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Le clausole europee nei primi stati aderenti alla CEE: una insupera bile inadeguatezza o una scelta ponderata?

Stefania Ninatt

3. Le clausole europee nei primi stati aderenti alla CEE: una insupera bile inadeguatezza o una scelta ponderata?

Le costituzioni del secondo dopoguerra si sono così poste, fi n da subito, il problema di quale spazio riconoscere al diritto internazionale nella trama del proprio ordinamento. Tale dilemma si può facilmente cogliere leggendo le carte costituzionali di Francia, Belgio, Olanda, Lussemburgo e Germania che, insieme all’Italia, procedono pioneristicamente alla ratifi ca prima del Trattato Ceca e, in seguito, dei Trattati Cee ed Euratom. Così come è suc- cesso per la formulazione dell’art. 11 Cost. it., anche i primi Stati aderenti al processo di integrazione europea si trovano di fronte all’esigenza di discipli- nare una materia di per sé diffi cilmente disciplinabile, in quanto afferente il campo non solo di relazioni internazionali future, ma anche (per loro natura) in perenne divenire.

Nel percorrere questa ricerca si è ben consci che il dato costituzionale si presta a diverse angolature d’analisi quali, classicamente, la soluzione dei confl itti fra fonti interne e sovranazionali, le istituzioni coinvolte, i poteri e limiti per procedere nell’integrazione europea (e, contestualmente eventuali specifi che modifi che alle rispettive carte costituzionali), ecc.14. Tuttavia il le-

13. A. Cassese, L’infl uenza delle grandi rivoluzioni nazionali sui principi della comunità internazionale, in «Pol. Dir.», 1989, p. 190. Dal punto di vista giuridico risulta perciò oppor- tuna l’osservazione di autorevole dottrina secondo cui «le forme giuridiche sono sempre la conseguenza e non le premesse della realtà politica che le precede» (P. Calamandrei, Stato federale e confederazione di Stati, in Id., Scritti e discorsi politici, La Nuova Italia, Firenze, 1966, p. 417). Più specifi camente nota A. Pisaneschi, Costituzione e diritto internazionale, in «Riv. Trim. Dir. Pubbl.», 2016, p. 794, come i processi costituenti del secondo dopoguerra in Europa abbiano segnato «la necessità di ricostruire le identità dei popoli e degli Stati, di delineare modelli di sviluppo e di ampliamento di diritti che, pur avendo un certo grado di universalizzazione dei derivanti da una matrice costituzionale europea, rifl ettevano tuttavia momenti di reazione alle storie pregresse di ogni paese e modelli di emancipazione sociale legate alle caratteristiche delle società di ciascun paese».

14. Si è altrettanto consci che, almeno inizialmente, è proprio il dato costituzionale a fornire il terreno di appoggio del processo di integrazione europea. Tuttavia, come ampiamente

gislatore costituente, nel momento della scrittura, dice – più o meno esplici- tamente – anche di una posizione ultima dello Stato rispetto all’integrazione europea, ed è questa angolazione che ora ci accingiamo a prendere in esame, per quanto possibile. In un certo (limitato) senso si sta cercando di capire se possiamo cogliere qualche rifl esso di «constitutional moments» all’interno delle costituzioni dei primi Stati membri riguardo alla questione europea15.

In linea di massima, come si è anticipato, i primi Stati fondatori scelgono di predisporre delle generiche norme di apertura al diritto internazionale al cui interno trova legittimazione anche la partecipazione al processo di inte- grazione europea. Si spazia così da norme che disciplinano limitazioni di sovranità – a condizione di reciprocità – a favore di organizzazioni sovrana- zionali che assicurino la pace (Italia e Francia nel preambolo) a disposizioni su veri e propri trasferimenti di sovranità (Germania), per fi nire in specifi - che previsioni costituzionali sull’effi cacia del diritto dei trattati all’interno dell’ordinamento statale (Olanda) o ad ordinamenti, quali il Belgio che, vi- ceversa, per lungo tempo non si dota di simili clausole. Si deve considerare, inoltre, che non fu da subito chiaro che con i trattati comunitari si era davanti ad un fenomeno singolare, non ascrivibile tout court al diritto internazionale in quanto tale e, di conseguenza, non interamente ricompreso nelle mere clausole costituzionali di favor internazionale.

In questa prospettiva la dottrina ha anche sostenuto la tesi secondo cui, in ultima analisi, le clausole costituzionali predisposte per disciplinare l’inte- grazione europea, per loro stessa natura, si siano rivelate ampiamente «inef- fi cienti», in quanto mostrano come le costituzioni non fossero preparate ad assimilare il nuovo ordinamento giuridico sovranazionale i cui primi pas- si si datano negli anni Cinquanta: e tale fatto era dovuto «non tanto alla mancata previsione costituzionale di clausole che consentissero l’adesione dello Stato a organizzazioni internazionali, quanto alle peculiari caratteristi- che insite tanto alla creazione come allo sviluppo dell’ordinamento giuridico comunitario»16.

osservato dalla dottrina, nel tempo questo rapporto muterà profondamente trasformandosi progressivamente in un rapporto di forte interdipendenza: più approfonditamente si veda J. Wouters, National Constitutions and the European Union, in «Legal Issues of Economic Integration» 1/2000, pp. 25-92, in special modo p. 90.

15. Rispetto alla teoria riguardante il concetto di “constitutional moment” si veda, per tutti, B. Ackermann, We the People, Cambridge, Belknap Press – Harvard University Press, 1993. Più in particolare, un’analisi della presente crisi vista attraverso l’assenza di un percorso costituzionale comune da parte degli stati membri dell’Unione Europea, può essere letta in B. Ackerman, Three Paths to Constitutionalism – and the Crisis of the European Union, in «British Journal of Political Science», 2015, p. 705 ss. (ora anche in Id., Revolutionary Constitutions, Belknap Press – Harvard University Press, Cambridge, 2019).

16. C. Storini, Integrazione europea e clausole costituzionali: la insuperabile ineffi cienza delle clausole “Unione “Europea”, in Aa.Vv., Sovranità, rappresentanza, democrazia. Rap- porti fra ordinamento comunitario e ordinamenti nazionali, Jovene, Napoli, 2000, p. 585.

3.1. L’art. 11 della Costituzione italiana

Il dibattito che si svolse in sede costituente permette di cogliere limpi- damente i grandi ideali che si muovono dietro al testo costituzionale del ‘48: si condanna aspramente la visione dello Stato nazionale sciolto da le- gami internazionali – «lo Stato assoluto, il quale non è membro che prov- visoriamente della comunità internazionale» realizza «una concezione così inumana...»17 –, se ne auspica la sua limitazione in favore di una generica

forma di organizzazione internazionale che allontani lo spettro della guerra, che garantisca la pace nel futuro – «Non solo l’Italia consente alle limita- zioni di sovranità, l’Italia vuole queste limitazioni di sovranità. È l’Italia cosciente di un nuovo ordine pacifi co, è l’Italia che è alla base dell’organiz- zazione della pace, ed ha interesse a questa organizzazione»18 –, si privilegia

l’aspetto ideale nella formulazione della norma alla defi nizione puntuale di tutti i corollari tecnici – «Debbo far notare come anche qui aleggia nell’Au- la su tutti noi un’ispirazione comune, un’esigenza da tutti sentita di con- dannare la guerra e di tendere ad un’organizzazione internazionale. Questo è il punto comune. Le altre diventano piuttosto questioni di formulazione tecnica»19.

Un interesse forte, dunque, muove i costituenti, ed è quello di sancire vi- gorosamente il ripudio della guerra, l’ideale della pace, dell’organizzazione comune fra gli Stati, della convivenza tollerante ed operosa all’interno dello spazio internazionale, ed innanzitutto europeo: appare diffi cile, infatti, nega- re che, se anche la formulazione dell’art. 11 Cost. si rivolge a qualsiasi forma di organizzazione internazionale – e tante speranze si volgevano inequivoca- bilmente alla costituzione dell’ONU –, nondimeno la proposta di inserire la locuzione “Stati uniti d’Europa” (o, più genericamente, future organizzazio- ni europee), viene alla fi ne ritirata semplicemente perché: «tale riferimento

17. La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea costituente, I, p. 321, intervento di La Pira.

18. La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea costituente, I, p. 608, intervento di Zagari.

19. La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea costituente, I, p. 609, intervento di Ruini; si comprende così uno dei motivi per cui la formulazione dell’art. 11 Cost. sia stata volutamente generica, come sottolinea anche A. Cassese, Art. 11, cit., p. 579: «l’espressione “limitazioni di sovranità” non venne usata in senso tecnico, bensì in un senso generico e atecnico, ossia nel senso di amplii e penetranti vincoli internazionali». Più specifi camente sulla lettura estensiva delle limitazioni di sovranità si veda anche S. Bartole, Interpretazioni e trasformazioni della Costituzione repubblicana, il Mulino, Bologna, 2004, p. 282. Sull’art. 11 nel dibattito della costituente si veda anche P. Faraguna, Costituzione senza confi ni? Principi e fonti costituzionali tra sistema sovranazionale e diritto internazionale, in F. Cortese, C. Caruso, S. Rossi (a cura di), Immaginare la Repubblica. Mito e attualità dell’Assemblea Costituente. 70 anni dell’Assemblea Costituente e della Costituzione, Mila- no, FrancoAngeli, pag. 63 ss. Per una ricostruzione del dibattito politico e giuridico di quel periodo si veda L. Violini, Passato e presente in dialogo sul futuro dell’Europa. Quasi una antologia, in «Federalismi», 1° agosto 2018.

venne da più parti considerato già implicito nella locuzione “organizzazioni internazionali”»20.

Se questo è lo sfondo sui cui si cala la discussione politica e giuridica sull’art. 11 in sede di assemblea costituente, non si può negare che il perno di questa costruzione diviene quella previsione di limitazioni (non cessioni!) di sovranità: esse fi niscono per innovare «nella loro ‘ingenua’ chiarezza» l’importanza della disposizione tanto da farne «un elemento centrale di ogni nuova possibile teoria delle relazioni internazionali»: è stato anche detto che «si potrebbe dire che la portata innovativa di questa formula ha un valore intrinseco maggiore che il ripudio stesso della guerra»21. In tale senso, i ri-

chiami sottesi al dibattito costituente sui futuri Stati uniti d’Europa condivi- dono con il ripudio della guerra e l’ideale della coesistenza pacifi ca fra stati nell’ordinamento internazionale il tentativo di superare una concezione di sovranità chiusa a livello interno. In ultima analisi, è questa la grande sfi da – e, forse, anche il grande limite – che tali tipi di clausole costituzionali del dopo guerra tendono ad affrontare.

Le clausole costituzionali a favore di uno Stato aperto mostrano così di essere, più che semplici norme programmatiche o di stile, esplicazione di un preciso pensiero giuridico sullo Stato, secondo cui esso non è più visto come un soggetto pubblico ab origine autoritario che solo in seguito liberamente si autodetermina e autolimita, quanto piuttosto un ente che, dal momento stesso della sua nascita, partecipa in modo costitutivo ad un sistema giuri- dico internazionale22. Se questa caratteristica dello Stato costituzionale dei

nostri giorni sembra quasi essere una soluzione obbligata dinanzi alla fi ttis- sima trama di rapporti internazionali e sovranazionali, nonché alla valenza

20. A. Cassese, Art. 11, cit., p. 578. Così attualmente la dottrina maggioritaria legge di conseguenza l’art. 11: esemplarmente L. Paladin, Le fonti del diritto italiano, il Mulino, Bo- logna, 1996, p. 439: «A ragione la Corte costituzionale – nella sentenza n. 183 del 1973 – ha rilevato che l’art. 11 appare ispirato a “principi programmatici di valore generale” (non ri- guardanti la sola adesione all’ONU), di cui la Comunità economica e le altre organizzazioni regionali europee costituiscono concreta attuazione».

21. L. Bonanate, Art. 11, cit., pp. 35-36.

22. Così esemplarmente S. Bartole, La nazione italiana e il patrimonio costituzionale europeo. Appunti per una prima rifl essione, in «Dir. Pubbl.», 1997, pp. 3-4, può parlare a proposito del dibattito che si svolse in seno alla Costituente riguardo i rapporti internazionali di una «consapevole accettazione del rapporto di dipendenza che, passo dopo passo, anda- va instaurandosi fra ordine interno degli Stati ed ordinamento internazionale», per cui «con Calasso si paventò una limitazione di sovranità, quando invece era in gioco l‘ingresso in un sistema nuovo e diverso di relazioni internazionali, capace di coinvolgere al tempo stesso vinti e vincitori». Perciò l’apertura dello Stato a favore delle organizzazioni sovranazionali, disposta dalla costituzione, corrisponde anch’essa ad un suo modularsi dinamico e adeguato allo sviluppo delle relazioni internazionali; la condizione di reciprocità – in parte corrispettivo del criterio di pariordinazione fra Stati sancito dal diritto internazionale – a cui soggiaciono normalmente tali clausole dimostrerebbe appunto che la restrizione di sovranità non equivale ad una sua perdita, quanto piuttosto ad un suo esercizio condiviso in funzione di un fi ne, sanci- to dalla costituzione, che necessita per il suo perfezionamento della cooperazione degli Stati.

di principi giuridici che vanno progressivamente ampliando il loro ambito d’applicazione, si deve comunque riaffermare che essa è stata oggetto di una scelta puntuale e voluta da parte dei costituenti23.

Non è questa la sede per addentrarsi oltre in questo tema: si deve però evidenziare che, con la copertura dell’elasticità, l’art. 11 è stato messo in ogni modo sotto pressione, perché tale disposizione è riuscita, come ben si può cogliere nell’evoluzione dei rapporti con l’ordinamento comunitario, a tramutarsi in una sorta di passepartout, in grado di forzare molti dei passaggi intrappolati nella rigidità costituzionale. Ma questo può a ragione ripetersi anche per altre materie poiché, in ultimo, le clausole di apertura al diritto in- ternazionale è come se aprissero una fi nestra sulle esperienze fuori dai confi - ni nazionali24 ed esponessero l’ordinamento domestico a infl uenze giuridiche

esterne, con tutte le conseguenze che ne derivano (e con cui le giurispruden- ze delle Corti supreme, in prima battuta, dovranno fare i conti)25.

3.2. Le costituzioni degli altri: uno sguardo sintetico sulle clausole europee dei primi stati membri della nascente Comunità Economica Europea

Se, fi nora, ci siamo soffermati esemplarmente sul caso italiano si è, tut- tavia, già anticipato che la scelta costituzionale verso lo “Stato aperto” alle relazioni sovra- e internazionali ha accomunato, con diversi accenti e diverse sfumature, molte costituzioni europee del secondo dopo guerra.

Guardando ai primi Stati fondatori della Comunità Economica Europea può essere interessante cominciare l’analisi dal caso olandese, anche per i singolari sviluppi giurisprudenziali che da esso discendono.

Sebbene nel corso del Novecento la discussione dottrinale sulle teorie mo- niste e dualiste nonché sulla posizione da riconoscere ai trattati internazionali

23. Ed in tale direzione l’art. 11 Cost. è stato letto, fi n dalle prime storiche sentenze, dalla Corte costituzionale, che ha progressivamente confi gurato i capisaldi teorici dell’interpreta- zione della suddetta disposizione e, quindi, della materia della limitazione della sovranità, sebbene principalmente all’interno di un contesto speciale quale quello comunitario. Il giudice costituzionale ha incominciato con il richiamo sul contenuto logico-giuridico dell’art. 11 Cost., ritenendo che alla dichiarazione dell’art. 11 non possa essere dato «il valore di un’astratta enunciazione di principi politici», bensì quello di «una vera e propria autorizzazione preven- tiva al legislatore ordinario a introdurre limitazioni della sovranità nazionale» (sentenza n. 14/1964). In seguito ha defi nito ulteriormente i tratti peculiari della giuridicità dell’articolo, specifi cando che esso è una disposizione non soltanto sostanziale ma anche procedurale, cioè che «se l’ipotesi delle limitazioni di sovranità è già contenuta nella costituzione, e sono già defi niti i fi ni e le condizioni ai quali la sua realizzazione è subordinata, non si vede perché si debba far ricorso alla procedura di revisione costituzionale per renderla attuale, ove quei fi ni e quelle condizioni siano rispettati» (sentenza n. 183/1973).

24. V. Onida, I sessant’anni della Costituzione italiana, in «federalismi», n. 1/2008, p. 2. 25. R. Niro, Il vento di Strasburgo sui diritti inviolabili: note a margine di qualche pro- nuncia della Corte Europea dei diritti dell’uomo, in Scritti in onore di A. Pace, ESI, Napoli, 2012, pag. 2254.

nel sistema interno delle fonti fosse particolarmente vivace in dottrina, nella carta costituzionale olandese per lungo tempo non compare alcun riferimento – anche solo in via di meri principi generali – al rapporto fra diritto interno e diritto internazionale. Con le modifi che del secondo dopo guerra, nel 1953 (specifi cate, poi, da ulteriori emendamenti costituzionali nel 1956), la for- te apertura dello stato olandese alle relazioni internazionali viene viceversa sancita all’interno della costituzione tramite, in particolare, due disposizio- ni26: con l’art. 65, da un lato, si afferma il principio del primato del diritto

internazionale – tale per cui disposizioni legislative interne in contrasto con disposizioni contenute in trattati internazionali, sia antecedenti sia successive a quest’ultime, non possono essere applicate –, dall’altro, con l’art. 66 si sta- bilisce il principio dell’applicazione diretta27. La scelta operata dai costituenti

olandesi risulta particolarmente coraggiosa e innovativa innanzitutto poiché veniva applicata anche alle «decisions of international organizations» (art. 67) – così riferendosi alla recente ratifi ca dei trattati comunitari e al diritto se- condario ad esso collegato – e poi anche perché sottopone l’approvazione dei trattati ad un complesso controllo di costituzionalità ad opera del Parlamen- to, escludendo esplicitamente le corti da tale verifi ca28. A premessa di questa

scelta si deve sottolineare come, a differenza di molti altri testi costituzionali del dopo guerra, non compaia nella carta olandese alcun riferimento ad even- tuali limitazioni di sovranità: più precisamente, nella costituzione olandese è assente alcun riferimento alla sovranità in generale, risultando così tale impo- stazione come «un’anomalia nel contesto del costituzionalismo europeo»29.

26. Si noti, per inciso, che queste modifi che furono introdotte con lo sguardo rivolto all’al- lora prossima (poi fallita) approvazzione della Comunità Europea di Difesa. Più ampiamente si veda M. Claes, B. De Witte, Report on the Netherlands, in A.M. Slaughter, A. Stone Sweet, J.H.H. Weiler (eds.), The European Court and National Courts – Doctrine and Jurisprudence. Legal Change in its Social Context, Hart Publishing, Oxford, 1998, pp. 172 ss. Si veda anche, L. Erades, International Law and the Netherland’s Legal Order, in H.F Van Panhuys (eds.), International Law in the Netherlands, Asser Institute, the Hague, 1980, pp. 432-433.

27. Secondo la specifi ca dizione dell’art. 66 Cost., «agreements shall be binding on anyone insofar as they will have been published». Per la disciplina costituzionale attualmente vigente in quest’ambito si vedano gli artt. 90-95.

28. Secondo la numerazione attuale della costituzione olandese, ex art. 120, «The constitutionality of Acts of Parliament and treaties shall not be reviewed by the courts». Per quanto riguarda l’approvazione e la ratifi ca di un trattato è poi prevista una speciale procedura all’art. 91, secondo cui «The Kingdom shall not be bound by treaties, nor shall such treaties be denounced without the prior approval of the States General. The cases in which approval is not required shall be specifi ed by Act of Parliament. 2. The manner in which approval shall be granted shall be laid down by Act of Parliament, which may provide for the possibility of tacit approval. 3. Any provisions of a treaty that confl ict with the Constitution or which lead to confl icts with it may be approved by the Houses of the States General only if at least two- thirds of the votes cast are in favour».

29. In proposito si rimanda al saggio di B. De Witte, Do Not Mention the Word: Sovereignty in Two Europhile Countries, Belgium and the Netherlands, in N. Walker (ed.), Sovereignty in Transition, Hart Publishing, Oxford, 2003, in particolare p. 359 (la traduzione è nostra).

Queste audaci e puntuali affermazioni della legge fondamentale olandese vengono subito messe alla prova all’indomani dell’entrata in vigore dei Trat- tati di Roma (1957). Con una serie di questioni riguardanti la diretta appli- cabilità delle disposizioni comunitarie viene a più riprese chiesto al giudice comunitario di chiarire i dubbi rimasti irrisolti dalla nuova disciplina costitu- zionale una volta messa a confronto con l’esperienza comunitaria: la risposta alla fi ne fornita dai giudici di Lussemburgo nel famosissimo caso Van Gend

and Loos del 1963 sulla diretta applicabilità del diritto comunitario30, come è

noto, va ben oltre i confi ni dei Paesi Bassi e porta a circolare in tutta Europa i principi che la costituzione olandese del 1953, precorrendo i tempi, aveva innovativamente inserito negli art. 65-67 Cost.31.

Nel tempo sono intervenute modifi che minimali su quest’impianto, e anche la proposta di riconoscere il fenomeno comunitario direttamente in costituzione – invece del mero riferimento ai trattati e alle decisioni interna- zionali – non ha mai avuto seguito nelle riforme costituzionali via via succe- dutesi. È importante soffermarsi su questo approccio, se così si può defi nire “pragmatico”, in cui la questione della sovranità non entra minimamente in gioco mentre il punto di appoggio della costruzione si fonda sul rapporto fra fonti e sull’applicazione dei criteri di soluzione delle antinomie normative, poiché questo sarà, in ultima analisi, il punto di vista utilizzato dalla Corte di giustizia per dirimere le varie controversie che saranno volta a volta sollevate dagli Stati membri.

Tra gli Stati fondatori il vicino Belgio – seppur storicamente accomuna- to di fatto allo stato olandese da una posizione decisa di apertura al diritto

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