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La tutela antidiscriminatoria

LE PROBLEMATICHE CONNESSE AL RAPPORTO DI LAVORO E LE FORME DI TUTELA DEL LAVORATORE DISABILE

7. La tutela antidiscriminatoria

Da quanto detto sinora emerge come, nell’impianto della l. n. 68 del 1999, gli strumenti di tutela offerti al lavoratore disabile sono circoscritti al verificarsi delle ipotesi ivi individuate in modo specifico. Pertanto, al verificarsi di certi eventi predeterminati, giudicati ex ante dal legislatore come meritevoli di una maggiore tutela, è la stessa legge ad offrire una migliore garanzia del posto di lavoro, aumentando gli oneri datoriali (obbligo di repêchage, obbligo di adottare gli accomodamenti ragionevoli), nonché prevedendo un regime sanzionatorio più severo in caso di licenziamento illegittimo (reintegra del lavoratore).

Tuttavia, occorre chiedersi come possa tutelarsi il lavoratore disabile di fronte alle altre situazioni sfavorevoli che si possono verificare nel corso del rapporto.

Bisogna considerare che per la persona disabile l’inserimento e l’integrazione in un’organizzazione produttiva sono tutt’altro che semplici e richiedono una maggiore collaborazione da parte del datore di lavoro.

Grazie all’influenza del diritto sovranazionale, la persona con disabilità gode di una tutela antidiscriminatoria fondata sull’obbligo datoriale di prevedere i c.d. reasonable

accommodation447.

Si tratta di misure individuali che il datore è tenuto ad adottare ove siano necessarie a far fronte alle particolari esigenze del disabile, al fine di porlo in una condizione di parità con gli altri lavoratori448.

La previsione di soluzioni ragionevoli rientra a pieno titolo nella definizione di collocamento mirato di cui all’art. 2, l. n. 68 del 1999, così come confermato dall’art. 1, lett. d), d.lgs. n. 151 del 2015; tale obbligo si aggiunge a quello di assunzione, completandolo, rafforzandolo, e donandogli una maggiore effettività, in quanto, a ben vedere, come emerge dalla specificazione della sua finalità antidiscriminatoria, esso rappresenta un modo per evitare gli assistenzialismi del passato.

Tuttavia, la sua applicazione pratica è tutt’altro che priva di questioni problematiche. Da un lato, l’adattamento del posto di lavoro comporta il sostenimento di un costo economico449, e dall’altro lato, la valutazione della ragionevolezza dell’onere datoriale postula una valutazione caso per caso delle condizioni aziendali e personali del lavoratore450.

La tutela antidiscriminatoria nasce dalla consapevolezza del legislatore europeo circa il fatto che un obiettivo di tale portata, ovvero la garanzia del diritto al lavoro per le persone con disabilità, non può essere raggiunto con la mera previsione normativa di un obbligo di impiego, ma che occorrono degli strumenti in grado di conferire effettività al precetto

447 SPINELLI C., La sfida degli “accomodamenti ragionevoli” per i lavoratori disabili dopo il Jobs

Act, in Dir. lav. merc., 2017, 1, 39, 41; CENDON P., Verso un nuovo diritto dei soggetti deboli, in LA MACCHIA C. (a cura di), cit., 415 ss.

448 V. l’art. 5, Direttiva 2000/78/CE, recepita in Italia con il d.lgs. 9 luglio 2003, n. 216, nonché

l’art. 2 della Convenzione ONU del 2006, ratificata dall’Italia con la legge 3 marzo 2009, n. 18.

449 V. l’art. 14, comma 4, lett. b), l. n. 68 del 1999, così come sostituito dall’art. 11, comma1, lett.

b), d.lgs. n. 151 del 2015, che prevede che il Fondo regionale per l’occupazione dei disabili possa erogare contributi per il rimborso forfettario parziale delle spese necessarie all’adozione di accomodamenti ragionevoli in favore dei lavoratori con riduzione della capacità lavorativa superiore al 50 per cento. Merita di essere segnalato anche l’art. 9, comma 6 bis, l. n. 68 del 1999, nella pare in cui prevede che i datori di lavoro devono trasmettere alla Banca dati del collocamento mirato le informazioni circa gli accomodamenti ragionevoli adottati.

450 Alcune indicazioni sono contenute già nella Direttiva n. 78 del 2000; in particolare il

Considerando n. 20 menziona, in via esemplificativa, la sistemazione dei locali o l’adattamento delle attrezzature, dei ritmi di lavoro, nonché la ripartizione dei compiti e la fornitura di mezzi di formazione o di inquadramento, mentre il Considerando n. 21 afferma che la valutazione circa gli oneri finanziari sproporzionati deve tenere conto dei costi finanziari o di altro tipo, delle dimensioni e delle risorse finanziarie del soggetto obbligato, e della possibilità di ottenere fondi pubblici o altre sovvenzioni. Fondamentali sono anche le indicazioni provenienti dalla Corte di Giustizia europea, v. tra le altre, Corte Giust., 11 aprile 2013, C-335/11 e 337/11, cit., da cui si ricava che gli accomodamenti ragionevoli possono consistere tanto in interventi di carattere materiale quanto in misura di carattere organizzativo, come la riduzione dell’orario di lavoro. Infine, a livello nazionale, si segnalano le indicazioni fornite dal Regolamento INAIL n. 258 del 2016 e dalla Circolare INAIL n. 51 del 2016, v. sul punto, SPINELLI C., La sfida degli “accomodamenti ragionevoli” per i lavoratori disabili dopo il Jobs Act, cit., 46

legale.

Si è già rilevato nel primo capitolo come l’ingresso nel mondo del lavoro delle persone con disabilità non possa realizzarsi in mancanza di una previa sensibilizzazione della società in tal senso, così che il ritardo del nostro Paese nel recepimento delle istanze europee ha inciso in modo negativo sulla effettività della disciplina del collocamento obbligatorio e sulla sua idoneità a raggiungere lo scopo che l’ha ispirata.

Di fatti, il principio di non discriminazione nei luoghi di lavoro per ragioni legate alla disabilità è entrato a far parte del nostro ordinamento grazie alla trasposizione della Direttiva n. 78 del 2000 ad opera del d.lgs. 9 luglio 2003 n. 216, così vietando qualsiasi discriminazione diretta o indiretta451, ponendo il rispetto del principio della parità di trattamento in capo a tutti i datori di lavoro sia pubblici che privati452, prevedendo al contempo una apposita tutela giurisdizionale per le vittime di discriminazioni453.

Tuttavia, l’obbligo di adottare gli accomodamenti ragionevoli è stato recepito in un momento successivo454. Senonché è la stessa norma a prevedere un limite alla sua portata, stabilendo che i datori di lavoro pubblici provvedano a darvi attuazione, ma “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente”.

Ad ogni modo la tutela antidiscriminatoria riveste un ruolo centrale, in quanto funge da normativa di chiusura del sistema; senza considerare che per coloro che sono esclusi dal campo di applicazione della l. n. 68 del 1999 essa rappresenta l’unica forma di tutela specifica apprestata dall’ordinamento.

Al fine di garantirne l’effettività e consentire alla persona con disabilità di potersi difendere da atteggiamenti discriminatori, il legislatore ha previsto uno strumento

451V. le definizioni di discriminazione diretta e indiretta contenute nell’art. 2, d.lgs. n. 216 del

2003, nonché la precisazione di cui all’art. 3, comma 3, così come modificato dall’art. 8 septies, comma 1, lett. a), n. 2), d.l. 8 aprile 2008, n. 59, conv. con modif. nella l. 6 giugno 2008, n. 101.

452 La tutela antidiscriminatoria è posta a protezione di tutti i lavoratori disabili anche di coloro che

non rientrano nel campo di applicazione della l. n. 68 del 1999 e, allo stesso modo, anche il divieto di discriminazione opera anche nei confronti dei datori di lavoro non soggetti all’obbligazione di impiego.

453 Il divieto di discriminazione è esteso a tutti i momenti della vita lavorativa di un soggetto, sia

che la discriminazione si manifesti in occasione dell’accesso all’occupazione, durante il rapporto di lavoro anche in relazione agli avanzamenti di carriera, in relazione all’accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione personale, nonché con riguardo alla affiliazione e alle attività delle organizzazioni delle parti sociali.

454 La norma è stata inserita nel d.lgs. n. 216 del 2003, all’art. 3, comma 3 bis, con l’art. 9, comma

4 ter, d.l. 28 giugno 2013, n. 76, conv. con modif. nella legge 9 agosto 2013, n. 99, a seguito della condanna da parte della Corte di Giustizia europea nei confronti dell’Italia, v. Corte Giust., 4 luglio 2013, C-312/11, cit.

giurisdizionale ad hoc455.

L’art. 28 del d.lgs. n. 150 del 2011 prevede un rito sommario di cognizione con peculiarità legate alla tipologia delle cause a cui è dedicato. In particolare è prevista la competenza territoriale del giudice del luogo ove ha il proprio domicilio il lavoratore discriminato; la possibilità per le parti, in primo grado, di stare in giudizio personalmente; nonché che l’onere della prova dell’insussistenza di comportamenti discriminatori spetta al datore di lavoro quando il lavoratore abbia allegato elementi di fatto, anche solo desunti da dati di carattere statistico, atti a far presumere la discriminazione456.

Tuttavia, la violazione della normativa antidiscriminatoria, in cui rientra anche la violazione dell’obbligo di adottare i c.d. “accomodamenti ragionevoli”, non da necessariamente titolo all’adozione effettiva delle misure in questione, potendo portare semplicemente a rimedi di tipo risarcitorio, per loro natura talvolta inadeguati a eliminare la lesione delle situazione soggettiva457.

In particolare l’art. 28, comma 5, d.lgs. n. 150 del 2011 prevede che “con l'ordinanza che definisce il giudizio il giudice può condannare il convenuto al risarcimento del danno anche non patrimoniale e ordinare la cessazione del comportamento, della condotta o dell'atto discriminatorio pregiudizievole, adottando, anche nei confronti della pubblica amministrazione, ogni altro provvedimento idoneo a rimuoverne gli effetti. Al fine di impedire la ripetizione della discriminazione, il giudice può ordinare di adottare, entro il termine fissato nel provvedimento, un piano di rimozione delle discriminazioni accertate”.

Sotto questo aspetto, con riguardo all’obbligo di adottare gli accomodamenti ragionevoli, essendo un obbligo positivo, la sua violazione dovrebbe portare, una volta accertata da parte del giudice la proporzionalità rispetto oneri economici richiesti per la loro

455 La tutela giurisdizionale dei diritti delle persone con disabilità vittime di discriminazioni è

regolata dall’art. 4, comma 2, d.lgs. 9 luglio 2003, n. 216 per quanto concerne il diritto del lavoro, e più in generale dalla legge 1° marzo 2006, n. 67, entrambi modificati dal d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150. Sul procedimento ante riforma del 2011, v. ROMEO C., La tutela del lavoratore disabile discriminato, in Lav. giur., 2008, 1, 5 ss.; ID., in LA MACCHIA C. (a cura di), cit., 363 ss.; PARROTTA D., Brevi osservazioni sul processo giurisdizionale per la tutela discriminatoria, in LA

MACCHIA C. (a cura di), cit., 445 ss.; BALDI LAZZARI S., Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni, in Nuove leggi civ. comm., 2007, 1-2, 3; TUCCI

G., La discriminazione contro il disabile: i rimedi giuridici, cit., 1 ss.; PASQUALETTO E., La dubbia natura cautelare del procedimento per la repressione delle discriminazioni sul lavoro, in Lav. giur., 2009, 3, 269 ss.; MARUFFI R., Le nuove norme sulla tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni, in Riv. dir. proc., 2007, 123 ss.; DE MARZO G., La nuova disciplina contro le discriminazioni in danno dei disabili, in Foro it., 2006, 1206 ss.

456 Trib. Roma, 23 marzo 2016, ord., in Riv. giur. lav., 2016, 3, 386 ss., con nota di VALENZI I.,

Funzione del dato statistico e inversione dell’onere della prova nel caso della discriminazione per handicap.

457 V. l’art. 28, commi 5, 6 e 7, d.lgs. n. 150 del 2011. Sul punto v., BARBERA M., Le

attuazione in base al caso concreto, a una condanna del datore di lavoro a porre in essere tali soluzioni, consentendo inoltre al lavoratore la possibilità di ottenere, in mancanza di adempimento, la tutela in forma specifica, al fine di garantire una maggiore effettività dei suoi diritti458.

Di fatti, dalla mancata adozione degli accomodamenti al posto di lavoro potrebbe derivare per il lavoratore l’impossibilità di rendere la prestazione lavorativa o comunque una maggiore gravosità delle condizioni di lavoro, con inevitabili ripercussioni sulla sua integrità psico-fisica che il datore di lavoro è tenuto a tutelare a norma dell’art. 2087 c.c..

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