cultura giuridica», 1, 1989, pp. 95-129.

88. «Sin da principio si era sbagliato il metodo. Gli Inglesi, gli Americani, alcuni cantoni Svizzeri traevano le loro libertà dalla storia, i Francesi vogliono ricominciarla» (A. Brunialti, Prefazione. La libertà nello Stato moderno, in Biblioteca di scienze politiche, V, Utet, Torino, 1890, p. XCIII).

89. F. Racioppi, I. Brunelli, Commento allo Statuto del Regno, cit., II, pp. 33-34. 90. Ho sviluppato questo tema in «Alzate l’architrave, carpentieri». I livelli della legalità penale e le “crisi” tra Otto e Novecento, in Le legalità e le crisi della legalità, a cura di C. Storti, Giappichelli, Torino, 2016, pp. 183-205. Il problema è ben delineato sul piano costi- tuzionale da R. Bin, Che cos’è la Costituzione?, cit., pp. 15-17; v. anche M. Dogliani, La Costituzione del 1947 nella sua fase contemporanea, in Lo Stato della Costituzione italiana e l’avvio della Costituzione europea, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, 2003, pp. 48-49.

rappresentativi dell’Öffentlichkeit, non può non legittimare il pluralismo del- le opinioni ma, alla prova dei fatti, ha diffi coltà a “governare” le volontà particolaristiche e il dissenso che eccede la dimensione dello Stato mono- classe. In questo contesto culturale e, direi, antropologico, lo Stato di diritto è sinonimo di sovranità, organicità, stabilità, omogeneità.

Nel 1926 Francesco Ruffi ni91 osserva amaramente l’inizio della fi ne dello

Statuto albertino e della sua cultura dei diritti di libertà. Il grande maestro torinese contrappone a quella che considera la tradizione tedesca, autoritaria, dei Refl exrechte, ora valorizzata dal fascismo (cita Alfredo Rocco), le posi- zioni della grande giuspubblicistica italiana, da Orlando a Romano e la sua cultura dello Stato, limitato dall’ordinamento giuridico. Il legislatore non è il creatore del diritto nel senso pieno e assoluto della parola e per questo non può annullarlo completamente, come «con grande vigoria, un altro maestro di queste discipline, il Ranelletti, aveva già scritto, che lo Stato “non può sop- primere il diritto e l’ordine giuridico, senza negare e distruggere se stesso”. Quella dello Stato, vorremmo poter dire, è, per rispetto ai Diritti di libertà dei cittadini, non una limitazione volontaria e da esso acquisita, sì bene una limitazione necessaria e congenita»92.

La testimonianza di Ruffi ni fu ripresa nell’immediato dopoguerra come indicazione per un nuovo cammino, in un ben diverso contesto. L’opera fu ripubblicata alla vigilia della Costituente da Piero Calamandrei. Nel 1925 Ruffi ni registrava un presente minaccioso e già chiaro, ma il peggio doveva arrivare. Gli fu però risparmiato di vedere quella “morte del diritto” che at- traverso il nazismo portò alla totale abolizione «della nozione di diritto sog- gettivo […] cioè, in sostanza, della stessa rilevanza giuridica della persona:

Kampf wider das subiektive Recht, che poi voleva dire, nel campo morale,

guerra contro la personalità umana»93. Nell’introduzione di Calamandrei si

può leggere il senso dell’apertura del nuovo cantiere costituente e di un ordi- ne costituzionale in fi eri. «I diritti di libertà non devono infatti concepirsi, in regime democratico, come il recinto di fi lo spinato entro cui il singolo cerca scampo contro gli assalti della comunità ostile, ma piuttosto come la porta che gli consente di uscire dal suo piccolo giardino sulla strada, e di portare di lì il suo contributo al lavoro comune: libertà, non garanzia di isolamento egoistico, ma garanzia di espansione sociale. Dove questi diritti sono sop- pressi, lì veramente, quasi per tentar di nascondersi all’invadente oppressio- ne dell’autorità, l’individuo si rinchiude in sé stesso e perde il senso della solidarietà collettiva»94.

91. Diritti di libertà, seconda edizione con introduzione e note di P. Calamandrei, Sansoni, Firenze, 1946.

92. Ivi, pp. 135-136.

93. P. Calamandrei, L’avvenire dei diritti di libertà, introduzione alla seconda edizione di F. Ruffi ni, Diritti di libertà, cit., p. X.

Ora si poteva parlare di avvenire dei diritti di libertà. Una nuova legali- tà, quella dello Stato costituzionale, era all’orizzonte95. La Costituzione del

1948 fu il frutto di una sofferta presa di coscienza di nuovi paradigmi e di uno sforzo straordinario per «integrare all’interno del sistema forze e cultu- re politiche profondamente differenti»96. L’esercizio del potere costituente,

disciplinato dai partiti, determinava la costruzione di un nuovo ordine co- stituzionale nel quale il pluralismo e il confl itto97 trovavano “spazio” e la

democrazia poggiava sull’idea di supremazia normativa della Costituzione con molteplici e (talvolta impreviste: basti solo pensare al ruolo poi svolto dalla Corte costituzionale) conseguenze di lungo periodo.

7. Conclusioni

Le “celebrazioni” servono per ritornare a rifl ettere a ogni tornante sulle “domande di senso” della nostra Costituzione. Il problema della storicizza- zione più aiutare a non cadere nella trappola dell’assolutizzazione. In questo contesto i due settantenni vanno letti soprattutto in chiave di “differenza”, e in taluni casi di “alterità”. Ma non bisogna neppure leggere la storia costi- tuzionale italiana come la “sommatoria” di tre “storie” staccate: del costi- tuzionalismo liberale, del «totalitarismo» imperfetto98 del fascismo, del co-

stituzionalismo democratico-sociale della Repubblica. Queste tre scansioni fondamentali della storia contemporanea italiana possiedono, ovviamente, un’innegabile consistenza e determinano comprensibili specialismi. La sto- ria costituzionale italiana presenta senza dubbio forti e decisivi elementi di discontinuità ma ciò non deve far dimenticare le permanenze, la lunga durata di culture e istituzioni, spazi complessi di transizione dove a predominare è il colore grigio99. Questo è, a bene vedere, uno dei motivi di interesse della

storia costituzionale italiana.

95. Sulla dimensione della nuova legalità costituzionale v. per tutti P. Grossi, L’invenzione del diritto, Laterza, Roma, 2017.

96. F. Lanchester, La stella polare del costituzionalismo, in «Nomos. Le attualità nel di- ritto», 1, 2018, p. 2.

97. Su questo tema più ampiamente M. Dogliani, Origine e sviluppo dell’ordinamento costituzionale italiano, in Id., Alla ricerca dell’ordine perduto, cit., pp. 51-89.

98. L’uso e il signifi cato in G. Melis, La macchina imperfetta. Immagine e realtà dello Stato fascista, il Mulino, Bologna, 2018.

99. In questo senso v. almeno i numeri monografi ci della «Rivista trimestrale di diritto pubblico», 1, 2018, “Le grandi voci lontane”. Ideali costituenti e norme costituzionali, e del «Giornale di storia costituzionale/Journal of Constitutional History», 36, II, 2018, Storia e storiografi a costituzionale in Italia: caratteri originari e nuove tendenze. Per i 70 anni della Costituzione italiana.

Idee di costituzione dei redattori

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