LE POLITICHE REGIONALI PER L’INSERIMENTO LAVORATIVO DELLE PERSONE DISABIL
7. Alcune riflessioni sui modelli regionali.
Le strategie regionali poste in essere al fine di attuare le finalità del collocamento mirato si differenziano a seconda che i modelli siano incentrati sul potenziamento dei servizi pubblici oppure sul coinvolgimento dei soggetti privati.
Caratteristica comune di entrambi i modelli regionali è che l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro è favorito per il tramite di percorsi individuali e personalizzati in ragione delle esigenze e della capacità del soggetto; se ciò non sorprende qualora l’erogazione dei servizi spetti a operatori privati, appare significativo che anche gli uffici pubblici abbiano mostrato di voler recepire quel modus operandi tipico dei primi, per loro natura più attenti alle esigenze personali del singolo cliente, in controtendenza rispetto all’approccio tradizionale degli uffici pubblici caratterizzato dalla imparzialità e dalla gestione burocratica dei servizi per i propri utenti.
L’adozione di un modello in prevalenza “pubblicistico” o in prevalenza “privatistico” comporta una vera e propria scelta di politica regionale. Il “modello pubblicistico”, incentrato sul potenziamento e la collaborazione tra i soggetti pubblici (Centri per l’impiego, Servizio sanitario, Servizi sociali), è per lo più volto a favorire l’inserimento di persone che presentano una capacità lavorativa più elevata nel mondo del lavoro c.d. ordinario; il “modello privatistico” persegue l’obiettivo primario di favorire l’inclusione sociale dei disabili più gravi in ambienti protetti, quali le cooperative sociali, e, semmai attraverso tale percorso, favorire ove possibile la reperibilità di un’occupazione nel mercato ordinario. Questi soggetti, nel primo modello, sono più facilmente avviati verso programmi di assistenza sociale e sanitaria, anziché di inclusione lavorativa329.
Gli strumenti di politica attiva predisposti a livello regionale integrano il sistema del collocamento mirato delineato dalla legge n. 68 del 1999 e gestito dai Centri per l’impiego territoriali. Quest’ultimo è concepito in modo che una volta che il soggetto
erogata nell'ambito di un percorso concordato, finalizzato a superare le condizioni di difficoltà del richiedente e del relativo nucleo familiare. La misura è attuata dal Servizio sociale dei Comuni, in collaborazione con i Servizi pubblici regionali competenti in materia di lavoro, per un periodo sperimentale di tre anni. I Servizi pubblici regionali competenti in materia di lavoro si impegnano a collaborare promuovendo il superamento delle condizioni di difficoltà tramite l'utilizzo degli strumenti di politica attiva del lavoro previsti dalla vigente normativa statale e regionale, anche nell'ambito della programmazione del Fondo sociale europeo. I beneficiari della misura sono i nuclei familiari, anche monopersonali, con Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) inferiore o uguale a 6.000 euro. L'ammontare massimo mensile dell'intervento è pari a 550 euro e ha durata di 12 mesi, rinnovabile per un altro anno dopo due mesi di interruzione.
329 A livello nazionale si segnala l’emanazione della l. 22 giugno 2016, n. 112 recante
“Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare”, v. DI LANDRO A.C., La destinazione patrimoniale a tutela dei soggetti deboli. Riflessioni sulla l. 22 giugno 2016, n. 112, in favore delle persone con disabilità grave, in Nuove leggi civ. comm., 2017, 1, 47 ss.
disabile abbia chiesto l’iscrizione nelle liste per il collocamento, sia stato verificato il possesso dei requisiti necessari, sia stata valutata la sua capacità lavorativa da parte del Comitato tecnico, e sia stato collocato nelle graduatorie per l’avviamento, per tale soggetto inizia un periodo di attesa di durata non predeterminabile, e spesso molto lunga, prima (forse) di essere avviato verso un’occupazione lavorativa. Gli strumenti approntati dalle politiche regionali si inseriscono in questo momento di passività e inerzia del soggetto disabile, offrendogli servizi di vario genere e un supporto economico per la loro fruizione, al fine di consentirgli di sfruttare tale lasso di tempo per migliorare le sue conoscenze, competenze e abilità, e, in conseguenza, di conservare o incrementare la propria capacità lavorativa. Ciò dovrebbe consentire all’aspirante lavoratore di potersi collocare in una migliore posizione in graduatoria e di essere più appetibile per i datori di lavoro obbligati all’assunzione, migliorando l’aspettativa e l’opportunità di tali persone di trovare un’occupazione330.
Quale sia il modello più adatto a favorire l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità dipende dalle caratteristiche delle differenti realtà territoriali; in particolare, dal numero di persone iscritte alle liste per il collocamento, dal grado di sviluppo delle attività imprenditoriali, dalle loro dimensioni e dalla loro capacità di assorbire la domanda di lavoro, nonché dalla presenza di cooperative sociali e, infine, dalle risorse economiche disponibili e/o reperibili.
A ben vedere entrambi scontano delle questioni problematiche. Il “modello privatistico” può portare a fenomeni di “ghettizzazione” soprattutto con riguardo ai disabili più gravi, ove la loro collocazione nelle cooperative sociali sia considerata una scelta definitiva anziché una fase di passaggio verso il mondo del lavoro ordinario; inoltre, il coinvolgimento di operatori privati richiede una maggiore vigilanza sullo svolgimento delle loro attività e sulla ripartizione delle risorse economiche regionali. Invece, il modello “pubblicistico” può portare all’esclusione a priori di tali soggetti dal mercato del lavoro e il loro avviamento verso programmi di natura assistenziale, e, inoltre, il suo buon funzionamento è strettamente legato al grado di efficienza degli uffici pubblici.
L’intervento legislativo operato con i d.lgs. nn. 150 e 151 del 2015, pur avendo confermato l’ampio spazio riservato al modello convenzionale, che prevede il coinvolgimento dei soggetti privati, soprattutto delle cooperative sociali331, si è
330 V. ut supra, par. 5.3, nt. 306.
331 Il legislatore del 1999 aveva puntato molto sul modello convenzionale; l’idea era che avrebbe
avuto una grande diffusione, sia perché attraverso di esso era possibile aumentare la quota di lavoratori da poter assumere con chiamata nominativa, sia perché ad esso erano collegati gli incentivi all’assunzione di cui potevano beneficiare i datori di lavoro obbligati. Tali aspettative non si sono concretizzate, forse anche perché lo strumento convenzionale così come concepito
concentrato sulla riforma del sistema organizzativo pubblico incaricato di realizzare il collocamento mirato e sul rafforzamento degli strumenti normativi a disposizione degli uffici competenti, come la semplificazione delle procedure, la liberalizzazione del sistema a chiamata nominativa, e la previsione di incentivi alle assunzioni, finanziati dal Fondo nazionale per il diritto al lavoro dei disabili istituito presso il Ministero del lavoro, non più legati all’utilizzo del modello convenzionale da parte delle imprese, bensì al grado di disabilità del soggetto occupato.
Per questo motivo è difficile intravedere una inversione di tendenza nella strategia legislativa.
Confermata l’importanza del settore pubblico e la necessità di una normativa nazionale che ne consenta il buon funzionamento in modo uniforme su tutto il territorio, occorre rilevare che per il raggiungimento dell’obiettivo di aumentare e garantire l’occupazione delle persone con disabilità è necessario incentivare entrambi i canali di supporto all’inserimento lavorativo.
La realizzazione degli obiettivi del collocamento mirato dipende in larga misura dalle politiche delle Regioni, le quali sono tenute a garantire un buon servizio pubblico e allo stesso tempo devono consentire e favorire, anche con misure economiche, il coinvolgimento dei soggetti del settore privato e del privato-sociale, al fine di realizzare un equilibrio tra le attività pubbliche e quelle private, le quali devono sostenersi e integrarsi a vicenda.